domenica 17 gennaio 2021

Euripide. 17

Teseo liberatore
Museo archeologico nazionale di Napoli. Da Pompei
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Argomenti

Dell’ altro sull’Eracle di Euripide. I valori dell’amicizia e della riconoscenza.

La gratitudine di Teseo. Un predicato di nobiltà.

 

Nella prima parte della tragedia Eracle è assente; quando torna a casa, a Tebe, Era, spinge Lyssa (la rabbia figlia della Notte) a renderlo tanto insano da ammazzare i figli e la moglie Megara.

Poi, quando ha ripreso coscienza, l’eroe rivolge un atto di accusa alla dea. Ne abbiamo già citati gli ultimi versi 1308 - 1310) che completiamo con quelli quelli che li precedono:

Danzi pure l’illustre sposa di Zeus - coreuvtw dh; Zhno;" hJ kleinh; davmar

Battendo con il calzare il fulgido suolo dell’Olimpo

Attuò infatti lo scopo che voleva

Ribaltando con lo stesso piedistallo e mettendo sottosopra

Il primo uomo della Grecia. A una tale dea

Chi rivolgerebbe preghiere? Una dea che, per una donna,

Gelosa dei letti di Zeus, ha distrutto i benefattori tou;"

Della Grecia che non erano per niente colpevoli JEllavdo" ajpwvles j oujde;n aijtivou" (1303 - 1310).

 

 Intanto è sopraggiunto pure Teseo che manifesta a Eracle la propria gratitudine: "mi riportasti alla luce dal regno dei morti"(v. 1222) Il re di Atene, disponendosi ad aiutare Eracle, gli dice:" cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn" (v. 1223), io odio la gratitudine degli amici che invecchia e chi vuole godere delle cose belle ma non imbarcarsi con gli amici quando se la passano male.

Un comportamento nobile e antico questo, e per ciò confutatorio dell'affermazione che Euripide ha rappresentato solo la mediocrità borghese. 

 

 Pure Sofocle attribuisce grande valore alla gratitudine considerandola una virtù senza la quale non può darsi animo nobile: Tecmessa per indurre Aiace a non suicidarsi ripete la parola chiave cavri" in poliptoto :"cavri" cavrin gavr ejstin hJ tivktous j ajeiv: - o{tou d j ajporrei' mnh'sti" eu\ peponqovto", - oujk a]n gevnoit j ou|to" eujgenh;" ajnhvr" ( Aiace, vv. 522 - 524), la riconoscenza infatti genera sempre riconoscenza; quello dal quale cade il ricordo del bene ricevuto, ebbene costui non può essere un uomo nobile. 

Nel Filottete Neottolemo afferma che l'amicizia di un uomo capace di gratitudine vale più di qualsiasi tesoro:"o{sti" ga;r eu\ dra'n eu\ paqw;n ejpivstatai - panto;" gevnoit j a]n kthvmato" kreivsswn fivlo" " (vv. 672 - 673), infatti chi sa fare il bene dopo averlo ricevuto, dovrebbe essere un amico più prezioso di ogni ricchezza.

 

Dopo la tirata del figlio di Zeus contro Era, Teseo cerca di indurlo alla sopportazione ricordandogli peccati ed errori degli dèi, che dunque possono indurre gli uomini ad una maggiore comprensione nei confronti di se stessi.

 

“Nessuno dei mortali è illeso dai colpi della fortuna,

neppure alcuno degli dèi, se i racconti dei poeti non sono falsi.

Non hanno unito i letti tra loro fuori da ogni

Legge? Non hanno insozzato i padri con ceppi

Per il potere? Ma abitano comunque

L’Olimpo e sopportano di avere sbagliato

Davvero, che cosa dirai se tu che sei nato mortale

porti con dismisura gli eventi della sorte, e gli dei no?” (Eracle, vv.1314 - 1321).

 

Quindi Teseo invita il disgraziato amico ad Atene, dove dividerà con lui i suoi averi e lo onorerà. Infatti non ha dimenticato il bene ricevuto da Eracle che lo trasse fuori dall’Ade dove era sceso con Piritoo per aiutarlo a rapire Persefone, ma vi era stato imprigionato.

 

Euripide salva dal pessimismo di questa tragedia i valori dell’amicizia e della gratitudine:

"e io in contraccambio della mia salvezza ti darò questa prova di gratitudine (kajgw; cavrin soi th'~ ejmh'~ swthriva~ - thvnd j ajntidwvsw ). Ora infatti sei bisognoso di amici. Quando gli dèi ci onorano, non c'è bisogno di amici: poiché basta il dio a farci del bene, quando ne ha voglia" (vv.1336 - 1339).

 

Eracle risponde con i versi 1345 - 1346 citati sopra che contengono un aspro biasimo degli dèi tradizionali, una di quelle che procurarono al poeta la taccia, tutto sommato immeritata, di ateismo[1], una nomea non poco pericolosa ad Atene.

 

 “L’approdo non è a posizioni di ateismo; dietro gli interrogativi e le professioni di scetticismo religioso affiora piuttosto l’esigenza di una concezione più pura della divinità, la ricerca di un senso del divino in grado di appagare i dubbi e le incertezze derivanti dall’incapacità di ravvisare nel mondo un ordine razionale. Non è forse casuale che proprio nell’ultimo scorcio della sua vita Euripide abbia scritto una tragedia così ricca di ambiguità nel trattamento del rapporto tra l’uomo e la religione come le Baccanti[2].

 

“Era inevitabile che la critica agli dei e ai miti, presente nelle opere di Euripide, lo facessero apparire come un negatore dell’esistenza divina; così la venditrice di ghirlande, nelle Tesmoforiazuse di Aristofane (v.455[3]), si lamenta di guadagnare poco da quando Euripide ha convinto la gente, con le sue tragedie, che gli dei non esistono. In realtà, dietro a tutte queste critiche c’è la ricerca, da parte del poeta, di un’immagine divina purificata: così Ifigenia conclude il suo discorso[4], sul sacrificio umano, affermando (391) che nessun dio può essere malvagio; è lapidaria l’espressione del Bellerofonte (292 N.): se gli dei fanno qualcosa di vergognoso, allora non sono dei”[5]

giovanni ghiselli

 



[1] Per fare un esempio, una fioraia delle già citate Tesmoforiazuse ce l'ha con Euripide poiché campava vendendo corone di fiori per gli dèi, ma il drammaturgo:"ha persuaso gli uomini che gli dèi non esistono", v. 451, e gli affari della donna vanno in rovina.

[2] Di Marco, Op. cit., p. 148.

[3] Tou;~ a[ndra~ ajnapevpeiken oujk ei\nai qeouv~: - w[st j oujkevt j ejmpolw`men oujd j ej~ h{misu ( in realtà sono i versi vv. 451 - 452), ha persuaso gli uomini che gli dèi non esistono: - così non vendiamo nemmeno la metà. Ndr.

[4] “E’ su questa linea anche il rimprovero che l’Ifigenia Taurica (380) rivolge ad un’Artemide che respinge da sé ogni impurità, e, nondimeno, si rallegra per i sacrifici umani” (p. 769).

[5] A. Lesky, La poesia tragica dei Greci, p. 770.

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