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Alcuni caratteri tipici che ricorrono in Euripide
Personaggi negativi: gli spartani e i vati collegati all’oracolo delfico
che spartaneggiava come poi filippizzò.
Disonesti, o per lo meno non tanto attendibili quanto quelli di Sofocle,
sono gli indovini: nell'Ifigenia in Aulide Agamennone nel
momento in cui, pentito, vorrebbe salvare la figlia, afferma che "tutta la
razza dei vati è un malanno ambizioso[1] (filovtimon
kakovn)", v. 520.
Nell'Elena il messaggero, dopo avere saputo dalla figlia di Zeus che
a Troia Greci e Troiani hanno sofferto tanto per una nuvola (nefevlh~ (…) pevri, v. 706) che aveva l’aspetto della
bellissima donna, manifesta piena sfiducia nei profeti e negli
oracoli: "Ho visto bene come sono vane le parole dei profeti e piene di
menzogne (…) Allora perché consultiamo gli oracoli? agli dèi bisogna,
sacrificando, chiedere i beni, e lasciare perdere i vaticini: infatti questa
trovata non è altro che un'esca per la vita"(vv. 744 - 745 e vv. 754 - 756)[2].
Particolarmente odiosa a Euripide è la pretaglia e la gentaglia
delfica. Nell'Andromaca il nostro autore rappresenta la morte di
Neottolemo lapidato senza ragione dagli abitanti di Delfi sobillati da Oreste
innamorato della frivola spartana Ermione.
Oreste in questa tragedia è un personaggio negativo, mentre nelle Eumenidi,
di Eschilo, abbiamo visto, era un Argivo caro agli Ateniesi.
Oreste è personaggio positivo in Eschilo e negativo in Euripide (Andromaca),
sbiadito nell’Elettra di Sofocle
Nell’Orestea il protagonista eponimo è un personaggio discusso
ma alla fine assolto, anzi approvato sebbene matricida, siccomè viene
presentato come argivo e in quegli anni (successivi al 460) Argo entra in
rapporti di alleanza con Atene in senso antispartano.
Nelle Coefore Oreste aveva una parte più importante e
molto più estesa di quella di Elettra, mentre nell’Elettra di
Euripide la parte della sorella “diviene più che doppia e in Sofocle è
addirittura quattro volte più ampia di quella del fratello. Il motivo potrebbe
essere del tutto contingente: Sparta si proponeva tradizionalmente come erede
della supremazia panellenica già appartenuta agli Atridi e aveva adottato
Oreste come eroe nazionale, e anche la poesia lo aveva “laconizzato”; forse era
difficile centrare un dramma sul personaggio mitico assunto come eroe
“politico” dalla potenza nemica - si ricordi che nei primi anni della Guerra
Peloponnesiaca l’Andromaca di Euripide assegna a Oreste un ruolo
negativo, riecheggiante il cliché degli spartani ingannatori (…) un Oreste
protagonista, come quello delle Coefore, avrebbe ricevuto
un’accoglienza ostile presso il pubblico ateniese”[3].
Nell’Opera di Rossini - Tottola, Ermione presenta a Oreste un pugnale e gli
dice:
Ah vanne…
Se l’amor mio ti è caro,
Immergi questo acciaro
Nel sen del traditor.
Del sangue suo fumante
Fa’ ch’io lo vegga… e allor… (Ermione, Azione tragica in due atti, II,
3).
Ma torniamo alla tragedia di Euripide. Invano "il ragazzo di
Achille" (Andromaca, v.1119) domanda:
"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà?
per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini,
mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani" (vv. 1125 - 1128). Il
clero non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl
tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante che aizzò quel manipolo e
lo spinse a combattere (vv. 1146 - 1148). Il messo alla fine della rJh'si" accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov" (v.1164), come un uomo malvagio, e domanda:"pw'" a]n
ou\n ei[h sofov";" (v. 1165), come potrebbe essere saggio?
A questo proposito G. De Sanctis scrive:"Ora può darsi che Euripide
osasse porre in così cattiva luce Apollo profittando del mal animo degli
Ateniesi verso il dio che spartaneggiava in quegli anni come poi
filippizzò"[4].
Tipi odiosi sono gli Spartani, soprattutto nell'Andromaca che
risale ai primi anni della grande guerra del Peloponneso[5],
ed è un concentrato di malevolenza e maldicenza antispartana. “Gli attacchi
contro Sparta (…) a parere di molti la rendono una sorta di pamplhet politico”[6].
La vedova di Ettore lancia un anatema contro la genìa dei signori del
Peloponneso, chiamati yeudw'n a[nakte~ :" o
i più odiosi (e[cqistoi) tra i mortali
per tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di
menzogne, tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto
tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (vv.445 - 449).
“The Andromache, written early in the Peloponnesian War, shows a
loathing of Spartan arrogance and cruelty and deviousness”[7], l’Andromaca,
scritta nei primi anni della guerra del Peloponneso, mostra un disgusto per
l’arroganza, la crudeltà e la tortuosità degli Spartani.
Dal canto suo Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro
costumi: neppure se
lo volesse, potrebbe restare onesta ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di
Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si
mhroi'"", v.598)
e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non
sopportabili " (Andromaca, vv.595 - 600).
Nelle Leggi di
Platone, l’Ateniese ricorda allo spartano che l’ideale guerriero della sua
città non si cura abbastanza di esercitare la capacità di resistenza al
piacere, e aggiunge che non sarebbe difficile per chi volesse difendere le
leggi di Atene criticare le norme spartane indicando la licenza delle loro
donne: “deiknu;~ th;n tw`n gunaikw`n parj uJmi`n a[nesin “(637c).
Plutarco dà un'interpretazione non
malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero
il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto (…) Per
eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a
intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli
occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E'
interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige:"la
donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore".
Nelle Supplici , del 422, Adrasto chiede aiuto a Teseo e
gli dice che non si è rivolto a Sparta poiché è una città crudele e dai modi
sleali (Sparth me;n wjmh; kai; pepoivkiltai trovpou~).
Nel dialogo tucididèo tra Melii e Ateniesi questi biasimano i loro nemici
con minore virulenza: “I Lacedemoni fanno uso della virtù soprattutto verso se
stessi e le istituzioni del loro paese. Ma verso gli altri, pur potendo uno
dire molte cose su come si comportano, riassumendo al massimo si potrebbe
dimostrare che essi nel modo più evidente tra quelli che conosciamo,
considerano il piacevole bello e il conveniente giusto" (Storie, V,
105, 4).
giovanni ghiselli
[1] La condanna
della genìa dei profeti si trova già nell'Antigone di Sofocle, messa in
bocca però a Creonte, personaggio destinato alla rovina:"Infatti tutta la razza dei profeti
ama il denaro” (v.1055). Al che Tiresia risponde :" quella nata dai
tiranni ama i lucri turpi " (v. 1056). In questa tragedia i fatti daranno ragione
al profeta.
[2] Il pio Sofocle
invece condanna chi bestemmia gli oracoli: nell'Edipo re il
protagonista, informato sulla morte del re di Corinto, esclama
empiamente:"e allora, gli oracoli che c'erano, li ha presi/Polibo che
giace presso Ade, ed essi non valgono nulla"(vv.971 - 972). Gli costerà
caro.
[3] G. Avezzù (a cura di) Sofocle,
Euripide, Hofmannsthal, Yourcenar, Elettra Variazioni sul
mito.
[4]Op. cit. , II vol., p. 331.
[5] 429 a. C.
[6] Caterina Barone (a cura di) Euripide
Andromaca, p. 7.
[7] M. Hadas, op. cit, pp. VIII - IX
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