martedì 19 gennaio 2021

Euripide. 24

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Alcuni caratteri tipici che ricorrono in Euripide

 

Personaggi negativi: gli spartani e i vati collegati all’oracolo delfico che spartaneggiava come poi filippizzò.

 

Disonesti, o per lo meno non tanto attendibili quanto quelli di Sofocle, sono gli indovini: nell'Ifigenia in Aulide Agamennone nel momento in cui, pentito, vorrebbe salvare la figlia, afferma che "tutta la razza dei vati è un malanno ambizioso[1] (filovtimon kakovn)", v. 520.

 

Nell'Elena il messaggero, dopo avere saputo dalla figlia di Zeus che a Troia Greci e Troiani hanno sofferto tanto per una nuvola (nefevlh~ (…) pevri, v. 706) che aveva l’aspetto della bellissima donna, manifesta piena sfiducia nei profeti e negli oracoli: "Ho visto bene come sono vane le parole dei profeti e piene di menzogne (…) Allora perché consultiamo gli oracoli? agli dèi bisogna, sacrificando, chiedere i beni, e lasciare perdere i vaticini: infatti questa trovata non è altro che un'esca per la vita"(vv. 744 - 745 e vv. 754 - 756)[2].

 

Particolarmente odiosa a Euripide è la pretaglia e la gentaglia delfica. Nell'Andromaca il nostro autore rappresenta la morte di Neottolemo lapidato senza ragione dagli abitanti di Delfi sobillati da Oreste innamorato della frivola spartana Ermione.

Oreste in questa tragedia è un personaggio negativo, mentre nelle Eumenidi, di Eschilo, abbiamo visto, era un Argivo caro agli Ateniesi.

 

Oreste è personaggio positivo in Eschilo e negativo in Euripide (Andromaca), sbiadito nell’Elettra di Sofocle

 

Nell’Orestea il protagonista eponimo è un personaggio discusso ma alla fine assolto, anzi approvato sebbene matricida, siccomè viene presentato come argivo e in quegli anni (successivi al 460) Argo entra in rapporti di alleanza con Atene in senso antispartano.

 

Nelle Coefore Oreste aveva una parte più importante e molto più estesa di quella di Elettra, mentre nell’Elettra di Euripide la parte della sorella “diviene più che doppia e in Sofocle è addirittura quattro volte più ampia di quella del fratello. Il motivo potrebbe essere del tutto contingente: Sparta si proponeva tradizionalmente come erede della supremazia panellenica già appartenuta agli Atridi e aveva adottato Oreste come eroe nazionale, e anche la poesia lo aveva “laconizzato”; forse era difficile centrare un dramma sul personaggio mitico assunto come eroe “politico” dalla potenza nemica - si ricordi che nei primi anni della Guerra Peloponnesiaca l’Andromaca di Euripide assegna a Oreste un ruolo negativo, riecheggiante il cliché degli spartani ingannatori (…) un Oreste protagonista, come quello delle Coefore, avrebbe ricevuto un’accoglienza ostile presso il pubblico ateniese”[3]

 

Nell’Opera di Rossini - Tottola, Ermione presenta a Oreste un pugnale e gli dice:

Ah vanne…

Se l’amor mio ti è caro,

Immergi questo acciaro

Nel sen del traditor.

Del sangue suo fumante

Fa’ ch’io lo vegga… e allor… (Ermione, Azione tragica in due atti, II, 3).

 

Ma torniamo alla tragedia di Euripide. Invano "il ragazzo di Achille" (Andromaca, v.1119) domanda:

"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà? per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini, mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani" (vv. 1125 - 1128). Il clero non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante che aizzò quel manipolo e lo spinse a combattere (vv. 1146 - 1148). Il messo alla fine della rJh'si" accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov" (v.1164), come un uomo malvagio, e domanda:"pw'" a]n ou\n ei[h sofov";" (v. 1165), come potrebbe essere saggio?

A questo proposito G. De Sanctis scrive:"Ora può darsi che Euripide osasse porre in così cattiva luce Apollo profittando del mal animo degli Ateniesi verso il dio che spartaneggiava in quegli anni come poi filippizzò"[4].

 

Tipi odiosi sono gli Spartani, soprattutto nell'Andromaca che risale ai primi anni della grande guerra del Peloponneso[5], ed è un concentrato di malevolenza e maldicenza antispartana. “Gli attacchi contro Sparta (…) a parere di molti la rendono una sorta di pamplhet politico”[6].

La vedova di Ettore lancia un anatema contro la genìa dei signori del Peloponneso, chiamati yeudw'n a[nakte~ :" o i più odiosi (e[cqistoi) tra i mortali per tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (vv.445 - 449).

The Andromache, written early in the Peloponnesian War, shows a loathing of Spartan arrogance and cruelty and deviousness[7]l’Andromaca, scritta nei primi anni della guerra del Peloponneso, mostra un disgusto per l’arroganza, la crudeltà e la tortuosità degli Spartani.

Dal canto suo Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (Andromaca, vv.595 - 600).

 

Nelle Leggi di Platone, l’Ateniese ricorda allo spartano che l’ideale guerriero della sua città non si cura abbastanza di esercitare la capacità di resistenza al piacere, e aggiunge che non sarebbe difficile per chi volesse difendere le leggi di Atene criticare le norme spartane indicando la licenza delle loro donne: “deiknu;~ th;n tw`n gunaikw`n parj uJmi`n a[nesin (637c). 

 

Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto (…) Per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E' interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige:"la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore". 

 

Nelle Supplici , del 422, Adrasto chiede aiuto a Teseo e gli dice che non si è rivolto a Sparta poiché è una città crudele e dai modi sleali (Sparth me;n wjmh; kai; pepoivkiltai trovpou~).

 

Nel dialogo tucididèo tra Melii e Ateniesi questi biasimano i loro nemici con minore virulenza: “I Lacedemoni fanno uso della virtù soprattutto verso se stessi e le istituzioni del loro paese. Ma verso gli altri, pur potendo uno dire molte cose su come si comportano, riassumendo al massimo si potrebbe dimostrare che essi nel modo più evidente tra quelli che conosciamo, considerano il piacevole bello e il conveniente giusto" (Storie, V, 105, 4).

 

giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] La condanna della genìa dei profeti si trova già nell'Antigone di Sofocle, messa in bocca però a Creonte, personaggio destinato alla rovina:"Infatti tutta la razza dei profeti ama il denaro” (v.1055). Al che Tiresia risponde :" quella nata dai tiranni ama i lucri turpi " (v. 1056). In questa tragedia i fatti daranno ragione al profeta.

[2] Il pio Sofocle invece condanna chi bestemmia gli oracoli: nell'Edipo re il protagonista, informato sulla morte del re di Corinto, esclama empiamente:"e allora, gli oracoli che c'erano, li ha presi/Polibo che giace presso Ade, ed essi non valgono nulla"(vv.971 - 972). Gli costerà caro. 

[3] G. Avezzù (a cura di) Sofocle, Euripide, Hofmannsthal, Yourcenar, Elettra Variazioni sul mito.

[4]Op. cit. , II vol., p. 331.

[5] 429 a. C.

[6] Caterina Barone (a cura di) Euripide Andromaca, p. 7.

[7] M. Hadas, op. cit, pp. VIII - IX

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