sabato 16 gennaio 2021

Euripide. 13. C. G. Jung su dionisiaco (estroversione) e apollineo (introversione)

Carl Gustav Jung
Apollineo e dionisiaco in C. G. Jung. Ancora Nietzsche


Su Apollineo e Dionisiaco torna C. G. Jung: "Esaminiamo i concetti di apollineo e dionisiaco nelle loro caratteristiche psicologiche (…) Prendiamo in considerazione anzitutto il dionisiaco. Secondo la descrizione di Nietzsche è chiaro che esso indica un espandersi, uno zampillare e uno scaturire (…) E' una fiumana di sensazioni paniche di grande potenza che erompe irresistibile e inebria i sensi come un vino gagliardo. E' ebbrezza nel significato più elevato del termine (…) Si tratta quindi di una estroversione di sentimenti indissolubilmente legata all'elemento sensoriale (…)

Per contro, l'apollineo è la percezione delle immagini interiori della bellezza, della misura e di sentimenti armonicamente disciplinati. Il paragone con il sogno chiarisce il carattere dello stato apollineo: è uno stato d'introspezione, di contemplazione rivolta verso l'interno, verso il mondo di sogno delle idee eterne, quindi uno stato d'introversione"[1].

 

L’Apollineo è l’affermazione dell’individualità che si manifesta somaticamente prima di tutto nel volto: “ Pare che una volta Anna Magnani, la grande interprete del cinema neorealista italiano, avesse detto al truccatore che la stava preparando per una scena: “Non mi togliere nemmeno una ruga. Le ho pagate tutte care…Gli adolescenti ricorrono a frotte al chirurgo plastico per farsi cambiare la faccia…vogliono cambiare la faccia che ha incominciato a esteriorizzare la loro solitaria individualità”[2].

 

Infine Ortega y Gasset: “Apollo è la misura, la norma rigorosa della vita, il “restare in sé”, la severa condotta - la condotta conforme, “l’essere in forma”. Ma è anche, beninteso, la danza (…) Apollo è il dio danzatore per eccellenza, solo che la sua danza è un ritmo rigido e severo, e per questo il culto che gli si dedica consiste in danze moderate. Est modus in rebus, e Apollo è il modus, il logos della vita e delle cose”[3].

 

Concludiamo, per ora, questa parte relativa a Euripide tonando a La nascita della tragedia. “Socrate, l’eroe dialettico del dramma platonico, ci ricorda la natura affine dell’eroe euripideo, che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni, e che per questo rischia tanto spesso di non suscitare più la nostra compassione tragica”[4]. Nietzsche deplora il fatto che la dialettica, a partire da Sofocle, un poco alla volta abbia annientato il coro e la musica.

 "L'intellettuale tedesco è sempre stato un frondista contro la parola e contro la ragione e ha fatto l'occhiolino alla musica"[5].

“Come appare ora, di fronte a questo mondo scenico socratico - ottimistico, il coro e in genere l’intero sostrato musicale - dionisiaco della tragedia? Come qualcosa di fortuito, come una reminiscenza dell’origine della tragedia, di cui si può benissimo fare a meno. Noi invece abbiamo visto che il coro può essere inteso soltanto come causa della tragedia e del tragico in genere. Già in Sofocle appare quella perplessità riguardo al coro - un segno importante che già in lui il terreno dionisiaco della tragedia comincia a sgretolarsi. Egli non osa più affidare al coro la parte principale e più efficace, e ne limita invece a tal punto il dominio, che esso appare ora quasi coordinato agli attori, come se venisse sollevato dall’orchestra e portato in scena: con ciò certo la sua essenza è totalmente distrutta (….) Quello spostamento della posizione del coro (…) è il primo passo verso la distruzione del coro, le cui fasi si susseguono con spaventosa rapidità in Euripide, in Agatone e nella commedia nuova. La dialettica ottimistica scaccia la musica dalla tragedia con la sferza dei suoi sillogismi, cioè distrugge l’essenza della tragedia, che si può interpretare unicamente come una manifestazione e raffigurazione di stati dionisiaci, come simbolizzazione visibile della musica, come il mondo di sogno di un’ebbrezza dionisiaca”[6]. Sulla negatività dell’ottimismo Nietzsche nel tempo si ricrederà : “l’artista tragico non è un pessimosta - dice appunto sì a ogni cosa problematica e anche terribile, è dionisiaco”[7].

Sulla rovinosità della dialettica invece il filosofo manterrà questa posizione: “Con Socrate il gusto greco si ribalta a favore della dialettica: che cosa accade realmente? Anzitutto con essa viene vinto un gusto aristocratico: con la dialettica la plebaglia rialza la testa”[8]

 

giovanni ghiselli



[1] C. G. Jung, Tipi psicologici, (1921), p. 156.

[2] J. Hillman, La forza del carattere, p. 198 e p. 203.

[3] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro (del 1946) p. 93.

[4] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 14

[5] H. Hesse, Il lupo della steppa, p. 181.

[6] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 14.

[7] Crepuscolo degli idoli (del 1888) La “ragione” nella filosofia, 6

[8] F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Il problema di Socrate, 5

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