PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIIl Tempio di Apollo a Delfi
La bellezza la misura, la conoscenza di sé quali esigenze del dio delfico Apollo. Conosci te stesso e nulla di troppo.
L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai
mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica
non essere nati, non essere, la cosa più bella.
Nietzsche
mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella
sfera dell'apollineo: "Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la
misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla
necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te
stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e
l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea,
dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[1].
Per quanto
riguarda il valore dell’arte che ribalta la triste sapienza silenica,
sentiamo O. Wilde: “and
that is the function of Literature to create, from the rough material of actual
existence, a new world that will be more marvellous, more enduring, and more
true than the world that common eyes look upon, and through which common
natures seek to realize their perfection”[2], e questa è la funzione della
Letteratura, creare dal materiale grezzo dell’esistenza reale, un nuovo mondo
che sarà più meraviglioso, più duraturo e più vero del mondo sul quale occhi
comuni gettano lo sguardo e attraverso il quale nature comuni cercano di
realizzare il loro compimento.
Sull’apollineo
sentiamo anche Nilsson:
“Sul tempio di Apollo in Delfi era scolpito il precetto famoso: Gnothi
seauton! Conosci te stesso! Nessun altro è stato mai ripetuto tante
volte. Per noi esso è un imperativo che ci richiama alla sfera della coscienza,
per i Greci d’allora significava “Sappi che tu sei un uomo, soltanto un uomo!”.
Questa massima riassume nella sua essenza quanto la religione apollinea insegna
sul rapporto che è tra l’uomo e gli dèi. L’uomo deve avere coscienza della sua
debolezza e della onnipotenza degli dèi e sottomettersi ad essi. Insieme con
questo motto Platone[3] ne ricorda un altro: Meden agan!
Nulla di troppo! E dice ancora che, entrando nel tempio di Apollo, ci si
trovava di fronte l’ammonimento: Sophronei! Il significato che un
simile verbo ha è difficile a rendere; si potrebbe forse dire: abbi senno! E
cioè, usa una saggia misura, renditi conto del posto che t’è dato nel mondo ed
evita di essere superbo sia verso gli dèi che verso gli uomini! Questo monito
ci riconduce, in altri termini, al medesimo ordine di idee che è presupposto al
“Nulla di troppo!”. Pindaro esprime lo stesso concetto in maniera più incisiva
ammonendo: Se la sorte ti è favorevole, “non volere essere Zeus. Ai mortali
convengono cose mortali”[4]”[5].
L’Istmica V di Pindaro celebra Filacida di Egina
vincitore nel Pancrazio. Leggiamo le parole del poeta tebano: “mh; mavteue
Zeu;~ genevsqai: pavnt j e[cei~, - eij se touvtwn moi`r j ejfivkoito kalw`n. - qnata;
qnatoi`si prevpei” (vv. 14 - 16),
non cercare di essere Zeus: hai tutto, se ti ha raggiunto la sorte di questi
beni. Cose mortali si addicono ai mortali.
Torniamo a Nilsson: “La medesima condanna di ogni eccesso è nella nota
ostilità di Apollo contro i tiranni, che a quel tempo dominavano in diverse
città. Erano uomini avvezzi a fare quello che loro piacesse, ostentando potenza
e ricchezza e atteggiandosi volentieri a superuomini, il preciso opposto
dell’ideale apollineo. Apollo non poteva non combatterli”[6].
“Nella tragedia dei Greci Nietzsche scopre il contrasto tra la forma e
l’amorfo flusso della vita, tra pevra~ [7] e a[peiron[8]: tra l’essere finito, che, votato
all’annullamento, ritorna al principio infinito, e il principio stesso, che
produce da sé sempre nuove forme: questo contrasto egli lo chiama la
contrapposizionr dell’Apollineo e del Dionisiaco”[9].
giovanni
ghiselli
[1] La nascita della tragedia, p.
37.
[2] The critic as artist, p.
63.
[3] Platone, Prot. , 343
A; Charm., 164 D.
[4] Pindaro, Istm., V, vv. 13
ss.
[5] Nilsson, Religiosità greca,
p. 64.
[6] Nilsson, Religiosità greca,
p. 64.
[7] Compimento, perfezione ma anche
limite.
[8] Infinito, indefinito.
[9] Eugen Fink, La filosofia di
Nietzsche, p. 20.
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