sabato 16 gennaio 2021

Euripide. 12. l’Apollineo

Il Tempio di Apollo a Delfi
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La bellezza la misura, la conoscenza di sé quali esigenze del dio delfico Apollo. Conosci te stesso e nulla di troppo.

 

L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.

Nietzsche mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella sfera dell'apollineo: "Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[1].

Per quanto riguarda il valore dell’arte che ribalta la triste sapienza silenica, sentiamo O. Wilde: “and that is the function of Literature to create, from the rough material of actual existence, a new world that will be more marvellous, more enduring, and more true than the world that common eyes look upon, and through which common natures seek to realize their perfection[2], e questa è la funzione della Letteratura, creare dal materiale grezzo dell’esistenza reale, un nuovo mondo che sarà più meraviglioso, più duraturo e più vero del mondo sul quale occhi comuni gettano lo sguardo e attraverso il quale nature comuni cercano di realizzare il loro compimento.

 Sull’apollineo sentiamo anche Nilsson: “Sul tempio di Apollo in Delfi era scolpito il precetto famoso: Gnothi seauton! Conosci te stesso! Nessun altro è stato mai ripetuto tante volte. Per noi esso è un imperativo che ci richiama alla sfera della coscienza, per i Greci d’allora significava “Sappi che tu sei un uomo, soltanto un uomo!”. Questa massima riassume nella sua essenza quanto la religione apollinea insegna sul rapporto che è tra l’uomo e gli dèi. L’uomo deve avere coscienza della sua debolezza e della onnipotenza degli dèi e sottomettersi ad essi. Insieme con questo motto Platone[3] ne ricorda un altro: Meden agan! Nulla di troppo! E dice ancora che, entrando nel tempio di Apollo, ci si trovava di fronte l’ammonimento: Sophronei! Il significato che un simile verbo ha è difficile a rendere; si potrebbe forse dire: abbi senno! E cioè, usa una saggia misura, renditi conto del posto che t’è dato nel mondo ed evita di essere superbo sia verso gli dèi che verso gli uomini! Questo monito ci riconduce, in altri termini, al medesimo ordine di idee che è presupposto al “Nulla di troppo!”. Pindaro esprime lo stesso concetto in maniera più incisiva ammonendo: Se la sorte ti è favorevole, “non volere essere Zeus. Ai mortali convengono cose mortali”[4][5].

L’Istmica V di Pindaro celebra Filacida di Egina vincitore nel Pancrazio. Leggiamo le parole del poeta tebano: “mh; mavteue Zeu;~ genevsqai: pavnt j e[cei~, - eij se touvtwn moi`r j ejfivkoito kalw`n. - qnata; qnatoi`si prevpei” (vv. 14 - 16), non cercare di essere Zeus: hai tutto, se ti ha raggiunto la sorte di questi beni. Cose mortali si addicono ai mortali.

 Torniamo a Nilsson: “La medesima condanna di ogni eccesso è nella nota ostilità di Apollo contro i tiranni, che a quel tempo dominavano in diverse città. Erano uomini avvezzi a fare quello che loro piacesse, ostentando potenza e ricchezza e atteggiandosi volentieri a superuomini, il preciso opposto dell’ideale apollineo. Apollo non poteva non combatterli”[6].

 

“Nella tragedia dei Greci Nietzsche scopre il contrasto tra la forma e l’amorfo flusso della vita, tra pevra~ [7] e a[peiron[8]: tra l’essere finito, che, votato all’annullamento, ritorna al principio infinito, e il principio stesso, che produce da sé sempre nuove forme: questo contrasto egli lo chiama la contrapposizionr dell’Apollineo e del Dionisiaco”[9].

giovanni ghiselli



[1] La nascita della tragedia, p. 37.

[2] The critic as artist, p. 63.

[3] Platone, Prot. , 343 A; Charm., 164 D.

[4] Pindaro, Istm., V, vv. 13 ss.

[5] Nilsson, Religiosità greca, p. 64.

[6] Nilsson, Religiosità greca, p. 64.

[7] Compimento, perfezione ma anche limite.

[8] Infinito, indefinito.

[9] Eugen Fink, La filosofia di Nietzsche, p. 20.

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