venerdì 22 gennaio 2021

Euripide. 33

Teatro greco di Siracusa, Troiane
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Argomento

Diversi personaggi euripidei parlano tanto politicamente quanto retoricamente. Un esempio: Elena nelle Troiane

 

Altro elemento nuovo introdotto da Euripide nella tragedia è la retorica: i suoi personaggi ingaggiano vere battaglie di parole secondo le regole della sofistica e del linguaggio processuale. I contendenti cercano di prevalere, di "rendere più forte il discorso più debole", come prometteva l'annuncio programmatico (ejpavggelma) delle Antilogie del sofista Protagora che colpito, pure lui, da un’accusa di empietà intorno al 420 a.C.,fuggì da Atene[1].

To;n h{ttw lovgon kreivttw poiei'n [2], rendere più forte il discorso più debole, significa che l'imputato usa ogni mezzo di persuasione per sostenere la propria tesi. C’è da aggiungere però che la retorica dei personaggi euripidei non esclude la politica, anzi la comprende.

 

 Elena nelle Troiane quando parla a Menelao vuole giustificare il proprio adulterio e controbatte tutte le possibili accuse, ritorcendole contro chi le addebita delle colpe, contro Ecuba in particolare, ma senza risparmiare nessuno tra vivi e morti, uomini e dèi:"probabilmente, che io sembri parlare a ragione o a torto, tu[3] non vorrai rispondermi, in quanto mi consideri una nemica. Io tuttavia replicherò alle tue parole contrapponendo le mie accuse a quelle che credo formuleresti tu contro di me se ti mettessi a parlare. Innanzitutto dunque il principio della sciagura lo generò costei[4] partorendo Paride; in secondo luogo mandò in rovina Troia, e anche me, il vecchio[5] non ammazzando il neonato, che aveva l'aspetto funesto di una fiaccola[6],, e un giorno doveva chiamarsi Alessandro. Ascolta dunque come va il resto a partire di qui. Questo giudicò il gruppo delle tre dèe: e il dono di Pallade ad Alessandro era che egli come condottiero dei Frigi avrebbe devastato l'Ellade,

Era invece gli promise che avrebbe avuto in signoria l'Asia e le terre dell'Europa, se Paride l'avesse prescelta;

Cipride infine, ammirando il mio aspetto, gli promise di darmi a lui, se avesse superato le dèe nella bellezza.

Considera come va il seguito di tali premesse. Cipride vince le dèe, e le mie nozze giovarono all'Ellade così: voi non siete dominati dai barbari, né costretti alle armi, e non subite tirannide. Ma mentre la Grecia, in questo, ebbe fortuna, io, venduta per la bellezza, trovai la rovina e sono vituperata per quei fatti per cui dovrei ricevere una corona sul capo. Tu dirai che io non parlo ancora proprio delle questioni scottanti: come partii da casa tua di nascosto. Venne il demone nato da costei avendo con sé una dea non di poco conto (oujci; mikra;n qeo;n e[cwn), sia che tu voglia chiamarlo con il nome di Alessandro, sia con quello di Paride. Che tu, o pessimo, lasciasti nelle tue case e partisti da Sparta con una nave per la terra di Creta. E sia! Non a te, bensì a me stessa, a tale proposito, voglio domandare: a che cosa pensando seguii lo straniero dalle mie case tradendo la patria e la famiglia mia? Punisci la dea e fatti più forte di Zeus il quale ha la signoria sugli altri dèi, ma è schiavo di quella: a me sia concesso il perdono (vv. 914 - 950).

Qui c’è la retorica con il gioco sofistico di giustificare la popria dissolutezza ricordando i tanti amori adulterini di Zeus, e c’è pure un rivestimento geopolitico.

 

giovanni ghiselli 

 



[1] Gli Ateniesi bruciarono i suoi libri nell’agorà ( Diogene Laerzio, 9, 8, 52). Del suo scritto Peri; qew'n tenne letture in casa di Euripide o di Megaclide o nel Liceo (Diogene Laerzio, 9, 8, 54). Sugli dei scrisse che non poteva sapere né se ci fossero, né se non ci fossero. Dell’uomo disse che è misura di tutte le cose. Di questa idea attribuita a Protagora da varie fonti, do la formulazione del Cratilo (385e) di Platone:" w{sper Prwtagovra" e[legen, levgwn pavntwn crhmavtwn mevtron ei\nai a[nqrwpon", come diceva Protagora che l'uomo è misura di tutte le cose. Per Sofocle invece, misura di tutte le cose è Dio. Tolstoj ribadisce tale fede insita in ogni religione nel suo romanzo più noto:"Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla di incommensurabile, e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene, verità", Guerra e pace , pag.1607. Seneca invece trova la misura di Dio troppo grande per la maggior parte delle cose terrene:"sciam omnia angusta esse mensus deum " (Naturales quaestiones , I, 17), saprò che tutto è meschino dopo aver misurato dio

[2] Protagora, fr. 6b D. K. Cfr. Platone, Apologia di Socrate, 19b. Fa parte dell’atto di accusa contro Socrate.

[3] Si rivolge a Menelao

[4] Indica Ecuba.

[5] Priamo

[6] Ecuba, incinta di Paride, aveva sognato di partorire una fiaccola accesa: “ dalou' pikro;n mivmhma” (Troiane, v. 922), amara immagine di una torcia consumata. Cfr. l’Alexander di Ennio, - - traduzione dell’Alessandro di Euripide - : “Mater gravida parere se ardentem facem - visa est in somnis Hecuba” (fr. 19 Traglia vv. 1 - 2), la madre gravida Ecuba nel sogno si vide partorire una fiaccola ardente. La fiaccola è latrice di significato simbolico ambivalente: evoca le nozze ma anche i funerali, come risulta da questo verso di Properzio dove Cornelia dice :"viximus insignes inter utramque facem" (IV, 11, 46), sono vissuta nella luce tra l'una e l'altra fiaccola (quella delle nozze e quella del rogo funebre). Il nesso tra il sorgere di una nuova vita e il fulmine invece preconizza la nascita di un individuo eccezionale. Olimpiade poco prima di concepire Alessandro sognò che scoppiasse un tuono e che un fulmine la colpisse nel ventre (e[doxe bronth'~ genomevnh~ ejmpesei'n aujth'" th'/ gastri; keraunovn, Plutarco, Vita, 2, 3) e che dalla ferita si levasse un gran fuoco che si divise in fiamme poi si spense. Si può pensare anche alla nascita di Dioniso: Semele è la madre fulminata (Euripide, Baccanti, v. 6) fatta partorire dal fuoco folgorante (Baccanti, v. 3).

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