PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIAntonio Canova, Elena
Elena
L'antitesi di tanta virtù incarnata nella troiana Andromaca è impersonata
da Elena la spartana (hJ Lavkaina, Andromaca,
486) cui Ecuba rinfaccia la sensualità e l'avidità per le quali vanamente
la donna fatale ha cercato di incolpare una o più dee: " Mio figlio era di
bellezza sovrumana, e l'animo tuo, vedendolo, si fece Cipride: infatti tutte le
stoltezze sono Afrodite per gli uomini; e il nome della dea comincia
giustamente come quello di follia (ta; mw'ra ga;r pavnt' ejsti;n jAfrodivth
brotoi'" - kai; tou[nom' ojrqw'" ajfrosuvnh" a[rcei brotoi'") . E tu, dopo averlo visto fulgente nell'oro delle vesti barbare,
divenisti frenetica nell'anima. Infatti ti aggiravi in Argo con poca roba e,
abbandonata Sparta, sperasti di affondare nelle spese la città dei Frigi dove
l’oro scorreva a fiumi: non ti era sufficiente la casa di Menelao per
trasmodare nei tuoi lussi" (Troiane, vv.987 - 997).
Per quanto riguarda il biasimo della “spartana”, Virgilio nel VI dell’Eneide rappresenta
Deifobo che racconta la propria morte in maniera da dare risalto alla frode di
Elena, la egregia…coniunx (v. 523), l’”egregia” sposa. Ebbene
il delitto esiziale della figlia di Zeus, scelus exitiale Lacaenae (v.
511), è un ricordo, non altrimenti carico di disprezzo della Lavkaina euripidea echeggiato da Lacaena.
“Tib. Claudio Donato ribadisce il carattere oltraggioso dell’epiteto, quasi
omnes, quae inde oriantur, tales sint ut decipiant maritos et fallant.
Evidente è il riferimento alla sorella Clitemestra, la cui raffigurazione nell’Agamennone eschileo
è stata avvertita presente nella fantasia del poeta. Deifobo nel suo racconto
si astiene dal fare il nome della sposa traditrice. Cfr. anche il fr. 8 Vahlen
dell’Alexander di Ennio (v. 71): quo iudicio (quello
di Paride) Lacedemonia mulier, furiarum una adveniet ” [1].
Elena, insomma, è la donna che distrugge, il contrario di Andromaca,
o di Alcesti e di Ifigenia che si sacrificano.
Elena come tipo sessuale è quello dell'etera che "tenta di
impiegare tutta la forza e il tempo dell'uomo per sé (…) Come la madre è un principio
amico della vita, la prostituta è un principio nemico (…) Ella vuol distruggere
e venire distrutta, ella danneggia e annienta"[2].
Nelle Troiane, Andromaca identifica Elena con l’a[th (v. 103).
Fu a causa della figlia di Zeus che il veloce Ares dio dell’Ellade dalle
mille navi distrusse Troia (Andromaca , vv. 105 - 106).
Nell’Agamennone di Eschilo, Elena è la donna fatale e letale
"che porta in dote a Ilio la distruzione"(v.406), un dono latore di
morte, come quelli della Pandora di Esiodo[3] regalata
agli uomini per indebolirli, dopo che erano stati potenziati dal fuoco di
Prometeo.
Elena può essere nello stesso tempo, o in tempi diversi, personificazione
di Afrodite e di Nemesi, della gioia amorosa e della vendetta divina.
K. Kerényi fa questa distinzione: "O Nemesi o Afrodite: queste
sono le due possibilità della bellezza femminile, di cui ci parlano le
trasformazioni del mito di Nemesi e di Helena. O rimanere la figlia di Nemesi
e, dal fondo del senso della colpevolezza, elevarsi a punizione dell'umanità
(ed Omero respinge questa soluzione) - oppure (e la Helena dell'Iliade è
l'eterno simbolo di quest'altra) servire l'esigente ed indifferente Signora e
portare lo splendore, immune di colpa, di Afrodite, quale destino proprio e
destino tragico per gli uomini mortali"[4].
"In un colloquio con Priamo essa si definisce kuvnwpi", "svergognata"[5]. Eppure!
Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani stanno immobili, come le
cicale, seduti presso le porte della città: essi, i saggi, i bravi oratori,
immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare, accompagnata dalle sue due
fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si potevano distinguere, perché
essa era involta in un luminoso velo bianco - gli anziani esclamano tra di
loro: "Ouj nevmesi" - non è una
nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano da tanto tempo e
soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee immortali"[6]. Parole
semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia per mezzo di
esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto della bellezza
dal peccato"[7].
Ebbene questo riscatto non è riconosciuto dall'Ecuba delle Troiane
che dice a Menelao:” ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di
vederla che non ti prenda con il desiderio. Ella infatti possiede tanta
seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia le
case ("ejxairei' povlei", - pivmprhsin oi[kou"", vv. 891 - 892). Euripide qui probabilmente ricorda " JElevnan ejpei;
prepovntw" eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone
(vv. 689 - 691) di Eschilo.
Nel secondo stasimo dell'Agamennone il
coro presenta i diversi aspetti di questa splendidissima donna: " Chi
mai diede un nome così del tutto vero (…) ad Elena le cui nozze furono
causa di guerra, donna oggetto di contesa poiché chiaramente distruggitrice di
navi (eJlevna" ), di
uomini (e[landro"), di
città? (eJlevptoli")[8]”? Secondo la credenza antica del nomen - omen Eschilo
etimologizza in maniera fantasiosa il nome dell'adultera connettendone la prima
parte con il radicale eJl - (cfr. l'aoristo ei|lon di aiJrevw, "tolgo di mezzo"). Nella
seconda parte vengono ravvisate, non senza forzatura, le parole nau'~, ajnhvr e ptovli". Quando giunse a Ilio, la
splendidissima era come: "un pensiero di bonaccia senza vento, un
tranquillo ornamento di ricchezza, un tenero dardo degli occhi, un fiore
d'amore che morde l'animo; ma poi, mutata, compì l'amaro fine del matrimonio,
funesta compagna e funesta amante, scagliatasi contro i Priamidi scortata da
Zeus protettore degli ospiti, Erinni che reca pianto alle spose"(Agamennone,
vv.739 - 749).
giovanni ghiselli
[1] Ettore
Paratore (a cura di) Virgilio, Eneide, vol III, libri V - VI.
[2] O. Weininger, Sesso e carattere , I tipi sessuali, p.238
ss.
[3] Nella Teogonia Esiodo racconta che Zeus si era sdegnato poiché
Prometeo l' aveva ingannato donando agli uomini il fuoco, ed egli, subito, in
cambio del fuoco preparò per loro un malanno ( " aujti;ka d j
ajnti; puro;" teu'xen kako;n ajnqrwvpoisi "
(v. 570). Questo male fu plasmato da Efesto con la terra: era simile ad una
vereconda fanciulla che Atena adornò con un cinto, una veste, un velo, serti di
fiori e una corona d'oro dove lo stesso Ambidestro aveva cesellato figure di
fiere terribili, quanti ne nutre la terra ed il mare (v. 582). Una
prefigurazione delle leonesse, le tigri e le scille in cui vengono trasfigurate
Clitennestre e Medee. Comunque questa creatura divenne uno splendido malanno
("kalo;n kakovn", v. 585) per gli uomini, un inganno scosceso
(" dovlon aijpuvn", v. 589)
e senza rimedio. Ecco già delineato il "popolo nemico" da cui
derivano a quello dei maschi malanno e sciagura ("ph'ma", v.592).
Nelle Opere Esiodo torna sull'argomento: Zeus diede agli
uomini un male, la donna in cambio del fuoco:"Toi'" d' ejgw; ajnti; puro;" dwvsw
kakovn" (v. 57). Anche nel " più recente e paesano
dei due poemi d'Esiodo che ci restano" la donna riceve ornamenti e
attributi speciosi: Afrodite le
versò sul capo la grazia e la passione struggente e gli affanni che fiaccano le
membra ("cavrin...kai; povqon ajrgalevon kai; guiokovrou"
meledwvna" ", vv.
65 - 66). 6.
[4]K.
Kerényi, La nascita di Helena di Miti e Misteri ,
pp. 54 e 55
[5]Iliade, III, 180. Noi l'abbiamo
trovato nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo tradotto "faccia di
cagna".
[6]156 - 158.
[7]K. Kerényi, Miti e misteri ,
p. 54.
[8] Vv. 681 ss.
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