NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 21 gennaio 2021

Euripide. 31

Antonio Canova, Elena
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Elena

 

L'antitesi di tanta virtù incarnata nella troiana Andromaca è impersonata da Elena la spartana (hJ Lavkaina, Andromaca, 486) cui Ecuba rinfaccia la sensualità e l'avidità per le quali vanamente la donna fatale ha cercato di incolpare una o più dee: " Mio figlio era di bellezza sovrumana, e l'animo tuo, vedendolo, si fece Cipride: infatti tutte le stoltezze sono Afrodite per gli uomini; e il nome della dea comincia giustamente come quello di follia (ta; mw'ra ga;r pavnt' ejsti;n jAfrodivth brotoi'" - kai; tou[nom' ojrqw'" ajfrosuvnh" a[rcei brotoi'") . E tu, dopo averlo visto fulgente nell'oro delle vesti barbare, divenisti frenetica nell'anima. Infatti ti aggiravi in Argo con poca roba e, abbandonata Sparta, sperasti di affondare nelle spese la città dei Frigi dove l’oro scorreva a fiumi: non ti era sufficiente la casa di Menelao per trasmodare nei tuoi lussi" (Troiane, vv.987 - 997).

 

Per quanto riguarda il biasimo della “spartana”, Virgilio nel VI dell’Eneide rappresenta Deifobo che racconta la propria morte in maniera da dare risalto alla frode di Elena, la egregia…coniunx (v. 523), l’”egregia” sposa. Ebbene il delitto esiziale della figlia di Zeus, scelus exitiale Lacaenae (v. 511), è un ricordo, non altrimenti carico di disprezzo della Lavkaina euripidea echeggiato da Lacaena.

“Tib. Claudio Donato ribadisce il carattere oltraggioso dell’epiteto, quasi omnes, quae inde oriantur, tales sint ut decipiant maritos et fallant. Evidente è il riferimento alla sorella Clitemestra, la cui raffigurazione nell’Agamennone eschileo è stata avvertita presente nella fantasia del poeta. Deifobo nel suo racconto si astiene dal fare il nome della sposa traditrice. Cfr. anche il fr. 8 Vahlen dell’Alexander di Ennio (v. 71): quo iudicio (quello di Paride) Lacedemonia mulier, furiarum una adveniet ” [1]

 

 Elena, insomma, è la donna che distrugge, il contrario di Andromaca, o di Alcesti e di Ifigenia che si sacrificano.

 Elena come tipo sessuale è quello dell'etera che "tenta di impiegare tutta la forza e il tempo dell'uomo per sé (…) Come la madre è un principio amico della vita, la prostituta è un principio nemico (…) Ella vuol distruggere e venire distrutta, ella danneggia e annienta"[2].

Nelle Troiane, Andromaca identifica Elena con l’a[th (v. 103).

 

Fu a causa della figlia di Zeus che il veloce Ares dio dell’Ellade dalle mille navi distrusse Troia (Andromaca , vv. 105 - 106).

 

Nell’Agamennone di Eschilo, Elena è la donna fatale e letale "che porta in dote a Ilio la distruzione"(v.406), un dono latore di morte, come quelli della Pandora di Esiodo[3] regalata agli uomini per indebolirli, dopo che erano stati potenziati dal fuoco di Prometeo.

 

Elena può essere nello stesso tempo, o in tempi diversi, personificazione di Afrodite e di Nemesi, della gioia amorosa e della vendetta divina.

K. Kerényi fa questa distinzione: "O Nemesi o Afrodite: queste sono le due possibilità della bellezza femminile, di cui ci parlano le trasformazioni del mito di Nemesi e di Helena. O rimanere la figlia di Nemesi e, dal fondo del senso della colpevolezza, elevarsi a punizione dell'umanità (ed Omero respinge questa soluzione) - oppure (e la Helena dell'Iliade è l'eterno simbolo di quest'altra) servire l'esigente ed indifferente Signora e portare lo splendore, immune di colpa, di Afrodite, quale destino proprio e destino tragico per gli uomini mortali"[4].

"In un colloquio con Priamo essa si definisce kuvnwpi", "svergognata"[5]. Eppure! Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani stanno immobili, come le cicale, seduti presso le porte della città: essi, i saggi, i bravi oratori, immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare, accompagnata dalle sue due fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si potevano distinguere, perché essa era involta in un luminoso velo bianco - gli anziani esclamano tra di loro: "Ouj nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano da tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee immortali"[6]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto della bellezza dal peccato"[7].

 

Ebbene questo riscatto non è riconosciuto dall'Ecuba delle Troiane che dice a Menelao:” ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di vederla che non ti prenda con il desiderio. Ella infatti possiede tanta seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia le case ("ejxairei' povlei", - pivmprhsin oi[kou"", vv. 891 - 892). Euripide qui probabilmente ricorda " JElevnan ejpei; prepovntw" eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone (vv. 689 - 691) di Eschilo.

 

Nel secondo stasimo dell'Agamennone il coro presenta i diversi aspetti di questa splendidissima donna: " Chi mai diede un nome così del tutto vero (…) ad Elena le cui nozze furono causa di guerra, donna oggetto di contesa poiché chiaramente distruggitrice di navi (eJlevna" ), di uomini (e[landro"), di città? (eJlevptoli")[8]? Secondo la credenza antica del nomen - omen Eschilo etimologizza in maniera fantasiosa il nome dell'adultera connettendone la prima parte con il radicale eJl - (cfr. l'aoristo ei|lon di aiJrevw, "tolgo di mezzo"). Nella seconda parte vengono ravvisate, non senza forzatura, le parole nau'~, ajnhvr e ptovli". Quando giunse a Ilio, la splendidissima era come: "un pensiero di bonaccia senza vento, un tranquillo ornamento di ricchezza, un tenero dardo degli occhi, un fiore d'amore che morde l'animo; ma poi, mutata, compì l'amaro fine del matrimonio, funesta compagna e funesta amante, scagliatasi contro i Priamidi scortata da Zeus protettore degli ospiti, Erinni che reca pianto alle spose"(Agamennone, vv.739 - 749).

 

giovanni ghiselli



[1] Ettore Paratore (a cura di) Virgilio, Eneide, vol III, libri V - VI.

[2] O. Weininger, Sesso e carattere , I tipi sessuali, p.238 ss.

[3] Nella Teogonia Esiodo racconta che Zeus si era sdegnato poiché Prometeo l' aveva ingannato donando agli uomini il fuoco, ed egli, subito, in cambio del fuoco preparò per loro un malanno ( " aujti;ka d j ajnti; puro;" teu'xen kako;n ajnqrwvpoisi " (v. 570). Questo male fu plasmato da Efesto con la terra: era simile ad una vereconda fanciulla che Atena adornò con un cinto, una veste, un velo, serti di fiori e una corona d'oro dove lo stesso Ambidestro aveva cesellato figure di fiere terribili, quanti ne nutre la terra ed il mare (v. 582). Una prefigurazione delle leonesse, le tigri e le scille in cui vengono trasfigurate Clitennestre e Medee. Comunque questa creatura divenne uno splendido malanno ("kalo;n kakovn", v. 585) per gli uomini, un inganno scosceso (" dovlon aijpuvn", v. 589) e senza rimedio. Ecco già delineato il "popolo nemico" da cui derivano a quello dei maschi malanno e sciagura ("ph'ma", v.592).

Nelle Opere Esiodo torna sull'argomento: Zeus diede agli uomini un male, la donna in cambio del fuoco:"Toi'" d' ejgw; ajnti; puro;" dwvsw kakovn" (v. 57). Anche nel " più recente e paesano dei due poemi d'Esiodo che ci restano" la donna riceve ornamenti e attributi speciosi: Afrodite le versò sul capo la grazia e la passione struggente e gli affanni che fiaccano le membra ("cavrin...kai; povqon ajrgalevon kai; guiokovrou" meledwvna" ", vv. 65 - 66). 6.

[4]K. Kerényi, La nascita di Helena di Miti e Misteri , pp. 54 e 55

[5]Iliade, III, 180. Noi l'abbiamo trovato nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo tradotto "faccia di cagna".

[6]156 - 158.

[7]K. Kerényi, Miti e misteri , p. 54.

[8] Vv. 681 ss.

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