NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 11 gennaio 2021

Sofocle. 6

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Argomento

L’umanesimo dei personaggi di Sofocle quali sopra tutti Antigone e Teseo

 

Nei testi di Sofocle si trova un continuo zampillare di quelle gocce luminose che costituiscono la voce misteriosa degli oracoli e nello stesso tempo l'intimità della coscienza religiosa dell'uomo europeo, tanto che risuona analoga in autori lontani nel tempo e nello spazio. Essa si scontra con il pensiero antroponomo in una collisione tragica che tuttavia non esclude un ottimismo di fondo consistente in un assenso alla volontà divina la quale non può essere cattiva siccome permea questo mondo bello e sacro, rigoglioso di lauri, olivi e viti, allietato dal dolce canto degli usignoli numerosi in mezzo alla boscaglia di Colono, il demo natale del poeta.

E. Rohde, in Psiche scrive: Sofocle "è di quegli uomini molto pii ai quali basta d'intendere appena la volontà divina per sentirsi pervasi di reverenza, e che non hanno il bisogno di giustificare questa potente volontà dal punto di vista dei concetti umani di moralità e di bontà" (p.568).

 

Il verso 523 dell’Antigone è emblematico dell’umanesimo di Sofocle. A Creonte che vorrebbe legittimare l’insepoltura del nipote Polinice, morto da nemico, la ragazza replica: "ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfilei`n e[fun”, Certamente non sono nata per condividere l'odio ma l'amore".

Sul significato di "amore" in questo verso, sentiamo

 V. Ehrenberg:"Dobbiamo intendere il termine "amore" senza le posteriori implicanze erotiche o cristiane - come e[rw" o come ajgavph, bensì concepirlo puramente come filiva, - ed infatti tale è la sua designazione in questo passo - , qualora intendiamo captare una delle componenti che agiscono in seno alle leggi non scritte di Antigone. L'amore come filiva, come opposto rispetto all'"odio" o all'"inimicizia" (in greco designati con il medesimo termine), è un vincolo umano che forse appare più vicino all'amicizia che all'amore; esso costituisce il vincolo che unisce gli uomini ed è uno dei fondamenti su cui poggiava la società greca"[1].

 

E. Fromm sostiene che "Antigone rappresenta l'umanità e l'amore; Creonte, il despota totalitario, l'idolatria dello stato e l'ubbidienza"[2].

 Inoltre:"Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo"[3].

 

Anche nell’Antigone di B. Brecht la potagonista afferma di vivere per l'amore, non per l'odio, e al tiranno, che l'accusa di non vedere "il divino ordinamento dello Stato", ribatte:"Sarà divino, ma lo vorrei piuttosto/Umano, figlio di Meneceo, Creonte".

 

Antigone è una delle donne indomite della tragedia greca. “Elettra, Antigone, Ecuba, Giocasta, Medea, Fedra, Agave possono essere annientate, ma non sono mai né sottomesse né vinte. Creonte non ha mai vinto, non vincerà mai Antigone. E il potere che annienta, o persuade, ma che non vince, ha in sé, come dice Euripide, in una vertiginosa anticipazione di Simone Weil, qualcosa di malato. Così anche i discorsi più radicalmente contestatori del potere, non solo umano, ma anche divino, sono affidati a donne”[4].

 

La legge naturale dell'amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo "tiranno":" ajll j eij povlin thvnd j ejxevsws j, ouj moi mevlei" (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa città, non mi importa.

 

Un'altra espressione di umanesimo, forse la più alta, è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.

Il sapere di essere uomo che cosa significa e comporta? Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande:"kaiv s joijktivsa" - qevlw jperevsqai[5], duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Comporta ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato fuggiasco come te"(vv.562 - 563)."Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567 - 568). E’, di nuovo, il tw`/ pavqei mavqo~.

 

“Neppure in questo dramma domina un pessimismo cupo e senza speranza. L’energia creativa che per un favore degli dèi era stata conservata a Sofocle e gli aveva fatto trasfigurare la fine di Edipo, lo aiutava anche a superare i lati oscuri della vita. E se lo addoloravano le contese e le discordie dominanti nell’Atene del suo tempo, egli si rifugiava, come Platone in vecchiaia, nel passato, e nella sua opera creava un’Atene ideale, la città più pia e quindi più felice che, retta da un principe nobile e umanissimo, aiutava gli oppressi”[6].

 

E’ la sumpavqeia della quale si ricorderà Virgilio, quando farà dire a Didone, rivolta al naufrago Enea: “ Quare agite o tectis, iuvenes, succedite nostris./Me quoque per multos similis fortuna labores/iactatam hac demum voluit consistere terra;/non ignara mali miseris succurrere disco” (Eneide, I, 627 - 630), perciò, avanti giovani, entrate sotto i nostri tetti. Anche me un destino del genere, dopo avermi sbattuta attraverso molti travagli, volle che finalmente mi fermassi in questa terra. Non ignara del dolore ho imparato a soccorrere gli infelici. Tale humanitas viene echeggiata dalle prime parole del Decameron: "Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti"[7], ma non verrà contraccambiata dalla pietas spietata di enea.

 

Secondo Leopardi è l’uomo forte che si consente la compassione per i deboli: “L’uomo forte ma nel tempo stesso magnanimo, deriva senza sforzo e naturalmente dal sentimento della sua forza un sentimento di compassione per l’altrui debolezza, e quindi anche una certa inclinazione ad amare, e una certa facoltà di sentire l’amabilità, trovare amabile un oggetto, maggiore che gli altri. Ed egli suol sempre soffrire con pazienza dai deboli, piuttosto che soverchiarli, ancorché giustamente”[8].

 

Alla voce di fatto vedo

Nell’ultima tragedia di Sofocle, Edipo da cieco, impara ad ascoltare:"Egli chiede informazioni sul luogo in cui si trova, sulla natura e gli usi che sono propri di tale luogo, nonché sui modi di adeguarsi ad essi. "Nascondimi nel bosco, finché abbia sentito che cosa diranno" (vv. 114 - 115), dice ad Antigone. E il coro si rivolge a lui per la prima volta con queste parole: "Odi, o infelice errante? (v. 165). Antigone lo avverte: "E' meglio che entriamo ora, e che li ascoltiamo (v. 171). "Alla voce, vedo" (fwnh'/ ga;r oJrw' , v. 138). Essere vivi è ascoltare: il Coro descrive la morte come "senza imenei senza lira senza cori" (v. 1222). Edipo impara la preghiera dal Coro ascoltando (ajkou'sai bouvlomai[9], v. 485). Se nel Tyrannos non riusciva a smascherare con lo sguardo l'inganno di Creonte, nell' Epi Kolonoi ci riesce con l'udito (ajkouveq', v. 881)"[10].

 

 giovanni ghiselli



[1]Op. cit., p. 50.

[2]Amore, sessualità e matriarcato , p. 21.

[3]La disobbedienza e altri saggi , p. 63.

[4] F. Rella introduzione a Euripide Baccanti,, p. 37.

[5] =ejperevsqai: infinito aoristo di ejpeivromai, domando.

[6] M. Pohlenz, La tragedia greca, p. 397.

[7] Che nella fattispecie sono in particolare le donne innamorate.

[8] Zibaldone, 941.

[9] Ascoltare voglio.

[10] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 129.

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