Gustave Doré, Le Oceanine
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Il racconto
è dolore ma anche il silenzio è dolore
Nella Parodo
della tragedia di Eschilo arriva il coro delle Oceanine a consolare il martire.
Le coreute sono figlie" del padre Oceano che si avvolge intorno a
tutta la terra con corrente instancabile" ( Prometeo incatenato,
vv.138 - 140).
Oceano è un
Titano fratello di Crono e di Giapeto, padre di Prometeo, quindi le coreute
sono cugine del martirizzato.
Anche Oceano
avvolgendo tutte le terre nega il principium individuationis.
Infatti
Erodoto, scrittore delfico e apollineo, nega che ci sia un Oceano.
Nel secondo
libro lo storiografo di Alicarnasso scrive: colui che ha parlato dell'Oceano
(" oJ de; peri; tou' jWkeavnou
levxa"", con
riferimento a Ecateo) e ha portato il discorso su cose oscure, non merita
nemmeno confutazione; io infatti non so che ci sia un fiume Oceano ("ouj gavr tina
oi\da potamo;n jWkeano;n ejovnta", II, 23), ma credo che Omero o qualcun altro
dei poeti vissuti prima di lui abbia inventato il nome e l'abbia introdotto
nella poesia.
Corrisponde
alla volontà di Pericle di non continuare la guerra contro i Persiani che era
stata ripresa dal suo avversario politico Cimone amico degli Spartani.
Pericle
invece tendeva a dominare la Grecia sottraendola tutta al predominio di Sparta,
sicché Europa e Asia non dovevano essere circonfuse da Oceano.
Le Oceanine,
pur piene di paura, manifestano solidarietà al loro congiunto, biasimando la
nuova generazione divina, i figli di Crono e Rea ( oltre Zeus, Poseidone, Ades,
Era e Demetra) i quali hanno preso il potere che era stato dei Titani: "nuovi
timonieri infatti / governano l'Olimpo: con inaudite/norme ora Zeus comanda
illegalmente"(vv.148 - 150).
Prometeo non
si limita al lamento; minaccia anche: "Eppure il presidente dei beati - makavrwn
pruvtani" - avrà
ancora/bisogno di me, sebbene io sia tormentato/nei forti ceppi,/perché gli
sveli il nuovo piano per il quale/si cerca di spogliarlo dello scettro e degli
onori"(vv. 167 - 171).
Insomma il
Titano conosce un segreto che però non intende rivelare prima di venire liberat
(vv. 174 - 1o76).
Il racconto
è dolore ma anche il silenzio è dolore
Il coro
avverte il ribelle: "il figlio di Crono ha un carattere inaccessibile/e un
cuore implacabile" (vv. 184 - 185); ma Prometeo, invece di lasciarsi
spaventare, ribadisce che il tiranno ha bisogno di lui, quindi dovrà scendere a
patti. Poi comincia un suo racconto poiché:
"dolorose
per me sono queste vicende da raccontare queste cose,/ma dolore è anche tacere,
e dappertutto è sventura"(vv. 197 - 198).
Due versi
questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964)
che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il
silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.
Così Enea racconta a Didone la
distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem (…) Sed si
tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire
laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide,
II, 3 e10 - 13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile (…) ma se
tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve
l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga
dal pianto, comincerò.
Nella Tebaide di Stazio (45 - 96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.
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