NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 8 gennaio 2021

Eschilo. "Prometeo incatenato", XIII

D’Annunzio
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Argomenti

Il potere nuovo deve essere duro siccome è fragile. Prometeo invoca la natura con versi riproposti da D’Annunzio. Prometeo nella sua preveggenza ha presofferto tutto

 

Torniamo al prologo della tragedia, quando Efesto, pur riluttante per compassione, deve incatenare il ribelle nella deserta solitudine della Scizia: infatti è Zeus che lo vuole e la sua mente è inesorabile:"a{pa" de; tracu;" o{sti" a}n nevon krath'/" (v. 35), chiunque comandi da poco tempo è duro.

Di questo verso si ricorderà Virgilio quando la sua Didone si giustifica con Enea: "res dura et regni novitas me talia cogunt /moliri et late fines custode tueri" (Eneide, I, 563 - 564), la dura condizione e la novità del regno mi costringono a tali precauzioni e a vigilare per lungo tratto i confini.

Didone e Zeus sono duri per difendere i loro regni nuovi dalle tante insidie che li minacciano.

Machiavelli cita questi versi di Virgilio per avallare e autorizzare questa sua affermazione: "Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli"[1].

Insomma è un arcanum imperii che, svelato, diventa lex.

 

Zeus non ha creato il mondo: è un dio della terza generazione che ha messo ordine cosmizzando gli orrori della prima (Urano e Gea) e della seconda (Crono, Rea, Giganti e Titani, gli eterni nemici della cultura). Il Cronìde e i suoi fratelli hanno liberato l'universo dai bruti che cercano sempre di rioccuparlo.

 

La lotta dell’ordine contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica: non solo di quella letteraria, ma pure dell'arte figurativa: le sculture del maestro di Olimpia con la lotta tra Centauri e Lapiti del frontone occidentale del tempio di Zeus; le metope del Partenone con centauromachia, amazzonomachia, gigantomachia, ora in gran parte nel British Museum di Londra; la gigantomachia, fregio dell'altare di Pergamo[2] che si trova a Berlino, esprimono la stessa idea . Infatti "non esiste( …) una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi"[3], contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[4].

 

“Non siamo noi a immettere nel mondo la bellezza o l’amore o l’ordine. Li troviamo già nel mondo, e rispondiamo ad essi in quanto siamo, nel nostro piccolo, corrispettivi di quelle potenze più grandi”[5]. Questo vale anche per il disordine che ha, pure esso, i suoi paradigmi storici e i suoi archetipi mitici.

 

 Prometeo, se da un lato è inventore di una tecnologia ambivalente, dall'altra fa parte di quelle creature caotiche le quali formavano il corteggio della Magna Mater mediterranea, che infatti viene invocata spesso nella tragedia di Eschilo dal Titano sofferente. Secondo M. Untersteiner anzi egli è uno dei Pramatas, i demoni che nel Mahabarata fanno parte del seguito di Siva, il dio distruttivo degli Indiani il quale può corrispondere a Crono. Prometeo dunque sarebbe il simbolo delle civiltà orientali arrivate attraverso il Caucaso dove si trova incatenato appunto perché la sua patria di origine è l'India preariana e matriarcale. Con il trionfo della religione olimpica questo figlio della Magna Mater viene sconfitto e l'implacabile logica indoeuropea del potere prevale sulla non logica della pietà. Del resto Eschilo crede che il progresso si attui nella fusione delle due civiltà.

 

Quando i suoi aguzzini si allontanano, l'incatenato invoca le forze della natura a comprenderlo e compiangerlo: “o etere divino e venti dalle ali veloci,/e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso/delle onde marine (pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'),/e il disco del sole che vede tutto, invoco:/vedete quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli dèi”(88 - 92).

 

Questi versi di Eschilo vengono ripresentati da Gabriele D’Annunzio: “Chi consolerà/Colui ch’ebbe a sé testimoni/il Sole, il Vento, /le sorgenti dei Fiumi, il riso/innumerevole delle onde marine,/la madre di tutte le cose, la terra?” (Elettra, Per la morte di un capolavoro)

La natura ridente e soleggiata contiene una promessa di riconciliazione.

Cfr. per converso il luogo infernale dell'Oedipus di Seneca dove non c'è luce[6] né speranza:" Tristis sub illa lucis et Phoebi inscius/restagnat humor, frigore aeterno rigens;/limosa pigrum circumit fontem palus" (vv. 545 - 547), sotto quella (una quercia) ristagna un'acqua cupa, che non conosce la luce del sole, irrigidita dal freddo eterno; una palude limacciosa circonda lasorgente inerte.

 

Prometeo si lamenta ma rivendica a sé la capacità di prevedere[7] e la volontà di favorire i mortali: "Eppure che dico? Conosco in anticipo tutto (pavnta proujxepivstamai)/esattamente come accadrà, né alcuna pena mi/raggiungerà imprevista (oujdev moi potaivnion - ph'm j oujde;n h{xei): ma il destino assegnato è necessario/ sopportarlo il più facilmente possibile, sapendo che/la forza della necessità è ineluttabile (to; th`~ ajnavgkh~ e[st j ajdhvriton sqeno~)"(vv.101 - 105).

 

 Il doloroso grido "io ho presofferto tutto" sarà ricorrente nella letteratura europea: dall'Eneide dove il pio eroe risponde così alla Sibilla che gli ha preconizzato disgrazie:"non ulla laborum,/o virgo, nova mi facies inopinave surgit;/omnia praecepi atque animo mecum ante peregi "(VI, 103 - 105), nessun aspetto dei travagli, vergine, mi si presenta nuovo o inaspettato: io mi sono già sobbarcato tutto e ho compiuto in anticipo dentro di me con la mente.

In Curzio Rufo Dario dice all’eunuco che gli portava la brutta notizia della morte della moglie Statira: “ cave miseri hominis auribus parcasdidici esse infelix, et saepe calamitatis solacium est nosse sortem suam” (4, 10, 26), non risparmiare le orecchie di un pover’uomo: ho imparato a essee infelice e spesse riconoscere il proprio destino è un sollievo della sventura

 Infine il Tiresia di T. S. Eliot:"and I Tiresias have foresuffered all ", ed io Tiresia ho presofferto tutto (La terra desolata, 243).

 

 Dunque Prometeo è anche una figura profetica e rivelatrice: tanto è vero che Zeus, nel terzo dramma a noi non pervenuto, Il Prometeo liberato[8], sarà costretto a venire a patti con lui per sapere che cosa dovrà evitare: poiché neppure l'arbitrio del primo tra gli dèi è illimitato.

 

 “Eschilo applica a Zeus l’insegnamento delle Eumenidi: la vittoria, da sola, non è sufficiente: perché sia una vittoria totale deve prima sopravvenire la riconciliazione con i vinti (…) Con ciò avviene qualcosa di estremamente ardito: il sommo degli dèi viene ad avere una storia (…) Il regime di Zeus acquista durata soltanto attraverso la moderazione, la disponibilità alla conciliazione ed evidentemente anche la giustizia”[9].

 

Il titano lamenta la propria punizione sbìta ingiustamente siccome causata dall’amore per l’unmanità: “guardate me incatenato, un dio dal destino difficile,/il nemico di Zeus, quello che è venuto in odio/ a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus/per il troppo amore dei mortali (dia; th;n livan filovthta brotw'n, vv. 119 - 123).

 

Non si deve dimenticare del resto che livan significa la dismisura che per i Greci fa sempre parte dell' u{bri" .

Si pensi al “mh; livhn” di Archiloco (fr. 128 West v. 7)

 

giovanni ghiselli




[1] Il Principe, XVII

[2] 180 - 160 a. C.

[3] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.

[4] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore , p. 144.

[5] J. Hillman, La forza del carattere, p. 253.

[6] "La luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto ciò che è buono e salutare. In tutte le religioni indica l’ eterna salvezza, mentre l'oscurità indica dannazione" (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , p. 274). Infatti all'inizio delle Metamorfosi Ovidio mette in rilievo che durante l'era del Caos l'aria mancava di luce e le cose non avevano aspetto stabile: "lucis egens aër: nulli sua forma manebat " (I, v. 17). Anche qui c'è il motivo della confusione. 

[7] Il suo nome significa quello che pensa in anticipo, al contrario del fratello Epimeteo che"non era saggio per niente" secondo il Protagora di Platone, 321b - c, e favoriva gli animali privi di ragione. 

[8] Il primo era il Prometeo portatore di fuoco.

[9] C. Meier, L’arte politica della tragedia greca, p. 194.

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