NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 10 gennaio 2021

Sofocle. 2

Giocasta ed Edipo
dal film Edipo re di Pasolini
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Argomenti

La blasfemia di Giocasta e di Edipo.

Si bestemmia contro gli oracoli e tramontano gli dèi.

 

 La bestemmia contro il numinoso che, nel poeta di Colono, come in Erodoto, aleggia sulla terra assumendo varie forme, viene ribadita da Edipo più avanti, in complicità scellerata con la regina Giocasta che grida: "O vaticini degli dei, dove siete?" (946 - 947) e insiste: “ascolta quest'uomo e, udendolo, considera/dove sono andati a finire i sacri vaticini del dio - ta; sevmn j i{n j h{kei tou` qeou` manteuvmata - " (952 - 953).

 

A proposito del numinoso che aleggia impalpabile aggiungo questa nota“Sofocle, è noto, non amava raffigurare direttamente il soprannaturale sulla scena, come fa invece, in forme ancora fortemente arcaiche, Eschilo”[1]

 

Si tratta del messo giunto da Corinto per annunciare la morte del re Polibo presunto padre di Edipo.

 Edipo fa eco alla moglie e madre con quest’altra tirata blasfema: "Ahi, perché dunque, o donna, uno dovrebbe osservare/ il fatidico focolare di Delfi o gli uccelli/ che schiamazzano in alto? tou;" a[nw - klavzonta" o[rnei" ; (965 - 966) I vaticini dati, li ha presi/ Polibo che giace presso Ade, ed essi non valgono nulla qevspimata a[xi’ oujdenov"" (971 - 972.). Sono ovviamente le profezie relative all’uccisione del padre da parte di Edipo il quale credendo ancora di essere figlio di Polibo afferma che gli oracoli sono stati smentiti.

 

Edipo e Giocasta dunque sono rappresentanti di quel pensiero laico - sofistico cui Sofocle si oppone con tutta la sua produzione poetica, e più che mai con l’ Edipo re, dove il coro, portavoce dell'autore, nella prima strofe del secondo Stasimo, "punto nodale della tragedia"[2], canta:"Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare/ la sacra purezza delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi/sublimi, procreate/attraverso l'etere celeste di cui Olimpo è padre da solo né le /generava natura mortale di uomini/né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia - mevga" ejn touvtoi" qeov", oujde; ghravskei - (vv. 863 - 872).

"Da questi versi risuona chiaro ad ognuno l'addolorato avvertimento del poeta:"la religione è in pericolo", la religione che per lui coincide con le leggi non scritte, eterne e divine che rappresentano il fondamento morale della vita sociale. Con tutta la forza della sua convinzione egli scende in campo per essa nel luogo sacro, per umiliare con la rappresentazione della storia sacra la superbia dell'intelletto, per fugare il dubbio e per sostenere la fede vacillante"[3].

 

Sofocle pensa che se il pensiero sofistico prevarrà, non avrà più senso scrivere tragedie.

:"Se infatti tali azioni sono onorate,/ perché io devo eseguire la danza sacra?" ( eij ga;r toiaivde pravxei" tivmiai - tiv dei` me coreuvein; vv.895 - 896).

Attraverso questo secondo stasiomo il poeta domanda: se si perde la fede negli dèi e nei loro profeti, perché io devo scrivere tragedie?

Infatti con la morte di Sofocle finì la grande tragedia greca classica.

 

Se gli oracoli vanno in malora e Apollo è dimenticato va in malora il divino conclude questo coro (e[rrei de; ta; qei`a, v.910); allora la stessa rappresentazione tragica, che fa parte della liturgia religiosa, perde ogni significato e diviene assurda.

Tale sopravvalutazione dell'intelligenza porta Edipo ad un attivismo smisurato[4] il cui termine è, come per ogni dismisura, il dolore. Lo ha capito perfettamente un non specialista come Marcel Proust quando scrive:" E meglio di un coro di Sofocle sull'umiliato orgoglio di Edipo, meglio della morte stessa e di qualsiasi orazione funebre, il saluto premuroso e umile del barone alla signora di Saint - Euverte proclamava quanto di fragile e perituro c'è nell'amore d'ogni terrena grandezza e d'ogni umana superbia"[5].

 

Bologna 10 gennaio 2021 giovanni ghiselli

 

p. s

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[1] Sofocle, Edipo a Colono (a cura di) G. Avezzù e G. guidorizzi, p. XV.

[2]W. Nestle, Storia della religiosità greca , p. 218.

[3]Nestle, op. cit., p. 219.

[4] In La nascita della tragedia (cap.9) Nietzsche ha sottolineato che il tendere e lo sforzarsi nella vita attiva, ha portato il figlio di Laio prima alla sventura, poi alla passività di Colono dove il "paziente", entrato in una sfera di trasfigurazione, raggiunge infine la sua dimensione benefica riconoscendo i limiti stretti dell'attività e dell'intelligenza umana. 

[5] (Il tempo ritrovato, p.190).

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