PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIGiocasta ed Edipo
dal film Edipo re di Pasolini
Argomenti
La
blasfemia di Giocasta e di Edipo.
Si
bestemmia contro gli oracoli e tramontano gli dèi.
La bestemmia contro
il numinoso che, nel poeta di Colono, come in Erodoto, aleggia sulla terra
assumendo varie forme, viene ribadita da Edipo più avanti, in complicità
scellerata con la regina Giocasta che
grida: "O vaticini degli dei, dove
siete?" (946 - 947) e insiste: “ascolta quest'uomo e, udendolo,
considera/dove sono andati a finire i sacri vaticini del dio - ta; sevmn j i{n j h{kei tou`
qeou` manteuvmata
- " (952 - 953).
A proposito del numinoso
che aleggia impalpabile aggiungo questa nota“Sofocle, è noto, non amava
raffigurare direttamente il soprannaturale sulla scena, come fa invece, in
forme ancora fortemente arcaiche, Eschilo”[1]
Si tratta del messo giunto
da Corinto per annunciare la morte del re Polibo presunto padre di Edipo.
Edipo fa eco alla
moglie e madre con quest’altra tirata blasfema: "Ahi, perché dunque, o
donna, uno dovrebbe osservare/ il fatidico focolare di Delfi o gli uccelli/ che
schiamazzano in alto? tou;" a[nw - klavzonta" o[rnei" ; (965 - 966) I vaticini dati, li ha presi/ Polibo che
giace presso Ade, ed essi non valgono nulla qevspimata a[xi’ oujdenov"" (971 - 972.). Sono
ovviamente le profezie relative all’uccisione del padre da parte di Edipo il
quale credendo ancora di essere figlio di Polibo afferma che gli oracoli sono
stati smentiti.
Edipo e Giocasta
dunque sono rappresentanti di quel pensiero laico - sofistico cui Sofocle si
oppone con tutta la sua produzione poetica, e più che mai con l’ Edipo
re, dove il coro, portavoce dell'autore, nella prima strofe del secondo
Stasimo, "punto nodale della tragedia"[2], canta:"Oh, mi accompagni sempre la sorte di
portare/ la sacra purezza delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali
sono stabilite leggi/sublimi, procreate/attraverso l'etere celeste di cui
Olimpo è padre da solo né le /generava natura mortale di uomini/né mai
dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia - mevga" ejn touvtoi"
qeov", oujde; ghravskei - (vv. 863 - 872).
"Da questi
versi risuona chiaro ad ognuno l'addolorato avvertimento del poeta:"la
religione è in pericolo", la religione che per lui coincide con le leggi
non scritte, eterne e divine che rappresentano il fondamento morale della vita
sociale. Con tutta la forza della sua convinzione egli scende in campo per essa
nel luogo sacro, per umiliare con la rappresentazione della storia sacra la
superbia dell'intelletto, per fugare il dubbio e per sostenere la fede
vacillante"[3].
Sofocle pensa
che se il pensiero sofistico prevarrà, non avrà più senso scrivere tragedie.
:"Se infatti tali
azioni sono onorate,/ perché io devo eseguire la danza sacra?" ( eij ga;r toiaivde pravxei"
tivmiai - tiv dei` me coreuvein; vv.895 - 896).
Attraverso questo secondo
stasiomo il poeta domanda: se si perde la fede negli dèi e nei loro profeti,
perché io devo scrivere tragedie?
Infatti con la morte di
Sofocle finì la grande tragedia greca classica.
Se gli oracoli vanno in
malora e Apollo è dimenticato va in malora il divino conclude questo coro (e[rrei de; ta; qei`a, v.910); allora la stessa
rappresentazione tragica, che fa parte della liturgia religiosa, perde ogni
significato e diviene assurda.
Tale sopravvalutazione
dell'intelligenza porta Edipo ad un attivismo smisurato[4] il cui termine è, come per ogni dismisura, il
dolore. Lo ha capito perfettamente un non specialista come Marcel Proust quando
scrive:" E meglio di un coro di Sofocle sull'umiliato orgoglio di Edipo,
meglio della morte stessa e di qualsiasi orazione funebre, il saluto premuroso
e umile del barone alla signora di Saint - Euverte proclamava quanto di fragile
e perituro c'è nell'amore d'ogni terrena grandezza e d'ogni umana superbia"[5].
Bologna 10 gennaio
2021 giovanni ghiselli
p. s
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[1] Sofocle, Edipo a Colono (a cura di) G.
Avezzù e G. guidorizzi, p. XV.
[2]W. Nestle, Storia
della religiosità greca , p. 218.
[3]Nestle, op. cit., p. 219.
[4] In La nascita della tragedia (cap.9) Nietzsche ha sottolineato che il tendere
e lo sforzarsi nella vita attiva, ha portato il figlio di Laio prima alla
sventura, poi alla passività di Colono dove il "paziente", entrato in
una sfera di trasfigurazione, raggiunge infine la sua dimensione benefica
riconoscendo i limiti stretti dell'attività e dell'intelligenza umana.
[5] (Il
tempo ritrovato, p.190).
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