Tra demagogo cuoiaio e quello salsicciaio presso un popolo educato male vince il più ignobile.
L’oracolo dice che un altro mercante (pwvlh"), uno che esercita un mestiere straordinario, un ajllantopwvlh~ (143)-ajlla`~-a`nto~ oj salsiccia., insomma un salsicciaio farà fuori Paflagone.
Proprio in quel momento, per destino, compare un ambulante che reca un banco pieno di budella.
Servo I lo chiama swth;r salvatore della città e di loro due (148)
I due servi lusingano il salsicciaio: nu'n oujdeiv", au[rion d j uJpevrmega" (158), tu ora sei niente ma domani grande. Sarai duce (tagov") della beata Atene.
Questo si sente deriso (tiv m j katagela'") e chiede perché, invece di canzonarlo, non gli lascino lavare le trippe (pluvnein ta;" koiliva") e vendere le salsicce (pwlei'n te tou;" ajlla'nta") 160-161.
Ma Servo I indicando il pubblico gli dice che sarà signore di tutti loro, dell’Agorà, dei porti e della Pnice. Calpesterai la boulhv, farai a pezzi gli strateghi, manderai la gente in galera e nel Pritanèo laikavsei" irrumabis, imporrai la fellatio. Prova a salire sul tavolo e a guardare il Mediterraneo con tutti i porti, da est a ovest, dalla Caria a Cartagine. Così sarai beato
Salsicciaio domanda “sarò beato, se mi storcerò gli occhi? ” (175)
Servo I: No, grazie a te, tutto può diventare oggetto di mercato (176).
Si pensi alla globalizzazione.
“Diventerai ajnh;r mevgisto", come dice l’oracolo” (178) .
“Ma io sono solo un salsicciaio, come diverrò un uomo importante?”
“Proprio per questo diventerai potente: sei un poveraccio uno triviale e sei sfrontato” (180-181).
Aristofane vuole dire che i valori sono stati capovolti.
Si può pensare all’Oedipus si Seneca: L'ordine naturale è sovvertito affermano queste parole di Manto:"Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta " (vv. 366-367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Salsicciaio fa: “ oujk ajxiw' jgw' jmauto;n ijscuvein mevga (182)”, io non mi ritengo degno di tanto potere
Allora il Servo I: “mw`n ejk kalw'n kajgaqw'n ? 184, sei forse nato da gente per bene?
“No, da poveri farabutti piuttosto” 185
“Beato per la tua sorte: è il meglio che ti potesse capitare per la carriera politica eij" ta; pravgmata (187), si congratula Servo I.
Ancora l’Oedipus di Seneca: Tutto si trova fuori posto nel corpo emblematico degli animali sacrificati:" Natura versa est; nulla lex utero manet " (v.371), la natura è sovvertita, nessuna regola sussiste per il ventre materno (371) .
Il Salsicciaio non ha studiato plh;n grammavtwn (189) a parte le lettere dell’alfabeto e per giunta male.
Servo I “Ma conoscerle pure se male è l’unica cosa che ti danneggia!”
La demagogia non si addice a uomini istruiti e di buoni costumi, ma a uno ignorante e schifoso eij" ajmaqh' kai; bdelurovn (193).
Servo I ricorda l’oracolo che profetizza la vittoria del Salsicciaio.
Aristofane prende da Omero (Iliade, XII, 200 ss) l’immagine della lotta tra l’aquila e il serpente che afferrato dall’uccello rapace poi lo colpisce nel petto vicino al collo e l’aquila deve lasciar cadere la preda. Il serpente sembrava stupido e soccombente, invece l’ha avuta vinta
L’uccello, straziato dal dolore, fuggì a volo, tra i soffi del vento, strillando. Come farà Paflagone.
I Troiani rabbrividirono vedendo torcersi il serpente per terra. L’indovino Polidamante interpreta il segno come brutto per i Troiani l’aquila volava verso destra, poi non ha avuto successo. Ettore però gli risponde laicamente: tu vuoi che io obbedisca agli uccelli dei quali io non mi do pensiero né cura tw'n ou[ ti metatrevpom j oujd j ajlegivzw (238) . Ma Ettore aveva torto.
Non che queste creature alate conoscano il futuro, “sed volatus avium dirigit deus ”[1]. Del resto l’ Amleto di Shakesoeare dirà: “ There is special Providence in the fall of a sparrow (Hamlet, V, 2).
Anche nella Parodo dell’ Agamennone di Eschilo il Coro canta che Artemide casta per pietà è irata con gli alati cani del padre (134-135), le aquile che hanno divorato una lepre gravida. La dea stugei' de; dei'pnon aijetw'n, odia il pasto delle aquile (138)
Il servo I spiega a Salcicciaio che l’aquila di cuoio, dall’artiglia adunca, corrisponde a Paflagone che soccomberà e il dio darà grande gloria ai trippai a meno che preferiscano vendere salsicce ( pwlei'n ajlla'nta", 201)
Il serpente invece è lo stesso salsicciaio poiché il rettile come la salsiccia è makrovn, una cosa lunga (206) ed entrambi bevono sangue- ei\q j aiJmatopwvth" e[sq j o{ t j ajlla`" cwj dravkwn (208)
Il serpente prevarrà sull’aquila se non si lascia ammorbidire dalle chiacchiere (210) ai[ ke mh; qalfqh/' lovgoi" –qavlpw, scaldo.
Quindi Servo I spiega a Salsicciaio come si governa: deve pasticciare e insaccare insieme gli affari pubblici (tavratte kai; covrdeu j oJmou' ta; pravgmata, 214), e conquistare il popolo addolcendolo con manicaretti di parole. Gli altri requisiti del demagogo li hai: fwnh; miarav, voce ripugnante, sei malnato e piazzaiolo gevgona" kakw'" , ajgorai'o" ei\ (218).
Dunque mettiti la corona e liba al dio della stupidità (Koavlemo" (221)
Koavlemo" era anche il soprannome del nonno di Cimone, Plutarco, Vita, 4, 4. Cimone era figlio di Milziade che morì in prigione nel 489 perché dopo Maratona non era riuscito a conquistare Paro. Il figlio che rimase orfano da ragazzo aveva fama di beone dissoluto. Dicevano che fosse simile a suo nonno Cimone soprannominato Coalemo, cioè babbeo.
Cimone nel 462 fece un errore politico che gli rovinò la carriera mandando truppe ateniesi in soccorso degli spartani che combattevani gli Iloti ribelli.
I Lacedemoni congedarono gli Ateniesi per timore di una contaminazione culturale.
Salcicciaio obietta che Paflagone è temuto dai ricchi e pure il popolo povero ne ha paura, tanto che se la fa addosso.
Allora Demostene ricorda che ci sono iJpph'" a[ndre" ajgaqoi; civlioi (225) mille valorosi che odiano Paflagone a aiuteranno Salcicciaio. E lo faranno anche tw'n politw'n oiJ kaloiv te kajgaqoiv, e chiunque sia una persona perbene tra gli spettatori, e io con loro, e il dio ci assisterà.
Paflagone ha una maschera che non assomiglia a Cleone siccome nessuno dei fabbricanti di costumi oujdei;" tw'n skeuopoiw'n (232) ha voluto farla somigliante, per paura. Ma il pubblico del teatro è intelligente e il mostro verrà riconosciuto.
A proposito di kaloiv te kajgaqoiv Leopardi nota che i Greci intendentissimi del bello (Zibaldone, 2546) non potevano separarlo dal buono
La crasi tra bello e buono che troviamo nella parola kalokajgaqiva viene commentata da Leopardi in questo modo: il greco era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
giovanni ghiselli
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