Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica
Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica
LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna - Tutte le date link per partecipare da casa: meet.google.com/yj...
giovedì 30 settembre 2021
Il ridicolo della magniloquenza.
Le Rane di Aristofane. XXXIV parte. Il pregio della chiarezza e il disprezzo degli dotti affabulatori incomprensibili. Eschilo vince la gara
PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI Statua di Eschilo davanti al museo di Gela
Euripide dice che se uno mettesse Cleocrito come ali a
Cinesia i venti li solleverebbero sulla distesa marina (1436-1437).
Cinesia era un ditirambografo magrissimo (cfr. v.
153), Cleocrito era pesante (cfr. Uccelli 878 dove è invocata la potente Struzza-Cibele
madre di Cleocrito).
E’ un nonsense che Dioniso non capisce. Euripide ne
infila altri e altri ancora ne aggiunge Eschilo, sicché Dioniso chiede di
parlare in maniera meno dotta e più chiara ajmaqevsteron kai; safevsteron (1445).
Nietzsche contro i dotti
Nel capitolo Dei dotti , Zarathustra associa l’ombra
alla “casa dei dotti” ai quali si contrappone: “Io sono troppo ardente e riarso
dai miei stessi pensieri: spesso mi si mozza il fiato. E allora bisogna che
fugga all’aperto, via dal chiuso delle stanze polverose. Loro invece siedono
freddi nell’ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori e si
guardano bene dal mettersi a sedere dove il sole arde i gradini. Simili a
quelli che in mezzo alla strada guardano a bocca spalancata i passanti, essi
pure aspettano e guardano a bocca spalancata i pensieri che altri hanno
pensato” .
Quindi : “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano:
perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni
uccello giace spennato” .
Alla richiesta di chiarezza accosto la polemica di
Schopenhauer contro la filosofia (hegeliana) delle università, fatta di
"ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la loro verbosità perfino
le verità più comuni e più comprensibili" .
In latino Lucrezio condanna gli stolti che ammirano e
amano quanto rimane nascosto sotto parole contorte:"omnia enim stolidi
magis admirantur amantque/inversis quae sub verbis latitantia cernunt "(
De rerum natura, I, 641-642), gli stolti ammirano e amano di più tutto ciò che
scorgono nascosto sotto parole contorte.
Quindi Cicerone:"quae sunt recta et simplicia
laudantur" , ricevono lode gli aspetti schietti e semplici.
Euripide consiglia di combattere le battaglie navali
armati di ampolle con dell’aceto da spruzzare negli occhi ai nemici (1440-1441)
Allora Dioniso gli fa: eu\ g j w\ Palavmhdeς , w] sofwtavth fuvsiς (1451), bravo Palamede, che natura ingegnosa! Ma l’hai trovata tu
questa o Cefisofonte?
Euripide risponde : io da solo, le acetiere Cefisofonte
(1453)
.
Palamede è un personaggio della saga troiana:
inventore, come Prometeo, di lettere e numeri, venne fatto morire dall’odio di
Odisseo che lo calunniò come traditore. Euripide aveva scritto la tragedia Palamede
su questo argomento.
Eschilo propone che gli Ateniesi considerino come
propria la terra nemica, come nemica la propria; quale risorsa le navi povron
de; ta;" nau`" e quale perdita le entrate- ajporivan de; to;n povron- 1465
Dioniso ricorda che bastano i giudici popolari a
dissanguare l’erario (1466)
La risorsa delle navi ricorda il responso dell’oracolo
che prima di Salamina consigliò agli Ateniesi di rifugiarsi nelle mura di legno
(cfr. Erodoto, VII, 141). E anche quanto dice Pericle in Tucidide I, 143.
Plutone gli fa fretta perché decida.
Euripide gli rammenta che gli ha giurato di riportarlo
a casa.
Allora Dioniso ricorda un mezzo verso dell’Ippolito di
Euripide (612) : “hJ
glw'tt j ojmwvmok j , la lingua ha giurato (
l’altra metà dice: hJ
de; frh;n ajnwvmotoς, la mente
no). E’ il protagonista che parla.
Cicerone traduce iuravi linguā, mentem iniuratam gero”
( De officiis, III, 29, 107).
Dioniso dunque conclude Aijscuvlon d j aiJrhvsomai, ma sceglierò Eschilo (1471)
Euripide si infuria e giudica ai[sciston l’ e[rgon di Dioniso il quale replica citando mezzo verso
dell’Eolo di Euripide: che cosa è turpe se non sembra agli spettatori? (1476)
Euripide chiede con insistenza a Dioniso di non
lasciarlo morto nell’Ade, allora il dio cita un verso del Poliido (fr. 638) di
Euripide “tivς d’ oi\den eij to; zh'n me;n ejsti
katqanei'n”, 1477 che continuava così: “to; katqanei'n de; zh'n kavtw
nomivzetai;” chi sa se il vivere è essere
morto e l’essere morto laggiù è considerato vivere?
Plutone invita Dioniso ed Eschilo a entrare nella
reggia dove vuole ospitarli pima della partenza. Euripide deve rimanere
nell’Ade.
Pesaro 30 settembre 2021 ore 18, 25
giovanni ghiselli
1 Così parlò Zarathustra, Dei dotti.
2 Così parlò Zarathustra, p. 352.
3 Parerga e paralipomena p.210, vol.I
4 Cicerone, De officiis, I, 130.
Un quesito ai miei lettori.
Le Rane di Aristofane. XXXIII parte. I giudizi su Alcibiade. Un poco di storia. Questa nasce dalla poesia
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Giambattista Vico afferma che "la storia romana
si cominciò a scrivere da' poeti", e inoltre, utilizzando un passo di
Strabone (I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed Ecateo: "prima
d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia
essere stata scritta da' lor poeti".
Un giudizio apprezzato anche da Pavese: "Ciò che
si trova di grande in Vico - oltre il noto - è quel carnale senso che la poesia
nasce da tutta la vita storica; inseparabile da religione, politica, economia;
"popolarescamente" vissuta da tutto un popolo prima di diventare mito
stilizzato, forma mentale di tutta una cultura".
Dioniso consiglia a Euripide di cercare ti tw`n barustavqmwn 1397 qualcosa di molto pesante
Allora Euripide cita dal suo Meleagro: prese con la
destra il legno appesantito dal ferro sidhrobriqe;ς xuvlon 1402.
Una lancia dunque e forse Aristofane vuole significare
che pure Euripide ha cantato la guerra.
Di fatti se essa è maledetta nelle Troiane, viene
invece propugnata caldamente dalla protagonista nell’Ifigenia in Aulide.
Eschilo
risponde con “carro su carro e morto sopra morto” 1403
Dioniso dà ancora la vittoria a Eschilo dicendo:
neppure cento Egizi oud
j eJkato;n Aijguvptioi potrebbero alzare
due carri e due cadaveri.
Erodoto nel
secondo libro delle sua Storie (124) racconta l’immenso lavoro compiuto da
centinaia di migliaia di Egiziani per costruire la piramide di Cheope.
Eschilo propone che sulla bilancia salgano Euripide, i
figli, la moglie con Cefisofonte, e tutti i suoi libri: non basterebbero a
contrappesare un paio dei propri versi.
Dioniso è incerto: uno lo considero bravo, l’altro mi
piace, non vuole essere lui a scegliere - kajgw; me;n autou;" ouj krinw` (1411).
Pensate a quanti si astengono dal voto nelle elezioni
politiche: probabilmente per la ragione contraria a quella di Dioniso: alcuni
partiti o candidati considerano incapaci, altri dispiacciono.
Per fortuna, con la residenza a Pesaro, non dovrò
votare per il prossimo sindaco.
Entra in scena Plutone e spinge Dioniso a scegliere,
anche per dare un senso al suo viaggio che non sarà stato fatto mavthn (1416) inutilmente.
Dioniso allora dice ai due contendenti di essere sceso
agli inferi in cerca di un poeta perché la città si salvi e abbia il suo teatro
- i[n j hj
povli" swqei`sa corou;" a[gh/
(1419).
La salvezza della polis è collegata al teatro perché
il teatro era la scuola del popolo e, come abbiamo detto più volte, quando non
funziona la scuola nulla funziona. Rimane viva solo la ciarla vana degli incompetenti
chiamati alla ribalta magari perché hanno vinto un titolo di mister o di miss.
Verrà riportato sulla terra quello dei due che saprà
dare un consiglio valido alla città. Quindi Dioniso domanda ai due quale
opinione ciascuno abbia su Alcibiade, una figura molto discussa.
Era già stato attaccato da Eupoli nei Battezzatori e
negli Adulatori dove faceva la parte del damerino in casa del ricco Callia.
Dioniso aggiunge hj povli" ga;r dustokei` (1423). La città ha un parto difficile, doloroso con
questo suo figlio.
Alcibiade aveva procurato alcuni beni e non pochi
mali: il danno più grosso la spedizione in Sicilia, da lui voluta nel 415. Poi,
in seguito all’accusa di avere mutilato le Erme e profanato i misteri, era
stato costretto a lasciarla incompiuta e indirizzata al fallimento, quindi era
passato agli Spartani; dopo del tempo, nel 408, era tornato ad Atene risollevandone
temporaneamente le sorti, poi, in seguito alla sconfitta subita da un suo
luogotenente, era andato in esilio e poco dopo i quarantanni era stato ucciso
forse dai fratelli di una ragazza da lui sedotta. Si gettò dalla finestra nel
fuoco appiccato dai fratelli offesi o dai sicari mandati dai suoi nemici
politici.
Vita variopinta assai.
Stava comunque declinando quella sua giovinezza e
follia che sembrava essere oltre i limiti naturali" (hJ ejmh; neovth" kai;
a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai"
Tucidide, VI, 17) che era stata vantata da lui stesso di fronte al popolo prima
della spedizione in Sicilia.
Viene da pensare che un personaggio come Alcibiade, il
giovane leone allevato in casa dell'altro leone che aveva fatto di Atene la
scuola dell'Ellade , non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla
propria giovinezza.
Probabilmente
fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori della sua giovinezza, per non
arrivare all'età del Casanova di Arthur Schnitzer il quale "a cinquantatré
anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore andava lentamente
spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più dal giovanile
piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine dell'avanzante vecchiaia" che
Alcibiade volle morire in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta dall'
Eros fulminatore che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi
gentilizi.
Plutone chiede a Dioniso quale sia l’opinione sua e il
dio risponde che Atene sente la mancanza di Alcibiade e lo odia, e comunque
vuole averlo . Vero segno di contraddizione
Poi il dio domanda ai dei due poeti quale sia la loro
opinione.
Euripide risponde: odio il cittadino che si mostra
lento nel giovare alla patria bradu;ς wjfelei'n pavtran, rapido nel
danneggiarla molto megavla
de; blavptein tacuvς (1428), ricco di risorse per
se stesso, privo di mezzi per la patria- kai; povrsimon aujtw`/, th`/ povlei d j ajmhvcanon 1429.
Eschilo dice “non bisogna allevare in città un
cucciolo di leone ouj
crh; levontoς skuvmnon ejn povlei trevfein
(1432) ma una volta che l’hai fatto crescere bisogna asservirsi ai versi del
suo carattere”.
Nell’Agamennone di Eschilo è Elena assimilata a un
cucciolo di leone (vv. 717ss,). Valerio Massimo (età di Tiberio) scrive che
Aristofane rappresentò in una sua commedia Pericle che vaticinava non oportere
in urbe nutriri leonen, sin autem sit altus, obsequi ei convenire (Factorum et
dictorum memorabilium lobri IX, VII, 2, stran. 7).
Dioniso rimane incerto duskrivtwς e[cw (1433): uno ha parlato sofw'ς abilmente, l’altro safw'ς chiaramente (1434)
Quindi domanda ai due contendenti quale via di
salvezza- h{ntin j
swvterivan- vedano per la città (Rane,
1436) .
Pesaro 30 settembre 2021 ore 10, 44.
giovanni ghiselli
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mercoledì 29 settembre 2021
Le Rane di Aristofane. XXXII parte. La pesatura dei versi. Eschilo è in vantaggio
Maria Callas nella Medea di Pasolini |
Dioniso fa una battuta: anche questo mi tocca, dei kai; tou`tov' me, ajndrw'n poihtw'n turopwlh'sai tevcnhn (1369) vendere come il formaggio l’arte dei poeti.
Pensate ai libri mostrati dai conduttori televisivi
come prodotti commerciali messi sui banchi del supermercato.
Al coro la trovata di pesare i versi pare un prodigio
nuovo (tevraς
- neocmovn 1371-1372) cui non avrebbe mai pensato.
I due rivali si avvicinano ai piatti della bilancia e
ognuno recita un verso.
Euripide il primo della sua Medea “ei[q j w[fel j jArgou`" mh;
diaptavsqai skavfo"” Medea 1, Rane 1383).
Riporto la mia traduzione dei primi 15 versi della
tragedia di Euripide
“Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo
attraverso
le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,
e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai
il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le
mani
degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello
tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,
Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra
di Iolco
sconvolta nel cuore dal desiderio di Giasone;
né, dopo avere convinto le figlie di Pelia ad
ammazzare
il padre, sarebbe venuta ad abitare questa terra
corinzia
con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita
ai cittadini dei quali giunse alla terra in esilio
e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a
Giasone;
e questa appunto è la più grande salvezza:
quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo”.
Segue un ponderoso verso dal Filottete di Eschilo
“Fiume Spercheo e dimore di pascoli di buoi”, v. 1383) e il piatto della
bilancia scende di più poiché, spiega Dioniso a Euripide: “su; d j eijsevqhka"
tou[po" ejpterwmevnon” (Rane, 1388),
tu ci hai messo un verso con le ali (cfr Medea, v. 1 diaptavsqai è infinito aoristo III da diapevtomai passo volando ), mentre Eschilo ci ha posato un fiume
e ha inzuppato d’acqua il suo verso, come fanno i mercanti di lana (ejriopwlikw'~, 1386).
Il pubblico delle Rane poteva ricordare il primo verso
della Medea poiché l’attenzione è più vigile nelle parti incipitarie delle
rappresentazioni e la memoria relativa alle prime battute è più tenace .
Euripide quindi recita un altro dalla sua Antigone : “oujk e[sti Peiqou'ς iJero;n a[llo plh;n lovgoς” (1391), non c’è altro tempio della Persuasione che
la Parola.
"La nostra civiltà si è decisamente allontanata
dal posto che la persuasione occupava nella latinità. Suada infatti - come del
resto Peitho ("persuasione" in greco ) - era una Dea, e suadeo, con
la sua radice di suavis , ha a che fare con "il rendere dolce,
piacevole", come un tenero amante che conosce l'arte delle dolci parole e
sa come dare piacere per rendere la vita amabile, gradevole. Nel mondo greco,
Peitho compariva per lo più come una figura a sé stante o come un attributo
associato ad Atena e Afrodite. La persuasione è essenzialmente un potere di
seduzione, attraverso la parola intelligente e convincente (Atena) oppure
attraverso il fascino dei modi e la bellezza della figura (Afrodite). Il dono
maggiore di Peitho è la retorica, il dono dell'eloquenza convincente" .
La forza della persuasione continua comunque a essere
uno strumento decisivo per il successo. Sopra tutti quello politico, quello
lavorativo e quello erotico.
"Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et
tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare
Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars
amatoria (II, 123-124) Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario
del seduttore.
Non si può persuadere senza piacere: persuadeo latino
è etimologicamente imparentato con aJndavnw,
"piaccio". Per piacere bisogna essere belli assai, oppure si deve
essere bravi, emozionanti nel parlare.
Cicerone fa notare l'equivalenza tra la Peiqwv dei Greci e la Suada dei latini : “Peiqwv quam vocant Graeci, cuius effector est orator, hanc Suadam appellavit Ennius” , quella che i Greci chiamano Peiqwv, Ennio chiama Suada, e chi la produce è l’oratore.
Qundi sta ad Eschilo: “Solo Morte tra gli dèi non ama
i doni”
Dioniso nota che il piatto di Eschilo scende: “qavnaton ga;r eijsevqghke, baruvtaton
kakw'n (1394) poiché ci ha messo la
morte, il male più grave di tutti.
Euripide protesta contro l’arbitro rivendicando
l’eccellenza del proprio verso
Ma Dioniso replica che Peiqwv invece
è cosa leggera (kou'fon) e non ha pensiero 1396.
Pesaro 29 settembre 2021 ore 21, 52
giovanni ghiselli
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Bla, bla, bla.
Le Rane di Aristofane. XXXI parte. I due tragediografi si canzonano a vicenda
PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI Anna, L'otre dei venti
http://www.memoriadise.it/lotredeiventi.htm
Dioniso vuole che Euripide ammaini le vele prima che la boccetta scateni una tempesta (1220-1221), come i venti usciti dall’otre donato da Eolo a Ulisse nel X canto dell’Odissea. Le metafore nautiche sono frequenti nelle tragedie.
Ma Euripide conta che sarà la boccetta ad andare in
frantumi.
Quindi recita un verso e mezzo dal prologo del Frisso
I: Cadmo figlio di Agenore, lasciata un giorno la città di Sidone- Frisso è il
ragazzo che arrivò nella Colchide sull’ariete dal vello d’oro.
Eschilo non cambia il suo ritornello: perse la
boccetta (1226).
Dioniso allora consiglia a Euripide ajpoprivw th;n lhvkuqon 1227, compra la boccetta, in modo che non rompa più i
prologhi.
Abbiamo visto l’invito a comprare rifiutato da
Diceopoli negli Acarnesi (32-36); qui nell’oltretomba è Euripide che rifiuta
tale richiesta - ouj
dh`t j- 1230 no di certo. Andrebbe
insegnato ai consumisti nostrani. Il mondo della polis e quello degli inferi
presentano parecchie corrispondenze.
Quindi Euripide recita l’incipit della sua Ifigenia
tra i Tauri “Pevloy
oJ Tantavleioς ejς Pi'san molw;n qoai'sin i{ppoiς” (1-2) , Pelope figlio di Tantalo, giunto a Pisa su
veloci cavalle ed Eschilo immancabile e implacabile fa: lhkuvqion ajpwvlesen (Rane 1233), perse la boccetta.
Pensate alla implacabilità pubblicitaria con la
ripetizione ossessiva degli inviti a comprare
Dioniso ripete il consiglio di pagare- ajpovdo"- per la boccetta in qualunque modo. Costa solo un
obolo ed è bellissima 1234.
Ancora la tecnica pubblicitaria e pure quella
propagandistica.
Pensate all’insistenza sulla sottomissione delle donne
in quanto genere. Serve a coprire la sottomissione di gran parte di un popolo
intero di donne e uomini ridotti in povertà e quasi in una condizione da
schiavi.
Non sono le donne, in quanto femmine invece che
maschi, a essere sfruttate e maltrattate ma quasi sempre le donne povere e
prive di potere come i tanti uomini che muoiono al lavoro.
Euripide insiste con il prologo del Meleagro e poi
quello della Melanippe la saggia.
Meleagro fu fatto morire dalla madre Altea perché il
figlio aveva ucciso i fratelli di lei.
La Melanippe sofè di Euripide viene ingravidata da
Poseidone durante l’assenza di suo padre Eolo e partorisce due gemelli; per
sfuggire all’ira di Eolo, la madre espone i gemelli nella stalla del padre, ma
essi vengono recuperati dai bovari, che, trovando i bambini allattati da una
mucca, decidono di raccoglierli e portarli dal padrone. Eolo, dopo un consulto
con suo padre Elleno, decide di bruciare i ragazzi come τέρατα
offerti agli dei, affidando la preparazione del
sacrificio alla stessa Melanippe. L’eroina cerca di distogliere il padre dal
sacrificio, spiegando in una rhesis che non si tratta di
alcun prodigio, ma alla fine è costretta ad ammettere la propria colpa
suscitando la violenta reazione paterna. La situazione era risolta
dall’intervento ex machina
di Ippo, la madre di Melanippe, che salvava i bambini
e prediceva il loro futuro glorioso.
Eschilo ripete il suo ritornello; allora Dioniso
insiste dicendo che le boccette spuntano sui prologhi di Euripide come gli
orzaioli negli occhi (w[sper
ta; su'k j ejpi; toi'sin ojfqalmoi'ς 1247).
Quindi dà il consiglio di attaccare i canti delle
tragedie di Eschilo.
Euripide assicura che ne metterà in rilievo la qualità
scadente e la monotonia (1249-1250)
Ma il Coro parteggia per Eschilo dicendo che ha
composto i canti più numerosi e belli - plei`sta dh ;- kai; kavllista mevlh (1254-1255) tra quelli sentiti fino ad allora.
Euripide assicura che farà presto a smontare questa
reputazione del rivale
Quindi presenta una parodia, che mette in ridicolo
l’oscurità dello stile ampolloso di Eschilo, accozzando un centone incomprensibile
di versi tratti da varie tragedie (1264-1272).
Dioniso vuole andare in bagno poiché con tutte queste
pene - dice - tw; nefrw;
boubwniw' (1280) sono gonfio nei reni.
Euripide continua a canzonare la lirica eschilea- le
arie per la cetra dopo quelle per il flauto- inzeppandola con toflattovqrattoflattovqrat trallalallera, trallalallà. tra un verso e l’altro.
C’è la volontà di denunciare la monotonia ritmica di
Eschilo e la mancanza di senso delle sue parole: ghirigori che non significano
nulla e non sono nemmeno divertenti come i ghiribizzi nonsensical di Edward
Lear. Perciò ve li risparmio.
Dioniso le chiama cantilene di chi attinge acqua dal
pozzo iJmoniostrovfou
mevlh (1297)
Eschilo risponde che non voleva cogliere i fiori dallo
stesso prato di Frinico sacro alle Muse. (I poeti sono api, la loro opera
miele)
Euripide invece, continua il rivale, raccatta da
tutto: dalle puttanelle (ajpo;
pornidivwn, 1301) dagli scòli di Melèto
(l’accusatore di Socrate che fu anche poeta tragico), dalle melodie carie per
flauti ajpo;
qrhvnwn, dai canti funebri e da quelli
conviviali (skolivwn ).
Poi chiede la lira per parodiare il rivale, ma subito
dopo si corregge dicendo che per ridicolizzare Euripide non c’è bisogno della
lira e chiede una che batta le nacchere da sola (pou' jstin hJ toi'" ojstravkoi" au{th
krotou'sa ; (1305). Quindi Eschilo invita
la Musa di Euripide ed entra una fanciulla nuda di cui Dioniso dice che non
faceva la lesbica oujk
ejlesbivazen, ou[ (1307), nel senso che
si tratta di una puttanella eterosessuale.
Eschilo poi fa una parodia di canti di Euripide. Ne
ridicolizza i vocalizzi con un dittongo ei ripetuto 6 volte eiJeieieiei - eiJlivssete
daktuvloiς favlaggeς 1314 vovo
vo vo volgete con le dita le trame al telaio. Segue un centone privo di senso.
Quindi apostrofa il rivale dicendo che compone i canti
imitando le dodici posizioni di Cirene, una famosa cortigiana.
Nelle Tesmoforiazuse (del 410) il
parente di Euripide quando vede comparire Agatone vestito da femmina dice: io
non vedo nessun uomo, vedo solo Cirene (Kurhvnhn d’ oJrw',
98).
Segue la parodia di un canto “a solo ” una monodia.
Euripide ne faceva uso molto più di Eschilo e Sofocle. Lo stile vuole essere
solenne mentre la situazione è futile: una ragazza sogna orrori e si sveglia
terrorizzata: allora si accorge che una vicina gli ha rubato un gallo - to;n ajlektruovna xunarpavsasa- e pure un gomitolo filato per venderlo al mercato.
La ladra poi è volata via sull’agile vigore delle ali. Quindi la ragazza invoca
truppe cretesi e Artemide ed Ecate con le cagne per una perquisizione
(1331-1355).
Eschilo vuole significare che a questa ragazza povera
tale preghiera non si addice.
Euripide dunque
non ha composto canti sulla grande battaglia epocale di Salamina, uno scontro
di mondi e di culture diverse, ma piccoli fatti esposti con micrologica lagna.
Cfr. l’elogio della ramazza da parte di Ione nello
Ione di Euripide :vv. 112 ss. “o splendido virgulto di alloro, mia ramazza con
cui spazzo il suolo del dio”
Dioniso non ne può più e dice. “pauvsasqon h[dh tw`n mevlwn”- 1364, smettetela ora voi due con i canti.
Allora Eschilo dice che vuole portare Euripide alla
bilancia ejpi; to;n
staqmo;n ga;r aujto;n ajgagei'n bouvlomai
(1365) per misurare to;
bavroς tw'n rJhmavtwn il peso delle
parole che valuterà quello dei due poeti.
Eschilo sa bene che le sue parole sono più pesanti.
Pesaro 29 settembre 2021 ore 11, 32 giovanni ghiselli
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martedì 28 settembre 2021
Le Rane di Aristofane. XXX parte. Come deve essere fatta la critica letteraria e come quella politica
PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI Nikiphoros Lytras, Antigone
Ora è la volta di Euripide che reciterà dei versi e farà
vedere che non ci sono zeppe - stoibhvn, imbottitura, parole
riempitive, non giustificate ed estranee a quanto si dice e[xw tou` lovgou (1179).
Dioniso gli dà la parola.
Il poeta parte dalla sua Antigone (non pervenuta a
noi) che inizia affermando Edipo prima era un uomo felice: “ h\n Oijdivpou" to; prw`ton
eujdaivmwn ajnhvr” 1182
Eschilo controbatte che invece era kakodaivmwn fuvsei, disgraziato per natura. Già prima di nascere era
condannato dal destino a uccidere il padre.
Quindi Euripide recita il verso 2 della sua Antigone
dove aggiunge “ei\t
j ajqliwvtatoς brotw'n”, poi Edipo diventò
il più disgraziato dei mortali (Rane, 118) , rilevandone il capovolgimento a farmakovς.
Esschilo replica che Edipo è sempre stato infelice:
appena nato, d’inverno, lo esposero in un vaso di coccio (ejn ojstravkw/ 1190), poi oijdw'n tw; povde,
gonfio nei piedi, andò da Polibo, quindi ancora giovane sposò una vecchia e[peita grau'n e[ghmen aujto;ς w]n neovς (1193) che per giunta era sua madre e alla fine ejxetuvflwsen auJtovn, si acciecò (Rane, 1194) .
Dioniso ironicamente dice “sì, felice come Erasinode”.
Era uno degli
strateghi delle Arginuse che pure dopo la vittoria vennero condannati a morte a
furor di popolo.
Fu un momento assai critico della democrazia ateniese.
Vediamone alcuni aspetti raccontati da Senofonte
Ci fu un processo contro gli strateghi che non avevano
salvato i naufraghi durante la tempesta successiva alla battaglia (406),
Gli accusati
nella loro difesa, breve poiché non fu concesso loro il tempo di parlare
stabilito dalla legge "kata; to; novmon" (Elleniche,
I, 7, 5), ricordarono di avere appunto ordinato a Teramene e Trasibulo di
soccorrere i naufraghi, ma non volevano incolparli solo perché venivano
accusati da loro, anzi ribadivano che era stata la violenza della tempesta a
impedire il recupero: "ajlla; to; mevgeqo" tou' ceimw'no" ei'jnai to; kwlu'san
thvn ajnaivresin"(I, 7, 6).
“Gli strateghi volevano in definitiva salvare tutti,
diluendo le responsabilità fra se stessi e i trierarchi a loro subordinati; ma
è proprio Teramene che, ad evitare anche ogni possibile sviluppo negativo,
parte all’attacco, calcando la mano sulla responsabilità degli strateghi, i
quali finiscono necessariamente schiacciati tra il furore del popolo e le
accuse del subordinato” .
Già gli accusati stavano convincendo l'assemblea,
quando il dibattito venne aggiornato dopo tre dì di festa, e per la volta
seguente i seguaci di Teramene prepararono uomini vestiti di nero e rasati
("pareskeuvsan
ajnqrwvpou" mevlana iJmavtia e[conta" kai ejn crw' kekarmevnou" ", I, 7, 8) perché si presentassero in assemblea
come se fossero parenti dei morti. Quindi convinsero il consigliere Callisseno
a formulare una proposta di condanna a morte. Si presentò perfino un tale a
dire che si era salvato sopra un barile di farina (favskwn ejpi; teuvcou"
ajlfivtwn swqh'nai, I, 7, 11) e che i
naufraghi morendo lo avevano incaricato di accusare gli strateghi di mancato
soccorso. Ci fu un tentativo di difesa, ma nella massa oramai era stato
inoculato l'odio e il desiderio del capro espiatori ed essa gridava che era
grave se qualcuno non permetterva al popolo di fare quanto voleva ("to; de; plh'qo" ejbova
deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon pravttein o} a]n bouvlhtai", I, 7, 12)."E' la rivendicazione che
riecheggia minacciosamente in assemblea ad Atene durante il processo popolare
contro i generali delle Arginuse", è, come vedremo, "la formula che
caratterizza, secondo Polibio, la degenerazione della democrazia (VI, 4,
4:" quando il popolo è padrone di fare quello che vuole")”.
Da notare che la parola plh`qo~ ,
dalla radice pla-/plh
(q), è imparentata con i
vocaboli latini plebs, plenus, impleo (riempio).
Euripide ribadisce che i suoi prologhi sono belli
(1197)
Eschilo afferma che basta un lhkuvqion, una boccetta, un’ampollina, un vaso di piccole
dimensioni a collo stretto per demolire i prologhi di Euripide. Infatti i versi
del rivale sono composti in modo che dentro può starci tutto: una pelliccetta,
una boccetta, una borsetta, 1200
Piccoli oggetti che si confanno alla poesia
micrologica di Euripide il quale dovrà recitare tre versi di suoi prologhi, ed
Eschilo metterà la zeppa lhkuvqion
ajpwvlesen perse la boccetta 1203.
L’autore della
grandiosa Orestea si appresta a dimostrare la pochezza del rivale sfidandolo ad
autocitarsi.
Euripide parte dal mito delle Danaidi: cita due versi
e mezzo del prologo dell’Archelao dove si racconta che Egitto sbarcò in Argo con
i suoi cinquanta figli che inseguivano le cinquanta figlie di Danao
Eschilo aggiunge lhkuvqion ajpwvlesen perse
la boccetta (1208).
Dioniso invita Euripide a fare un altro tentativo
Il poeta allora cita tre versi dal prologo
dell’Ipsipile con Dioniso che si lancia danzando sul Parnaso tra le fiaccole
(1211-1213)
Eschilo ripete il suo ritornello lhkuvqion ajpwvlesen perse la boccetta.
Euripide fa un terzo tentativo tentando di dare voce a
una legge universale, ma dopo tutto si tratta di un tovpo" molto diffuso.
Sono i primi versi della perduta Stenebea la regina di
Tirinto (o di Argo) la moglie di Preto la quale si innamorò di Bellerofonte
come abbiamo già detto
Vediamoli: “ oujk e[stin o{stiς pavnt janh;r eujdaimonei ', non c’è uomo che sia felice in tutto se “nato bene
non ha di che vivere, se in umil sorte…
Eschilo completa con il solito: perse la boccetta
L’impossibilità di essere felice Euripde la denuncia
compiutamente nella Medea
“Tra i mortali infatti non c'è nessun uomo che sia
felice,
quando passa un'ondata di prosperità, uno può
diventare
più fortunato
di un altro, ma felice nessuno” (vv. 1228- 1230)
Voglio aggiungere una considerazione di didattica e di
politica a questa parte del mio commento.
Quando si fa presenta un testo a un uditorio, oppure a
dei lettori, si devono fare delle citazioni testuali per confermare i giudizi
sul testo, insomma la critica. Credo che anche la critica politica debba fare
dei nomi, citare delle parole dei personaggi criticati e ricordare i loro atti.
Altrimenti la critica è inefficace, è aria fritta.
Nel numero odierno del quotidiano “la Repubblica” a
pagina 24 c’è un articolo di Michele Serra intitolato “L’epoca della
fragilità”.
L’argomento è quello trattato anche da me nei pezzi di
ieri
L’incipit di Serra è questo: “Effettivamente la
spigolatrice di Sapri mostra il culo, su questo non c’è dubbio”. L’insieme del
pezzo è ragionevole: l’autore insomma non dice cose storte. Però non dice
abbastanza. Non fa nomi perché non gli conviene e non riferisce le bestialità
dette da personaggi che hanno avuto ruoli di responsabilità nella nostra
Repubblica. Ho già riferito che Laura Boldrini ha detto che quella statua è
un’offesa contro le donne e rinnovo la citazione.
Giuste sono queste parole di Serra: “pare che quel
bronzo costituisca volontaria offesa alla libertà delle donne di non apparire
come un oggetto sessuale: argomento così indiscutibile, e così forte, che ci si
meraviglia possa essere messo a repentaglio da un paio di natiche di bronzo”
Seguono parole che invece voglio criticare ma prima
devo citarle: “Ecco, forse l’epoca della suscettibilità è soprattutto l’epoca
della fragilità. Ci si sente messi a repentaglio da molto poco, da un’opinione
avversa, da un luogo comune consumato, da una statua sgradita”.
Questa, correggo e aggiungo, è prima di tutto l’epoca
dell’assenza dello spirito critico, dell’appiattimento e del servilismo. Quelli
che vengono messi a repentaglio sono i beni supremi della cultura e libertà di
parola, del giudizio ossia della krivsi" ,
della facoltà del dissenso.
Pesaro 28 settembre 2021 ore 19
giovanni
ghiselli
Le Rane di Aristofane. XXIX parte
PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI Fidia, Dioniso, dal frontone orientale del Partenone
Difetti di alcuni versi di Eschilo secondo Euripide.
Ai morti bisogna ripetere le parole almeno tre volte. E pure a tanti ancora
vivi.
Euripide
biasima la ripetizione di un solo concetto con 2 sinonimi: h{kw ga;r ej" gh'n thvnde
kai; katevrcomai (Rane, 1153 e v. 3 delle
Coefore di Eschilo), sono giunto a questa terra e ci torno.
Il poeta critico sostiene che ha detto due volte la
stessa cosa Eschilo, il sapiente - di;" taujto;n hjmi`n ei\pen oj sofo;"
Aijscuvlo" (1154).
Il sapere di Eschilo rientra in quel sofovn che non è sofiva.
Cfr. "to; sofo;n d j ouj sofiva" (Euripide, Baccanti , v. 395), il sapere non è sapienza.
O anche: “Polumaqivh novon ouj didavskei (Eraclito fr. 82), il sapere molto non insegna ad
avere intelletto.
Dioniso dà ragione a Euripide.
Quindi Eschilo dà del chiacchierone a Dioniso
alleatosi con Euripide contro la sua poesia.
Il dio gli chiede una spiegazione ed Eschilo chiarisce
che tornare da un viaggio è un conto, rimpatriare da esiliato come Oreste è un
altro.
Euripide aggiunge un altro cavillo dicendo che Oreste
è rimpatriato di nascosto - lavqra/ - non con il permesso
dell’autorità 1168.
In effetti katevrcomai usato
da Eschilo al v. 1153 può significare il ritorno degli esiliati, per esempio
nell’Antigone di Sofocle dove Creonte ricorda che Polinice tornato come esule
fuga katelqwvn (200) tentò di distruggere con il fuoco la terra dei
padri e gli dèi della stirpe.
Eschilo cita altri due versi infilzando con la sua
critica la ridondanza di kluvein seguito da ajkou`sai-(1172)
udire e ascoltare. E’ una richiesta di Oreste al padre morto.
Eschilo risponde che quando parliamo ai morti non li
raggiungiamo nemmeno ripetendo tre volte- oi|" ouhde, tri;" levgonte" ejxiknouvmeqa (1176)
Alcune persone vive, non morte, e vivano pure a lungo,
continuano a scrivere sul mio facebook che la statua della spigolatrice di
Sapri è brutta e non c’è altro da dire. Eppure continuano a ribadirlo. Ho
cercato di chiarire, e lo spiego per l’ultima volta, che non ho scritto né
pensato che la statua sia bella, ma ho criticato il fatto che da una scultura
brutta alcune persone traggano occasione per scagliarsi contro la libertà di
espressione quando questa non è offensiva, e ribadisco che in quella brutta
statua non c’è alcuna offesa per le donne. Siccome alcuni trovano offensivo
quel calkov" in quanto kallivpugo",
temo che tra un po’ di tempo verrà vietato alle ragazze belle di venire al mare
in costume, una consolazione per gli occhi che hanno visto tante brutture,
dalle guerre allo sfruttamento, e una prova della bontà del creatore, chiunque
egli sia.
Pesaro 28 settembre 2021 ore 10, 41.
giovanni ghiselli
p. s
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Un chiarimento di cui sento il bisogno.
lunedì 27 settembre 2021
La spigolatrice callipigia.
Prendo posizione in favore di Nunzia Alessandra Schillirò e della sua libertà di parola.
Le Rane di Aristofane. XXVIII parte. Euripide, da ipercritico, cerca di smontare la grandezza di Eschilo
PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI
Vediamo i prologhi propone Euripide e chiede a Eschilo
di prenderne uno dalla trilogia Orestea.
Euripide si
appresta a smontare la grandezza del rivale accusandolo di essere stato poco
chiaro e perspicuo nella esposizione dei fatti - ajsafh;" ga;r h\n ejn th`/ fravsei tw`n
pragmavtwn (1122).
In effetti il primo pregio della parola è la sua
chiara visibilità.
Dioniso impone il silenzio e dà la parola a Eschilo.
Il drammaturgo cita i primi 3 versi delle sue Coefore:
Oreste entrando in scena prega Ermes ctonio, che veglia sul potere del padre
morto, di essergli alleato - suvmmaco" - 1127.
Euripide dice
di poter contestare più di dodici biasimi a questi tre versi. Afferma che
ognuno di essi presenta almeno venti errori- e[cei d’ e{kaston ei[kosin g j aJmartivaς - 1131
Eschilo chiede al collega rivale di chiarire.
Euripide lo fa in questo modo non implausibile: come
può Oreste dire che Ermes veglia sul potere del padre, un uomo che è stato assassinato
da una donna (dovloi"
laqraivoi", 1143) con occulti
inganni?
Anche me vengono in mente sempre tanti errori di logica
quando sfoglio “l’autorevole” quotidiano sul quale comunque mi informo.
Quando leggo che la pena di morte inflitta dai
Talebani ai criminali è una barbarie inaudita, mentre per alcune firme del
medesimo giornale gli Stati Uniti costituirebbero il modello supremo della
democrazia. Anche in questo colosso democratico le condanne a morte sono state
e vengono tuttora eseguite.
La pena
capitale è una barbarie, un assassinio legalizzato dovunque venga essa sia.
Eschilo risponde che il suo Oreste invoca Ermes quale jEriouvnion (1144) epiteto che si trova già nell’Iliade (20, 72) e viene interpretato come soccorritore. In questo contesto è avvicinabile a yucopompov", guida dei morti. Questo compito gli viene dal padre conclude l’autore delle Coefore.
Nell’ultimo canto dell’Odissea vediamo la processione
dei Proci morti ammazzati che seguono Ermes psicopompo per putridi sentieri
squittendo come pipistrelli (Odissea, XXIV, 6-10)
Euripide ribatte che lo sbaglio di Eschilo è più
grande se il padre ha dato a Ermes cqovnion gevra"
una funzione infera (1148).
Dioniso spalleggia Euripide dicendo che Ermes sarebbe
stato ordinato dal padre quale tumbwruvco" (1149), ladro
di tombe.
Allora Eschili se la prende con Dioniso e il vino di
lui: “ Diovnuse,
pivnei" oi\non oujk anoqsmivan
1150 -, Dioniso, bevi un vino che non odora di fiori.
I Greci
aromatizzavano il vino con vari fiori. Un vino greco bianco oggi famoso è la
Rezina che ha il profumo della resina di pino. Mi piace perché sa di Grecia.
Pesaro 27 settembre 2021 ore 17, 25
giovanni ghiselli
p. s.
Mi scuso della brevità di questi pezzi ma sono tornato
a Pesaro per rinnovare la patente e altre incombenze sgradevoli che mi
sottraggono tempo alle attività che, sole, sono davvero mie. Non dico quali
perché si tratta di un triathlon noto a chi mi legge. Comprende agoni di generi
diversi.