venerdì 5 agosto 2022

Euripide Ione, IX parte- Il bene irrinunciabile della parresìa.


 

Entra in scena Ione che domanda di Xuto. Il marito di Creusa sta appunto uscendo dal santuario ed entrando in scena.

Xuto saluta Ione con w\ tevknon , cai'r j (517), salve figlio!. Ha avuto il responso che sperava e aggiunge-hJ ga;r ajrch; tou' lovgou prevpousa moi è questo l’inizio del discorso che più mi si adatta.

Ione gli fa notare che delira. Xuto cerca di abbracciarlo ma Ione ne allontana le mani che potrebbero strappargli le bende

Il giovane arriva a minacciare quello che considera un matto invasivo: allontanati prima di ricevere frecce dentro i polmoni pri;n ei[sw tovxa pleumovnwn labei'n (524)

Xuto insiste ma Ione ribadisce che non è sua abitudine fare rinsavire pellegrini rozzi e impazziti- ouj filw' frenou'n ajmouvsou" kai; memhnovta" xevnou"- (526)

Ma Xuto dice a Ione che è suo padre. Glielo ha fatto sapere il Lossia. Ione risponde : hai udito un enigma e sei stato tratto in inganno-ejsfavlh" ai[nigm j ajkouvsa" (533)

Apollo  ha detto a Xuto che il primo incontrato uscendo dal tempio sarebbe stato suo figlio. I due sono pieni di meraviglia.

Ione domanda a quello che si è dichiarato suo padre se abbia avuto relazioni clandestine- Xuto risponde mwriva ge tou' nevou- 545, follia di gioventù.

Ma non dopo avere sposato la figlia di Eretteo

Xuto racconta che posseduto dai piaceri bacchici seminò una baccante dopo essere stato introdotto nel tiaso. Fu il destino a trovare la strada oj povtmo~ ejxhu`ren 554.

Cfr Fata viam invenient (Virgilio, Eneide III, 395, i  fati troveranno la via) .

Ione si convince e chiama Xuto padre rendendolo felice- cai`rev moi, pavter 561).  Il ragazzo però vorrebbe trovare e conoscere anche la madre. Xuto vuole condurlo ad Atene. Ma Ione ha dei dubbi: ad Atene dove i cittadini sono autoctoni lui verrà considerato figlio bastardo-noqagenhv" 592 di padre straniero. Con tale macchia d’infamia, sarò debole ajsqenhv" e non conterò niente. Se invece cercherò di primeggiare sarò odiato da chi non ha potere: le nature più forti sono moleste. lupra; ga;r ta; kreivssona (597). Passerei per matto e farei ridere se non me ne stessi tranquilllo in una città piena di biasimo-ejn povlei yovgou pleva (601).

Ione teme ostilità in politica e anche in casa dalla presunta matrigna priva di figli e Xuto dovrebbe fare una scelta tra la moglie e il figlio. Le donne hanno trovato il modo di ammazzare gli uomini con. veleno e sgozzamenti 

Mi fa pena poi la tua sposa che invecchia senza figli-th;n sh;n a[locon oijktivrw a[paida ghravskousan- (618-619) Non è giusto che sia malata di sterilità-ouj ga;r ajxiva ajpaidiva/ nosei'n una donna che discende da padri nobili (618-620)

Poi la tirata contro il potere

Ione  sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato del tutto :"del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce to; me;n provswpon hJduv-, ma dentro il palazzo/c'è il dolore  (tajn dovmoisi de;- luphrav): chi infatti è beato-tiv" ga;r makavrio"-, chi fortunato tiv" eujtuchv"--/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati- ejsqlou;" de; misei' katqanei'n fobouvmeno" " (Ione, vv. 621-628).

 

Il regnum  anche secondo l’Edipo di Seneca è un fallax bonum del quale non c'è da gioire: copre grande quantità di mali sotto un aspetto seducente:" Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis"(Oedipus,vv.7-8), qualcuno gode del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto una facciata così lusinghiera!. Sono parole del protagonista che dà inizio al dramma descrivendo l'infuriare della pestilenza.

Potresti dire, prosegue Ione che l’oro supera queste difficoltà e che è piacevole essere ricchi-ploute'n te terpnovn-ma io non amo avere ricchezza sentendo dire parole rumorose né voglio avere pene: ci sia per me una giusta misura che non mi dia tormento-ei[ g j ejmoi; me;n mevtria mh; lupoumevnw/ (632).

 

I vantaggi dello stare a Delfi non sono pochi: “th;n filtavthn me;n prw'ton ajnqrwvpw/ scolhvn” (634) il tempo libero la cosa più bella per gli uomini, poi o[clon te mevtrion-turba misurata e nessun farabutto- ponhro;" oujdeiv" (636) che mi scaccia dalla mia strada, poiché non è sopportabile cedere la via ai malvagi.

Pensate alle canaglie che hanno cercato di fuorviarvi dalla strada che è vostra; talora per rimanervi ci siamo buttati per terra abbracciando anche i sassi pur di restare su quella via e proseguire. Il nostro metodo è la nostra vita-h mevqodo~- “la metodo” è seguire la propria via , ma per i dogmatici c’è una via sola e tutti devono percorrere quell’unica strada.

 

Si pregavano gli dèi, si parlava con la gente, al servizio di persone contente, non di piagnoni. C’era un continuo ricambio di pellegrini, sicché tra i nuovi c’era sempre qualcuno gradevole.

Mi vengono in mente le Università di Bologna e di Debrecen: città che senza le loro Accademie sarebbero state poco significative ma il continuo afflusso e ricambio di studenti importava idèe, caratteri e pure possibilità affettive.

La legge e la natura mi hanno reso giusto nei confronti del dio.

Dunque lasciami vivere qui: infatti uguale è la gioia di gioire per cose grandi e avere con piacere le piccole (646-647)

Il coro approva

Ma Xuto insiste: pau'sai lovgwn tw'nd j , eujtucei'n d j ejpivstaso (650), smetti con questi discorsi e impara ad avere successo

Dice che lo porterà ad Atene, prima come ospite per non affliggere la moglie infeconda, poi la convincerà a considerarlo principe ereditario. Ti chiamo Ione  [ Iwna d’ ojnomavzw , un nome  che si addice alla sorte- ijwvn  participio di ei\mi, vado e vengo-- poiché mentre uscivo dal sacrario del dio per primo hai congiunto l’orma 662 Xuto dunque intende portare Ione ad Atene.

Ione ribatte: vengo, però mi manca una cosa del mio destino-e}n de; th'" tuvch" a[pesti moi 668, se non troverò quella che mi ha partorito-h{ti" m’j e[teken 669- Il ragazzo dice che una vita senza madre è invivibile. Spera inoltre che sua madre sia stata una ateniese perché a lui spetti la parrhsiva (672) , poiché lo straniero che piomba in quella città pura- kaqara;n ej" povlin- quanto al gevno" (673) , anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[1] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).

 

Nell’Ippolito di Euripide, Fedra parlando con la Nutrice dice che non vuole disonorare il marito e i figli cui augura di vivere ejleuvqeroi-parrhsiva/ qavllonte"  (421-422) liberi con pieno diritto di parola nell’inclita Atene e ben reputati grazie alla loro madre.

Analogo concetto si trova nelle Fenicie[2] quando  Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.

Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.

"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[3].

Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa libertà di parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[4].

 

Nel 451-450 venne promulgata una legge per la quale “non doveva avere parte della città chi non fosse nato da genitori entrambi cittadini” Ma questa legge venne disattesa in favore di Pericle il giovane, figlio di Pericle e di Aspasia. Questo figlio di Pericle venne condannato a morte nell’autunno del 406 con gli altri strateghi delle Arginuse. Il potere dunque non era ereditario. Non c’erano le caste.

 

Nel 451/450 fu approvata ad Atene su proposta di Pericle una legge che ridefiniva i requisiti per il

riconoscimento dello status di cittadino.

Tale legge riconosceva lo status di cittadino solo ai figli di

genitori entrambi ateniesi.

Aristotele: “per il numero crescente dei cittadini, su proposta di Pericle,[gli Ateniesi] stabilirono che

non godeva di diritti politici chi non fosse nato da genitori tutt'e due cittadini” (

Ath. Pol., 26.4. Sotto l’arcontato di Antidoto (451-450) per la gran massa dei cittadini-dia; to; plh'qo" tw'n politw'n- su proposta di Pericle decretarono che non prendesse parte alla vita politica e{gnwsan mh; mevtecein th'" povlew" quello che non fosse nato da genitori entrambi cittadini-

 

Plutarco:

“ Pericle molti anni prima pur avendo dei figli legittimi-pai'da" e[cwn gnhsivou"-  fece votare una legge-novmon e[graye- secondo la quale-movnou"   jAqhnaivou" ei\nai tou;" ejk duei'n  j aqhnaivwn gegonovta"- (Vita di Pericle, 37-3)

Plutarco però ricorda che quando durante la peste Pericle perse i figli legittimi, poi venne rieletto stratego, chiese che venisse abrogata la legge sui figli illegittimi hJthvsato luqh'nai to;n peri; tw'n novqwn novmon che aveva proposto due decenni prima. (37, 2). Per la peste Pericle perse i due figli legittimi Santippo e Paralo, la sorella e gran parte dei parenti e degli amici.

 Tuttavia, pur sotto l’urto delle sventure-uJpo; tw'n sumforw'n- Pericle  non cedette ojj mh;n ajpei'pen né tradì il senno e la grandezza dell’anima-oujde; prou[dwke to; frovnhma kai; to; mevgeqo" th'" yuch'"- e non fu mai visto piangere né ai funerali né sulle tombe dei suoi congiunti, Scoppiò in singhiozzi solo deponendo corone sulla salma di Paralo, il secondo dei suoi figli legittimi, morto dopo Santippo.

 

Pesaro 5 agosto 2022 ore 11, 45

Giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Forma poetica equivalente a kevkthtai.

[2]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.

[3] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.

[4] Notre-Dame de Paris, p. 38.

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