NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 31 ottobre 2020

Introduzione a Virgilio

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Argomenti

Laudatores e obtrectatores della poesia di Virgilio.

L’eresia è una “scelta” da rispettare e discutere. L’ortodossia una “retta opinione” che deve essere considerata con spirito critico.

La logica dei Greci era aperta al contrasto: Ares contro Ares e Dike contro Dike nelle Coefore di Eschilo:  [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka (v. 461)

Concluse le Argonautiche e l’epica greca, tra due lezioni passerò all’epica latina: Virgilio, Lucano e Stazio.

 

Vediamo dunque come presenterò il percorso latino che partirà da Virgilio

Il latino verrà presentato e reso interessante attraverso il tema amoroso, con i suoi aspetti topici e le parole chiave del sermo amatorius (servitium amoris, domina, urere, ardor, vulnus, ulcus, sagitta) usate dagli auctores più accrescitivi nei testi più significativi.

Questo percorso attraversa diverse epoche e molti autori, greci, latini e dell'Europa moderna. Tra questi è centrale Virgilio che con la sua poesia raccoglie gran parte delle correnti culturali del mondo classico anticipando non pochi aspetti della cultura europea moderna.

Sentiamo T. S. Eliot:" fra i grandi poeti greci e romani, credo che andiamo massimamente debitori del nostro ideale di classicità a Virgilio (…) La speciale natura della sua comprensività è dovuta alla posizione, unica nella nostra storia, dell'Impero romano e della lingua latina: una posizione che può dirsi conforme al suo fato. Questo senso del fato prende coscienza di sé nell'Eneide. Lo stesso Enea è, dal principio alla fine, una creatura del fato: un uomo che non è un avventuriero o un intrigante, un vagabondo o un arrivista; un uomo che compie il proprio destino non per forza o per decreto arbitrario - né certamente per brama di gloria - ma sottomettendo la propria volontà a un potere più alto (…) e dal punto di vista umano non è uno che sia felice o abbia successo. Ma è il simbolo di Roma, e quello che è Enea per Roma, l'antica Roma è per l'Europa. Così Virgilio si conquista la "centralità" del classico supremo; è lui il centro della civiltà europea, in una posizione che nessun altro poeta può condividere o usurpare"[1]

 

 Eliot è, con Dante, uno dei più convinti laudatores moderni del poeta mantovano, ed è un suo allievo ortodosso: in fondo il metodo mitico[2] è praticato già da Virgilio, quando, come vedremo, attraverso Didone l'autore dell'Eneide ripropone Medea, sia quella di Euripide, sia quella di Apollonio Rodio.

  

Non mancano d'altra parte gli obtrectatores di cui anche voglio dare conto per mettere a disposizione dello studente una critica contrastiva dentro la quale gli sia possibile fare una scelta autonoma attraverso un giudizio - krivsi" - personale.

 

Parto dunque dalla stroncatura nauseata di Huysmans: il protagonista di Controcorrente, Des Esseintes, dà giudizi dissacratòri su alcuni classici usualmente celebrati come sommi e ribalta le valutazioni canoniche, al punto che il giovane può magari trovare autorizzata la sua antipatia per questo o quell'altro autore universalmente consacrato dalla critica scolastica.

"Virgilio (…) gli appariva non solo uno dei più esosi pedanti, ma anche uno dei più sinistri rompiscatole che l'antichità abbia mai prodotto. I suoi pastori, usciti pur mo' dal bagno e azzimati di tutto punto, che si scaricano a vicenda sul capo filastrocche di versi sentenziosi e gelati; il suo Orfeo ch'egli paragona a un usignolo in lacrime[3]; il suo Aristeo che piagnucola per delle api; il suo Enea, questo personaggio indeciso e ondeggiante che si muove come un'ombra cinese, con mosse da marionetta".

Virgilio avrebbe per giunta compiuto "impudenti plagi[4] di cui fan le spese Omero, Teocrito, Ennio, Lucrezio"; la metrica sarebbe stata "tolta in prestito alla perfezionata officina di Catullo". In conclusione: "quella miseria dell'epiteto omerico che torna ogni momento e non dice nulla, non evoca nulla; tutto quell'indigente vocabolario sordo e piatto, lo mettevano alla tortura"[5].

 

Robert Graves nel suo pamphlet antivirgiliano[6] presenta l'autore dell'Eneide " come l'antipoeta per eccellenza, seguace di Apollo (non di Dioniso) nel costruire un poema come gioco di alta matematica letteraria e politica"[7].

 

Non è detto però che la matematica, quella alta in particolare, sia in contrasto con la poesia: E.Pound[8] ha scoperto il correlativo oggettivo scrivendo:"Poetry is a sort of inspired mathematics, which gives us equations, not for abstract figures, triangles, spheres, and the like, but equations for the human emotions "[9], la poesia è una specie di matematica ispirata che ci dà equazioni non per figure astratte, triangoli, sfere, e simili, ma equazioni per le emozioni umane.

 

Nemmeno Pound d'altra parte si trova tra i laudatores, anzi: "negli anni più crudi del primo conflitto mondiale il canone di Pound escludeva seccamente Virgilio epico, e questi sono appunto gli anni del primo incontro con Eliot e del sodalizio con Yeats (traducendo rinuncio alle sfumature dialettali del testo inglese):"L'abisso che esiste fra Omero e Virgilio, fra Ulisse ed Enea, può venire illustrato in termini profani da uno degli aneddoti preferiti di Yeats[10]. Un semplice marinaio si mette in mente di studiare latino; si rivolge a un maestro e questi lo avvia all'Eneide. Dopo molte lezioni, il maestro fa una domanda riguardante l'eroe del poema. Il marinaio dice:"Quale eroe?" E il maestro: "Ma come? Enea, maturalmente, l'eroe". E il marinaio;"Cosa, un eroe? Lui un eroe? Diavolo, credevo che fosse un prete" (E. Pound, ABC of Reading, London 1961, p. 44)"[11].

 

La libertà e gli autori dell’età imperiale

 

Per quanto riguarda la libertà e il servilismo, sentiamo Leopardi : “ Le Filippiche di Cicerone , contengono l’ultima voce romana, sono l’ultimo monumento della libertà antica, le ultime carte dov’ella sia difesa e predicata apertamente e senza sospetto ai contemporanei. D’allora in poi la libertà non fu più oggetto di culto pubblico, né delle lodi e insinuazioni degli scrittori (…) E infatti colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni civilizzate. Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato come un bene, la biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come Eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori (Zibaldone, 459 )

Se non altro non si potè più né lodare né insinuare e inculcare la libertà ai contemporanei espressamente, e la libertà non fu più un nome pronunziabile con lode, riguardo al presente e al moderno. Quando anche non tutti si macchiassero della vile adulazione di Velleio, e Livio fosse considerato come Pompeiano nella sua storia, e sieno celebrati i sensi generosi di Tacito, ec. Ma neppur egli troverete che, sebbene condanna la tirannia, lodi mai la libertà in persona propria[12]. Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi repubblicani.

Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).

 

Leopardi dice di preferire Achille a Enea che è privo di difetti, ossia troppo perfetto. E trova Omero altrettanto superiore a Virgilio.

"Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di quello che poteva farlo(...) e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec." ( Zibaldone, 2).

A pagina 471 leggiamo:"L'eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi (i moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli antichi poeti ec. tale era l'idea ch'essi avevano del carattere eroico; al contrario di Virgilio, del Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti sono i loro eroi, ed anche i loro poemi".

 

 La pia ipocrisia di Enea eroe di regime

Una rilettura del personaggio virgiliano dall’abbandono di Didone al mito di Augusto

di Gustavo Zagrebelsky “la Repubblica” 14.5.15

SIAMO sinceri! Enea non ci piace. Se dovessimo fare una graduatoria tra i personaggi dell’epopea troiana, in cima metteremmo probabilmente non lo spocchioso Achille, ma “il domator di cavalli Ettorre” dell’ Iliade. In fondo alla graduatoria, metteremmo proprio Enea il “pio”. In mezzo, l’astuto e inquieto Ulisse. Questo nostro atteggiamento ci dice che sono mutati i paradigmi. Ciò che piaceva allora, oggi infastidisce

E, in primo luogo, non ci piace la poesia al servizio del potere. Neppure Virgilio, infatti, ci è mai troppo piaciuto, perché fece della sua arte strumento di persuasione politica. Scrive bene, è levigato.

Ma non riusciamo a dimenticare che è stato un poeta di regime, stipendiato dal committente interessato a farsi tessere panegirici «di natura quasi mussoliniana» (Canfora). Il suo eroe letterario è Enea, ma l’eroe politico è Augusto, il destinatario del mito. Instauratore il primo; restauratore, il secondo, dopo i torbidi delle guerre civili e il disfacimento della Repubblica. Non una poesia civile, ma una poesia interessata, dunque, e, perciò malsana”.

 

Una reputazione consolidata di pietas può essere criticata, o derisa.

Come da Ovidio riguardo alla fama del pius Enea. "Tra gli amanti infedeli è menzionato Enea, che causò la morte di Didone; e tuttavia egli “famam pietatis habet “ (Ars III 39): giocosa polemica con Virgilio che aveva giustificato il suo pio eroe"[13]. Nel proemio dell'Eneide[14] in effetti Virgilio domanda con meraviglia:"Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,/quidve dolens regina deum tot volvere casus/insignem pietate virum, tot adire labores/impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?" (vv, 8 - 11), o Musa, dimmi le ragioni, per quale offesa volontà divina, o di che cosa dolendosi la regina degli dèi abbia spinto un uomo insigne per la devozione a passare per tante peripezie, ad affrontare tante fatiche. Così grandi sono le ire nell'animo dei celesti?

 Ebbene Ovidio trova la ragione delle grandi ire divine: dopo avere affermato che gli uomini ingannano spesso, più spesso delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt, tenerae non saepe puellaeArs, III, 31) il poeta aggiunge Enea al duetto dei seduttori perfidi, il fallax Iaso (Ars, III, 33) e Teseo[15]: "et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[16]/praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39 - 40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa.

In A midsummer - night’s dream Hermia accoglie questa interpretazione di Enea e lo menziona come amante infido: “when the false Troyan under sail was seen” (I, 1), quando il Troiano falso fu visto alzare la vela.

  

A proposito della superiorità di Omero su Virgilio, vediamo anche l'Estetica di Hegel:" Per citare un altro paio di esempi, ricordiamo l'episodio tragico di Didone, che è di colore così moderno da spingere Tasso ad imitarlo, anzi a tradurlo in parte letteralmente, e da suscitare ancor oggi l'ammirazione dei francesi. E tuttavia che differenza con l'umana ingenuità, verità e spontaneità degli episodi di Circe e Calipso![17] Lo stesso si può dire della discesa di Ulisse nell'Ade. Questa oscura e crepuscolare dimora delle ombre appare in una nube tetra, in una mescolanza di fantasia e realtà, che ci incanta e stupisce. Omero non fa scendere il suo eroe in un mondo sotterraneo bello e pronto; ma Odisseo stesso scava una fossa, in cui versa il sangue dell'ariete che ha ucciso, poi invoca le ombre che sono costrette ad affollarsi intorno a lui ed egli chiama le une a bere il sangue vivificante, perché gli parlino e gli possano dare notizie, mentre scaccia con la spada le altre che si affollano intorno a lui assetate di vita. Tutto accade qui in modo vivo ad opera dell'eroe stesso, che non si comporta umilmente come Enea o Dante. In Virgilio invece Enea discende ordinatamente agli Inferi, e le scale, Cerbero, Tantalo e tutto il resto acquistano l'aspetto di una casa ben tenuta, come in un freddo manuale di mitologia"[18].

 

All'interno del nostro percorso incontreremo alcune altre valutazioni negative della figura di Enea, insieme con diverse positive.

La critica però va letta dopo i testi[19] dei quali presenterò un'ampia scelta.

 

giovanni ghiselli

 



[1] T. S. Eliot, Che cos'è un classico? , p. 973

[2] In una famosa recensione all'Ulisse di Joyce (Ulysse, Order and Myth , "The Dial", nov. 1923.) T. S. Eliot definiva il metodo mitico, in opposizione a quello narrativo, come il modo di controllare, di dare una forma e un significato all'immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea. "Instead of narrative method, we may now use the mythical method ", invece del metodo narrativo possiamo ora avvalerci del metodo mitico.

Alla fine di The Waste Land La terra desolata, del 1922., Eliot afferma:"These fragments I have shored against my ruins" (v. 430), con questi frammenti ho puntellato le mie rovine

[3] Cfr. Georgica IV: "qualis populeā maerens philomēla sub umbra/amissos queritur fetus… " ( vv. 511 - 512), quale l'usignolo addolorato, sotto l'ombra del pioppo, lamenta le creature perdute.

[4]Robert Musil (1880 - 1942) attraverso il suo protagonista Ulrich, il quale gioca sempre al ribasso, parla ironicamente di una "catena di plagi" (L'uomo senza qualità , p. 270.) che lega le grandi figure del mondo artistico l'una all'altra.

[5] Huysmans, Controcorrente, p. 42 ss.

[6] The White Goddess: A Historical Grammar of Poetic Myth, London 1948.

[7] M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 15.

[8] "Il miglior fabbro", secondo T. S. Eliot.[9]The Spirit of Romance , Londra, 1910, p. 5.

[10] 1865 - 1939.

[11] M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea,p.18.[12] Infatti: omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit (Hist.I, 1), fu utile alla pace che tutto il potere venisse riunito in una sola persona. Ndr. 

[13] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 189.

[14] Scritta fra il 29 e il 19 a. C.

[15] Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini (Ars, III, 35 - 36). La Fedra di Seneca entrando in scena, afferma che la fedeltà di Teseo è quella di sempre: “stupra et illicitos toros/Acheronte in imo quaerit Hippolyti pater” ( Fedra, vv. 97 - 98), cerca adulterii e letti illegittimi il padre di Ippolito in fondo all’Acheronte. Interessante è la versione dell’Odissea (11, 324 - 325) : Artemide uccise Arianna in Dia in seguito alle accuse di Dioniso abbandonato per Teseo che comunque rimane il seduttore principe.

[16] Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usus., Eneide, IV, 647, dono richiesto non per questo uso. 

[17]Voglio fare allo studente - lettore un esempio di semplicità "verità e spontaneità" che ha sempre colpito i miei studenti - uditori (del resto dopo l'Edipo re sono andato a parlare in diversi licei e non pochi lettori mi hanno ascoltato, con una regressione, si fa per dire, alla fase aurale). Nel V libro dell' Odissea dunque Ulisse, che convive con Calipso nell'isola di Ogigia, piange in continuazione sospirando il ritorno. Immaginate le chiacchiere che ci farebbe sopra un moderno, psicologo, romanziere o azzeccagarbugli di qualsiasi parrocchia. Omero usa quattro parole per indicare la causa più plausibile e vera in questo tristissimo caso, non infrequente, di frequentazione obbligatoria:"ejpei; oujkevti hJvndane nuvmfh" (v. 153), piangeva poiché la ninfa non gli piaceva più. Punto e basta. 

[18]G. W. F. Hegel, Estetica , pp. 1422 - 1423.[19] Volvendi enim sunt libri, (Cicerone, Brutus, 298) i libri dobbiamo leggerli veramente, per non finire travolti dall'onda qualunquistica del didattichese applicabile nello stesso modo a qualsiasi materia. 

Premessa alla parte latina del mio corso nella Primo Levi

Concluse le Argonautiche e l’epica greca, tra due lezioni passerò all’epica latina: Virgilio, Lucano e Stazio.

 

Premessa

Questo mio lavoro non raccomanda ortodossie né condanna le eresie. Eventualmente segnala con scarsa simpatia i luoghi comuni non autorizzati dalla ragione, contrari alla giustizia, ignari della bellezza.

L’ortodossia è la “retta opinione”-la dovxa ojrqhv-.  e ognuno può averne una sua. L’eresia è una scelta ai{resi", una preferenza e questa va rispettata.

Talora il bianco e il nero possono coesistere in una logica aperta al contrasto.

 Io certamente ho le mie preferenze e non le nascondo, però mi guardo bene dall’imporle a chi mi ascolta o legge.

giovanni ghiselli

"Argonautiche" di Apollonio Rodio. 16. IV (966-1781). Conclusione del poema

Michael Ayrton, Talos

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Argomenti

Gli Argonauti giungono dai Feaci dove vengono accolti ospitalmente. Subito dopo sopravvengono i Colchi che reclamano Medea. Alcinoo dice che la consegnerà solo se la ragazza è ancora vergine. Medea lo è, sicché Arete protettiva, avverte gli ospiti che devono consumare il matrimonio.

I due fanno l’amore in un antro, senza gioia.

 

Quindi il viaggio continua. Una tempesta li sbatte in Libia nella rena dove la nave si insabbia. Gli Argonauti devono portarla sollevata sulle spalle per 12 giorni e 12 notti, pagando così l’affitto ad Argo che, come una madre, li ha tenuti a lungo dentro il suo ventre. Finalmente, aiutati da Tritone, ritrovano la via del mare e della navigazione. Procedono metodicamente verso nord. A Creta vengono tempestati di pietre da Talos, l’uomo di bronzo, ma ancora una volta Medea aiuta e salva gli Argonauti incantando e facendo morire il mostro tremendo. A forza di lottare con i mostri, Medea diverrà un mostro a sua volta uccidendo i propri figlioli.

“Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te” [1].

Dopo un paio di soste gli Argonauti possono procedere fino alla riva di Pàgase dove termina il viaggio e il poema.

 

Gli Argonauti giunsero all’isola dei Feaci nello Ionio dove è interrata la falce con cui Crono recise i genitali del padre spietatamente (986 - 7). Altri dicono che con quella falce Demetra mieteva. Ecco perché la terra dei Feaci si chiama Drepavnh (990). I Feaci sono del sangue di Urano. Alcinoo accolse gli Argonauti bene e con gioia.

Si festeggiava, ma arrivano i Colchi bramosi di guerra. Alcinoo li trattenne: voleva evitare lo scontro.

Medea, come già Odisseo, abbracciava spesso le ginocchia di Arete la moglie di Alcinoo ( - polla; de; cersivn - jArhvth" gouvnwn ajlovcou qivgen jAlkinovoio - (1012 - 1013) e la prega di non consegnarla ai Colchi.

Si noti l’utilizzo con variazioni del modello omerico ( ajmfi; d j a[r j j arhvth" bavle gouvnasi cei`ra" j Odusseuv"Odissea, VII, 142)

 

 Medea dice di avere sbagliato per leggerezza ed errore, non per lussuria ouj me;n e[khti margosuvnhς (1019). Tra l’altro lei è ancora vergine mivtrh mevnei (1024) la cintura rimane. Poi prega anche i Greci di non abbandonarla. Di notte piangeva come una vedova.

Arete parla con Alcinoo e intercede in favore di Medea minacciata da Eeta. I genitori sono troppo severi livhn duvszhloi verso le loro figlie (eJai'ς paisiv 1089) come Acrisio con Danae o Niseo con Antiope che generò a Zeus Anfione e Zeto.

Alcinoo decide che restituirà Medea al padre solo se la ragazza è ancora vergine.

 Allora Arete fece sapere a Giasone che doveva consumare le nozze: Alcinoo non avrebbe spezzato un’unione legittima 1120

 

Quindi i Greci prepararono il letto nuziale nell’antro divino dove una volta viveva Macride, la figlia di Aristeo che scoprì il lavoro delle api e il succo dell’olivo. Era l’aveva costretta a fuggire là poiché Macride aveva unto con il miele le labbra di Dioniso bruciacchiato dal fuoco di Semele.

Nel letto posero il vello d’oro e le Ninfe portavano fiori.

Orfeo suonava e gli eroi cantavano l’imeneo.

Medea e Giasone avrebbero preferito farlo a Iolco ma noi stirpe infelice degli uomini non possiamo entrare nella gioia con piede intero o{lw/ podiv (1166) e l’amara afflizione - pikrh; ajnivh - sempre si insinua in mezzo ai momenti del nostro piacere.

 

Giasone e Medea avevano paura. Quando l’aurora sciolse con la sua luce la nera notte, le rive dell’isola ridevano. Alcinoo mantenne i patti e i Colchi temendo l’ira di Eeta, rimasero con i Feaci fino alla colonizzazione di Corcira da parte dei Bacchiadi di Corinto.

Dopo sette giorni, gli Argonauti lasciarono Drepane. Passarono il golfo di Ambracia, il paese dei Cureti e le Echinadi, ma quando si vedeva la terra di Pelope, una tempesta di Borea li portò verso la Libia, e si insabbiarono nella Sirte. La sabbia (a[maqoς 1239) si stende fino al cielo, e la nave si arenò. Il pilota Anceo e gli altri erano disperati. Vagavano sulla lunghissima riva o aspettavano la morte seduti. Ne ebbero pietà le tre eroine di Libia, quelle che bagnarono Atena nel lago Tritone quando la dea balzò fuori dal capo del padre. Le eroine dicono a Giasone che devono pagare il debito alla madre che li ha portati per tanto tempo nel ventre.

Giasone non capì e andò a parlarne ai compagni.

Peleo spiegò che la madre era la nave. Bisognava prenderla sulle spalle e portarla nella direzione indicata da un cavallo apparso. Camminarono con la nave Argo sulle spalle per 12 giorni e 12 notti. Giunsero al lago Tritonide, e alla pianura delle mele d’oro vegliate dal drago Ladone. Le custodi Esperidi che di solito cantano, piangevano. Il drago era stato colpito dalle frecce di Eracle e muoveva appena la coda. Le frecce erano state avvelenate con la bile dell’Idra di Lerna. Le Esperidi piangevano ma al loro arrivo divennero polvere e terra. Orfeo le pregò e le ninfe fecero crescere erba e alberi dal suolo: loro stesse divennero alberi. Poi Egle, una di loro, parla. Racconta di Eracle che uccise il serpente e si abbeverò disteso come una vacca al pascolo. Egle indicò la fonte e i Greci andarono a bere come le mosche si precipitano a frotte sopra una goccia di miele.

I Greci dissero che Eracle salvava i compagni anche in assenza.

 E andarono a cercarlo. Solo Linceo credette di vedere Eracle in lontananza come si scorge o sembra di scorgere la luna annebbiata nel primo giorno del mese (1479 - 1480)

 

Imitato da Virgilio: Enea scorge Didone

Obscuram qualem primo qui surgere mense

Aut videt aut vidisse putat per nubila lunam (VI, 452 - 453)

 

Canto venne ucciso mentre cercava di rubare delle pecore del pastore Cafauro e pure il profeta Mopso morì poiché non c’è possibilità di stornare la morte oujj ga;r tiς ajpotropivh qanatovio (1505).

Sulla sabbia giaceva un deino;ς o[fiς un serpente tremendo ma pigro nwqhvς. Non attaccava, ma il suo veleno era terribile. Era nato dal sangue della Gorgone gocciato sul suolo quando Perseo ci volava sopra.

Mopso gli urtò la coda e il serpente gli morse la carne. Morì e fu compianto

Argo cercava di uscire dal lago Tritonide ma non trovava un varco

Arriva Tritone figlio di Poseidone offrendo una zolla di terra e indica la via d’uscita per il Peloponneso. Non devono scoraggiarsi: non c’è fatica che possa fiaccare membra floride di giovinezza (1585)

Poi prese il grande tripode che gli Argonauti gli avevano offerto e scomparve. Ma riapparve dall’acqua e spinse la nave. Aveva un corpo simile a quello degli dei fino al ventre ma sotto i fianchi si allungava una coda a due punte simile a mostro marino. E’ l’ibrido antico.

Tritone spinse la nave fino al mare.

Navigarono tenendo a destra il deserto. Poi si avvicinarono a Creta ma Talos l’uomo di bronzo (Tavlwς cavlkeioς 1638) scagliava pietre e impediva alla nave di entrare nel porto Ditteo. Talos era della stirpe degli uomini di bronzo nata dai frassini. Zeus ne aveva fatto il guardiano dell’isola.

Era tutto di bronzo ma sulla caviglia aveva una vena di sangue coperta da una sottile membrana. Medea ammaliò con occhi nemici gli occhi dell’uomo di bronzo e digrignando gli mandò immagini terribili.

A forza di combattere i mostri Medea diverrà un mostro anche lei uccidendo i propri figli

“Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te”[2].

 

Talos alzò una pietra per tirarla ma urtò la caviglia su uno spunzone di pietra e precipitò come un pino. Così i Greci dormirono a Creta

Poi navigarono nel buio, alla cieca, finché Apollo levò in alto l’arco dorato che diffuse un chiarore fulgente e gli Argonauti videro una piccola isola delle Sporadi che chiamarono Anafe (presso Thera - Santorini) per l’apparizione del dio che ajnevfhne (1718), l’aveva mostrata in mezzo all’angoscia. Fecero sacrifici modesti e vennero canzonati dalle ancelle feacie di Medea che nella reggia di Alcinoo vedevano sacrificare dei buoi.

Ancora oggi le donne dell’isola fanno quegli scherzi quando gli uomini sacrificano. Partiti di là arrivarono a Egina dove si sfidarono in gare di corsa. Quindi costeggiarono la terra Cecropia e quella di Aulide, quella di Locresi Opunzi e giunsero a Pagase (1781)

Fine del poema 31 ottobre 2020 ore 12

Presenterò tutte le Argonautiche nelle prossime due lezioni (3 e 10 novembre) alla Primo Levi .

 

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.

[2] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.

Kafka, "Il processo". Capitolo X. Excursus

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Allora intervenivano uomini a[grioi, diapuvroi ijdei`n (615 e) selvaggi, infuocati a vedersi che afferravano tali delinquenti e li portavano via. I pessimi come Ardieo , venivano legati mani, piedi e testa, buttati a terra, scorticati, trascinati fuori strada su piante spinose e gettati nel Tartaro.

Dopo sette giorni passati nel prato dunque, le anime dovevano viaggiare per quattro giorni finché giungevano in un luogo da dove vedevano dall’alto una luce diritta (fw`~ euquv) distesa per tutto il cielo e la terra (dia; panto;~ tou` oujranou` kai; gh`~) come una colonna (oi|on kivona, 616c), molto simile all’arcobaleno, ma più fulgida e pura. Questa è l’anima del mondo.

Le anime degli umani camminavano un altro giorno e, arrivati a metà della luce, vedevano teso dalle due estremità il fuso di Ananche (ejk de; tw`n a[krwn tetamevnon jAnavgkh~ a[trakton), l’asse dell’universo attraverso cui avvengono tutti i movimenti circolari. Il fuso aveva otto fusaioli (ojktw; ga;r ei\nai tou;~ xuvmpanta~ sfonduvlou~, 616d), i contrappesi del fuso, racchiusi gli uni negli altri.

Questi fusaioli rappresentano il cielo delle stelle fisse e i sette pianeti. Partendo dall’esterno: Stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole, Luna. Così nel Timeo. E’ l’ordine pitagorico.

 Il fuso si volgeva sulle ginocchia di Ananche.

Su ognuno dei fusaioli circolari che rotavano lentamente incedeva in alto una Sirena sumperiferomevnhn (617b) tratta anch’essa nel moto circolare mentre emetteva una voce in armonia con quella delle altre sette.

Le anime dunque vedevano l’asse dell’universo.

Le Moire

Sedevano in trono tre persone diverse dalla folla: le figlie di Ananche, le Moire vestite di bianco e con dei serti (stevmmata, 617c) sul capo.

Queste sono Lachesi, Cloto e Atropo che cantavano sull’armonia delle sirene.

 Lachesi cantava ta; gegonovta, il passato, Cloto ta; o[nta, il presente, Atropo ta; mevllonta, il futuro.

Le tre Moire[3] accompagnavano con la mano i moti del fuso.

Le anime dovettero presentarsi a Lachesi, quella che dà le sorti.

Quindi un portavoce (profhvth~) dispose in fila la folla, poi prese delle sorti, dei modelli di vita dalle ginocchia di Lachesi.

Infine il profhvth~ , salito su un’alta tribuna, diede voce al pensiero di Lachesi, la vergine figlia di Ananche ( jAnagkh" qugatro;" kovrh" Lacevsew" lovgo~).

 Disse: “Questo è l’inizio di un altro ciclo di mortalità della razza mortale.

, e non sarà il demone a sorteggiare voi, bensì voi sceglierete il demone 

( “ oujc uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (617 e).

Chi è sorteggiato a scegliere per primo, prenda per primo la vita cui sarà congiunto”.

La parola di Lachesi aggiunge che la virtù è senza padrone (ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta[4], non la divinità” (aijtiva eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~ (617 e).

Riferite queste parole, il portavoce di Lachesi gettò le sorti con il turno della scelta, e ognuno tirò su quella che aveva vicino. Er non poté farlo.

Quindi il prfhvth~ mise in terra davanti a loro svariati modelli di vite: umane e di animali.

C’erano vite di tutti i tipi, e anche mescolanze di tipi.

Il profhvth~ aggiunse che anche chi sceglieva per primo non doveva essere negligente e l’ultimo non doveva scoraggiarsi ma scegliere con senno: mhvte oJ a[rcwn aiJrevsew~ ajmeleivtw mhvte oJ teleutw`n ajqumeivtw (619b).

 

 Socrate che fa questo racconto dice a Glaucone che bisogna studiare soprattutto come scegliere la migliore tra le vite possibili.

Buona è la vita che tende alla giustizia, cattiva quella che va verso l’ingiustizia. Bisogna essere refrattari a lasciarsi colpire dalle ricchezze e da simili malanni come la tirannide. Bisogna fuggire tutti gli eccessi in entrambi i sensi (feuvgein ta; ujperbavllonta eJkatevrwse, 619).

Er raccontò che il primo scelse la tirannide senza accorgersi che questa racchiude il destino di mangiare i propri figli e altre sciagure. Poi se ne avvide e si mise a piangere. Quest’uomo veniva dall’apertura nel cielo poiché aveva vissuto la vita precedente in uno Stato bene ordinato praticando la virtù, per abitudine, senza filosofia (e[qei a[neu filosofiva~, 619d).

Era più facile che scegliessero precipitosamente e sbagliassero quelli scesi dal luogo beato, in quanto inesperti di travagli (a{te povnwn ajgumnavstou~), mentre quelli che venivano dalla terra, siccome erano tribolati e avevano visto altri soffrire, non facevano la scelta ejx ejpidromh`~ in modo affrettato.

Di nuovo il tw`/ pavqei mavqo~.

Così c’era una permuta di beni e di mali.

Ma se uno in vita filosofa, poi la sua scelta non cade tra le ultime, è facile che quest’uomo abbia due buone vite di seguito.

Comunque, dice Er, lo spettacolo era degno di essere visto, uno spettacolo pietoso, ridicolo e meraviglioso (qevan ajxivan ijdei`n kai; geloivan kai; qaumasivan, 620).

Notiamo che la scelta però non è del tutto libera siccome è condizionata dalle quantità di sorti rimaste disponibili quando tocca scegliere a ciascuno secondo il numero d’ordine raccolto in precedenza. Inoltre le anime erano condizionate dalle esperienza fatte nella vita precedente.

 

 Vediamo come.

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Aiace Telamonio scelse la vita di un leone poiché rifuggiva dal nascere uomo in quando ricordava il giudizio delle armi (620b).

Agamennone, per avversione al genere umano, scelse la vita di un’aquila. Orfeo, scelse la vita di un cigno non volendo nascere da grembo di donna mivsei tou` gunaikeivou gevnou~ , in odio del genere femminile per la morte sofferta dalle donne[5]

Il buffone Tersite scelse la natura di una scimmia.

L’anima di Odisseo, prese la sorte per ultimo e, guarito da ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e amante del quieto vivere ("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", Repubblica 620c).

La trovò messa da parte e negletta dagli altri, ma disse che l’avrebbe presa anche se avesse dovuto fare la scelta per primo.

 

Quindi Lachesi diede a ciascuno come custode (fuvlaka) il demone (daivmona, 620d) che si era scelto. Poi Cloto Atropo e Ananche confermavano le scelte e le rendevano immutabili.

In seguito le anime venivano portate attraverso una terribile calura e arsura fino al fiume Amelete perché ne bevessero l’acqua. Una certa misura era obbligatoria. Ci non era preservato dalla prudenza beveva più della misura (plevon tou` mevtrou, 621) e bevendo in continuazione si scordava di tutto – to;n de; ajei; piovnta pavntwn ejpilanqavnesqai . Infine si addormentavano, scoppiava un tuono e le anime venivano spinte a una nuova nascita cui si lanciavano come stelle cadenti.

 

Faccio notare di nuovo che scordare, scordare in particolare il ritorno - novstou laqevsqai - è il verbo più negativo dell’Odissea ( IX, 97)

 

A Er era stato impedito di bere e non sapendo come, si era trovato il mattino sulla pira. Socrate commenta il mito con poche parole dicendo che per entrare nell’apertura e nella via che va in alto bisogna praticare sempre la giustizia in modo da essere cari a noi stessi e agli dèi qui in terra e dopo, nel viaggio millenario di cui si è detto (621d)

Questo mito è un’immagine concentrata del nostro destino di mortali. A me piace molto, e pur essendo una fantasia, credo che la sua bellezza contenga anche una verità: che noi dobbiamo vivere in sintonia con il nostro daivmwn che è il destino ed è pure il carattere.

Eraclito con il suo stile ieratico e lapidario insegna che l’uomo e il suo destino coincidono: “ h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[6]”.

 

Se davvero noi abbiamo scelto sia pure con delle limitazioni, il verso di questa vita prima di nascere, non lo so. So però che ciascuno di noi eredita delle predisposizioni e che sta in ciascuno di noi assecondarle o contrastarle secondo la direzione (trovpo~) che intendiamo dare alla nostra vita. Voglio fare notare che la parola greca trovpo~ significa tanto “verso”, “direzione”, quanto carattere.

Il nucleo dell’infelicità è tradire il proprio destino. Se veniamo rinnegati dal nostro demone, non c’è scampo all’infelicità.

 

"Qui, proprio qui, sta l'origine dell'infelicità… Avvertiamo allora lo squilibrio tra il nostro essere in potenza e il nostro essere in atto. E questa, questa è l'infelicità"[7].

"Molti provavano, per un istante, una penosa tristezza perché tra la loro vita e i loro istinti c'era un tale dissidio, un tal conflitto che la loro vita non era affatto una danza, bensì un faticoso e affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si erano accollati"[8].

 

Nell’ultimo libro dell’Asino d’oro di Apuleio, Lucio prega la Regina del cielo, la luna che gli è apparsa con uno straordinario splendore sulla riva del mare, vicino a Corinto, e le chiede la fine delle fatiche e dei pericolo corsi nella sua vita asinina, una vita senza Iside: “sit satis laborum, sit satis periculorum”. Quindi la prega di restituirlo alla forma umana, ai suoi affetti e, dopo tutto a se stesso, al Lucio che è:” Depelle quadripedis diram faciem, redde me conspectui meorum, redde me meo Lucio” (XI, 2), stacca da me l’orribile aspetto di quadrupede, rendimi alla vista dei miei, rendimi al Lucio che sono. 

"Qui, proprio qui, sta l'origine dell'infelicità…Avvertiamo allora lo squilibrio tra il nostro essere in potenza e il nostro essere in atto. E questa, questa è l'infelicità"[9].

"Di tutte le offese, quelle arrecate alla mia vocazione - quando ho mancato di rispondere con passione all'immagine del cuore - sono le più dolorose. Con i suoi attacchi implacabili, la contrizione denuncia le insufficienze del cuore"[10].

"Florentino Ariza…l'aveva convinta che uno viene al mondo con le sue polveri contate, e quelle che non vengono usate per qualsiasi motivo, proprio o estraneo, si perdono per sempre"[11].

Per diventare se stessi è necessario prendere le distanze anche dai genitori: lo insegna il Vangelo di Giovanni nel quale il Cristo dice alla madre: " tiv ejmoi; kai; soiv, guvnai; - Quid mihi et tibi mulier? " [12] (2, 4), che cosa ho da fare con te, donna?

Ancora più esplicito è il Cristo nel Vangelo di Matteo: “non veni pacem mittere sed gladium. Veni enim separare

Hominem adversus patrem suum

Et filiam adversus matrem suam” (10, 34 - 35), non sono venuto a portare pace ma una spada. Sono venuto infatti a separare l’uomo dal padre suo e la figlia dalla madre. 

Nell’Achilleide di Stazio il giovanissimo Pelide deve ribellarsi alla madre, che ne aveva fatto un travestito, per recarsi alla guerra di Troia: “Paruimus, genetrix, quamquam haud toleranda iuberes,/paruimus nimium: bella ad Troiana ratesque/Argolicas quaesitus eo” (II, 17 - 19), ho obbedito, madre, sebbene tu ordinassi cose non tollerabili, ti ho obbedito troppo: vado alla guerra di Troia sulle navi dei Greci che mi hanno cercato. 

Si ricordi[13] quanto afferma Esiodo dei bambini ritardati, potenzialmente violenti, che vivevano fino a cento anni con la madre.

 

Sentiamo di nuovo Fromm: " Rimanendo legato alla natura, alla madre o al padre, l'uomo riesce quindi a sentirsi a suo agio nel mondo, ma, per la sua sicurezza, paga un prezzo altissimo, quello della sottomissione e della dipendenza, nonché il blocco del pieno sviluppo della sua ragione e della sua capacità di amare. Egli resta un fanciullo mentre vorrebbe diventare un adulto"[14].

"La capacità d'amare dipende dalla propria capacità di emergere dal narcisismo e dall'attaccamento incestuoso per la propria madre e il proprio clan; dipende dalla propria capacità di crescere, di sviluppare un orientamento produttivo nei rapporti col mondo e se stessi"[15].

 

 

"E' forse questo che si cerca attraverso la vita, null'altro che quello, la più grande sofferenza possibile per diventare se stessi prima di morire"[16].

Per questo l'Adriano della Yourcenar ha conquistato il potere sul mondo:"Volevo il potere. Lo volevo per imporre i miei piani, per tentare i miei rimedi, per instaurare la pace. Lo volevo soprattutto per essere interamente me stesso, prima di morire…Ho compreso che ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte. Quell'ossessione di una vita mancata concentrava i miei pensieri su di un punto, li fissava come un ascesso"[17].

Altrettanto l’imperatore Giuliano nella commedia di Ibsen: “E che cos’è la felicità se non il vivere in conformità a se stesso? L’aquila chiede forse delle penne d’oro? Il leone ambisce avere artigli d’argento? O forse ilmelograno desidera che i suoi chicchi siano altrettante pietre preziose?”[18]

Diventare quello che si è costituisce una forma particolare di virtù: “esiste una virtù particolare, che altro non è se non la fedeltà assoluta alla nostra natura, al nostro destino e alle nostre inclinazioni”[19].

“ Gli esseri umani non sono, nella loro gran maggioranza, così fortemente egoisti. Pressappoco all’età di trent’anni abbandonano le ambizioni personali - in molti casi abbandonano addirittura il senso di possedere un’esistenza individuale - e vivono principalmente per gli altri, oppure sono semplicemente schiacciati dalla dura routine del lavoro quotidiano. Ma esiste anche una minoranza di persone dotate, caparbie e ben decise a vivere la propria vita fino in fondo: gli scrittori appartengono a questa categoria”[20].

 

L’opposto della dimenticanza deleteria del proprio destino è il “diventa quello che sei” prescritto da Pindaro gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II v. 72),

 

Fine dell’excursus

Infine il guardiano va a chiudere l’ingresso. Il prete suggerisce a K di non badare troppo alle opinioni e commenta il tutto dicendo: “non si deve credere che tutto è vero, si deve credere che tutto è necessario” p. 226 .

 

 Nell'Agamennone si legge:"to; mevllon hJvxei"(1240), "quello che deve accadere accadrà", ossia quello che avviene, avviene necessariamente.

Nell'Edipo re Tiresia avvisa Edipo che la sua ira da tiranno davanti alle parole profetiche è inutile:" infatti esse si compiranno (hJvxei) anche se io le copro con il silenzio" (v. 341).

 

K chiede al prete: “cerca di capirmi.

Il prete risponde: “cerca di capire chi sono io””

“Tu sei il cappellano delle carceri”

“Io dunque faccio parte del tribunale” spiegò il sacerdote - “perché dovrei volere qualcosa da te?. Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai”.

 

La legge nascosta dietro la porta dunque attendeva quell’uomo e attende tutti. Il processo è una specie di invito e “il peccato senza nome, il senso di colpa di cui Josef K e gli altri sono colpevoli, è in raltà un’elezione divina: questo peccato li rende belli, mentre tutti gli altri uomini che non vivono sotto questa ombra non esistono agli occhi di Dio. Dio ha accusato e fatto arrestare dai suoi loschi messaggeri : ma quest’accusa è il segno della sua ricerca” (Citati, Kafka, p. 157).

Interpretazione discutibile che a parer mio risente di quella di T. S. Eliot nel dramma Riunione di FamigliaHarry infine ha capito e ha vinto la paura. Quando le Eumenidi appaiono per l’ul­tima volta, il giovane si rivolge a loro con queste parole: «You cannot think that I am surprised to see you», “non crediate che io sia sorpreso di vedervi”, «and you shall not think that I am afraid to see you», “e non crediate che abbia paura di vedervi”. “Questa volta siete reali, siete fuori di me e perciò sopportabili”, «this time you are real, this time you are outside me, and just endurable». “Pen­savo di sfuggirvi venendo qui dove voi invece mi aspettavate (II, 2). Ora final­mente vedo che vi sto seguendo”, «now I see at last that I am following you», “e che può esserci un solo itinerario e una sola destinazione”. «Let us lose no time. I will follow».

«I must follow the bright angels», “io devo seguire gli angeli splendenti”. Le Erinni sono diven­tate Eumenidi.

 

Pure Oreste, giunto sull’acropoli di Atene, non ha più paura delle Erinni: le affronta senza rinnegare le proprie azioni, compreso il matricidio con il quale ha vendicato il proprio padre (Eschilo, Eumenidi 588): κτεινα. τούτου δ’ οτις ρνησις πέλει, “l’ho uccisa e di questo non c’è negazione”.

 

giovanni ghiselli

 



[3] Cfr. lagcavnw “ricevo in sorte”, klwvqw, “filo” e trevpw “volgo” preceduto da aj - privativo, quindi l’inflessibile. 

[4] E’ l’afferrmazione della responsabilità degli uomini, già fatta da Zeus nel primo canto dell’Odissea:"Ahimé, come ora davvero i mortali incolpano gli dèi! Da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi per la loro stupida presunzione hanno dolori oltre il destino. Così anche ora Egisto oltre il destino si prese la moglie legittima dell’Atride, e lo ammazzò appena tornato,

pur sapendo della morte scoscesa, poiché gliela predicemmo noi,

mandando Ermes, l’Argifonte dalla vista acuta,

di non ammazzarlo e di non corteggiarne la sposa:

infatti da Oreste ci sarà la vendetta dell’Atride,

quando sia adulto e desideri la sua terra.

Così diceva Ermes, ma non persuadeva la mente

Di Egisto, pur pensando al suo bene; e ora tutto insieme ha pagato” (vv. 32 - 43). 

[5] Cfr. Virgilio, Georgica IVspretae Ciconum quo munere matres - inter sacra deum nocturnique orgia Bacchi - discerptum latos iuvenem sparsere per agros” ( vv. 520 - 522) spregiate da questa fedeltà (a Euridice)) le donne dei Ciconi fra riti religiosi e le orge di Bacco notturno, sparsero per i vasti campi il giovane fatto a pezzi.

[6] Fr. 91 Diano, il carattere è il destino dell’uomo 

[7] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 42.

[8] H. Hesse, Klein e Wagner, p. 126.

[9] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 42.

[10] Hillman, La forza del carattere, p. 183

[11] G. G. Márquez, L’amore ai tempi del colera, p. 162.

[12] T. Mann commenta queste parole, da par suo, nel Doctor Faustus:"In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai" (p.691).

[13] Cap. 58.

[14]E. Fromm, La rivoluzione della speranza , p. 80.

[15]E. Fromm, L'arte d'amare , p. 153.

[16] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 249.

[17] M. Yourcenar, Memorie di Adriano, p. 84.

[18] L’imperatore Giuliano, Atto III, quadro primo.

[19] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 97.

[20] G. orwell, Perché scrivo, “Gangrel”, n. 4, estate 1946, in Romanzi e Saggi, I Meridiani, p. 1288.