sabato 5 giugno 2021

Eros-Eris. Parte II. Amore , guerra e ferite

Alcuni verbi greci sono significativi di tale associazione.
Méignumi, "unirsi sessualmente", significa anche mescolarsi, incontrarsi in battaglia. Quando Diomede "si mescola ai Troiani", vuol dire che viene alle mani, a distanza ravvicinata, con loro... Stessa cosa per damàzo, damnémi: soggiogare, domare. Uno doma una donna che fa sua, come doma il nemico cui dà la morte"[1].
Meignumi - e mivgnumi - mescolo; nella diatesi passiva significa “mi azzuffo” e pure “mi unisco in amore”.
 
Amore è un combattente invincibile: "Sofocle  nelle Trachinie  fa dire a Deianira che chiunque si alzi come un pugile per venire alle mani con Eros, non ha la testa a posto ( "ouj kalw'" fronei'", v. 442). Eros domina anche gli dèi e domina me e domina tutti. Sarei pazza a biasimare mio marito se è stato lasciato in balia di questo male e se ritenessi colpevole questa donna –Iole- per una passione che non è vergognosa e non mi fa del male.
 
 Anacreonte aveva bisogno di alterarsi la mente con il vino per lanciare una sfida di pugilato a Eros: "fevr j u{dwr, fevr j oi\non, w\ pai',... - pro;"  [Erwta puktalivzw" (fr. 27 D.), porta l'acqua, porta il vino, ragazzo, voglio fare a pugni con Eros.
 La guerra a volte viene fatta da Eros contro gli amanti concordi, a volte dagli amanti tra loro per sopraffarsi a vicenda.
L' Oreste dell' Elettra  sofoclea ricorda alla sorella che c'é un Ares anche nelle donne:"kajn gunaixi;n... [Arh"-  e[nestin" (vv. 1243-1244). Il riferimento è alla loro madre assassina del marito ovviamente, ma il suo non è certo l'unico caso di connubio conflittuale e criminale.
 
Alla dea Afrodite che, fin dal primo verso[2] dell'Ippolito  di Euripide, si presenta come divinità possente e non senza fama, la  nutrice di Fedra attribuisce una forza d'urto ineluttabile  :" Kuvpri" ga;r ouj forhto;n h]n pollh; rJuh'/" (v. 443), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza. Ella si accosta con mitezza a chi cede, ma fa strazio di chi trovi altero e arrogante. 
Nella letteratura latina la ferita d'amore appare già nella Medea exul  di Ennio che traduce questo verso della Medea  di Euripide:" e[rwti qumo;n ejkplagei's j  jIavsono"" (v. 8), colpita nel cuore dall'amore di Giasone, accentuandone il pathos con l'allitterazione:"Medea animo aegro amore saevo saucia ", (v. 9), Medea dall'animo sofferente, ferita da un amore crudele. Un aggettivo che diverrà topico per indicare le ferite inflitte da Afrodite o da suo figlio.
 
L'amore come guerra, fuoco che arde e squilibrio è affermato pure  da Terenzio (190ca-159ca a. C.) nell'Eunuco :"In amore haec omnia insunt vitia : iniuriae,/suspiciones, inimicitiae, indutiae, bellum, pax rursum: incerta haec si tu postules/ratione certa facere, nihilo plus agas/quam si des operam ut cum ratione insanias " (vv. 59-63), nell'amore ci sono tutti questi difetti: offese, sospetti, litigi, una tregua, la guerra, di nuovo la pace: se tu cerchi di mettere in ordine sicuro queste cose incerte, non fai di meglio che se ti adoperassi per fare il pazzo ragionevolmente, dice lo schiavo Parmenione al giovane Fedria innamorato, il quale risponde:"et taedet et amore ardeo, et prudens sciens,/vivos[3] vidensque pereo, nec quid agam scio " (vv. 72-73), non ne posso più e brucio d'amore, lo so e capisco e sono vivo e vedo e muoio, e non so che fare.
 
Amore e ferite
Secondo Lucrezio perfino Marte "armipotens " viene vinto aeterno… vulnere amoris , dall'eterna ferita dell'amore.
In effetti questo Marte vinto dalle ferite è rovesciato rispetto a quello usuale che le infligge  e su questo capovolgimento insistono i termini scelti dall'autore. Vediamo  alcuni versi dell'inno a Venere:" Nam tu sola potes tranquilla pace iuvare/mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors/armipotens regit,  in gremium qui saepe tuum se/reicit aeterno devictus vulnere amoris ,/ atque ita suspiciens tereti cervice reposta/pascit amore avidos inhians in te, dea, visus,/eque tuo pendet resupini spiriyus ore"  (De rerum natura, I, vv. 31-37), Infatti tu sola puoi con una pace tranquilla aiutare/i mortali, poiché le feroci opere della guerra governa/Marte, signore delle armi, che spesso si rovescia nel tuo/grembo, vinto dall'eterna ferita dell'amore,/e così guardando da sotto, con la il liscio collo gettato all’indietro,/pasce d'amore gli avidi occhi agognandoti, o dea /e il respiro di lui resupino dipende dalla tua bocca.
 Si può notare come Mavors (arcaico per Mars ) si esponga alle ferite lasciando scoperta e rivolta all'amante la parte più tenera del corpo, la gola, quella attraverso cui nell'Iliade risonante di battaglie i guerrieri marziali vengono uccisi più frequentemente.
 Insomma make love, not war come si diceva nel '68. Ma il proemio, si vedrà è in un certo senso fuoritesto rispetto al poema. Più avanti, infatti come vedremo, l’amore provoca non solo ferite ma anche piaghe agli amanti mortali.
 
 La personificazione mitologica e superstiziosa del tormento amoroso dei mortali è costituita da Tizio: "Sed Tityos nobis hic est, in amore iacentem/quem volucres lacerant atque exest anxius angor " (De rerum natura, III, 992-993), ma  Tizio è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano e un angoscioso affanno divora.
Le pene infernali della mitologia sono in realtà immaginazioni dovute alla mancata visione razionale della natura
La conclusione è hic Acherusia fit stultorum denique vita (III, 1023), qui diventa infernale la vita degli stolti al postutto
Noi a volte tremiamo come i bambini che hanno paura di tutto nel buio "trepidant atque omnia caecis/in tenebris metuunt "(II, 55-56).
Tali tenebre le può dissipare solo"naturae species ratioque "(II, 61) la visione razionale della natura.
 "La pena di Tizio-il gigante ucciso da Apollo per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato continuamente roso dagli avvoltoi- è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm. 3, 4, 77-79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria dell'angosciosa passione amorosa, la cupido"[4].
 
 Ma i versi più dolorosi sull'amore sono quelli del libro successivo, il quarto, dove il termine vulnus , ferita, non basta più e il segno lasciato dall'ansia erotica diviene una piaga che potrebbe diventare mortale se non curata :"Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo/inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit,/si non prima novis conturbes vulnera plagis/vulgivagaque vagus Venere ante recentia cures/aut alio possis animi traducere motus " ( De rerum natura, IV, 1068-1072), la piaga infatti si ravviva e vigoreggia a nutrirla,  la smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le antiche ferite con nuovi colpi, e le recenti non  curi in anticipo vagando con una Venere vagabonda o ad altro oggetto tu non drizzi i moti dell'animo.
Nei primi due versi "le due coppie allitteranti di incoativi, qui più che mai progressivi, si succedono in crescendo (...) simbolo fonico dell'inarrestabile crescere della passione" (Traina 1979, 279-25). Il linguaggio erotico lucreziano oscilla tra il tovpo" dell'amore-ferita (il peggiorativo e prosastico ulcus  sostituisce il nobile ed epico vulnus ; cfr. vv. 1048-1055) e il tovpo" dell'amore-follia"[5].
L'allitterazione in "v" del penultimo verso suggerisce il suono di un soffio che passa sulle ferite cercando di asciugarle.
 E' da notare che tanto il termine ulcus  quanto il nesso anxius angor  tornano alla fine del poema lucreziano nella descrizione della peste di Atene del 430 (VI, 1148 e 1158).
 
Ammesso che Amore infligga delle ferite, bisogna dire che queste, se comprese, possono diventare un bene:"una ferita è un'apertura. Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti" siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita. Tutti le sentiamo. E se non le sentiamo, siamo solo bambini, solo innocenza. Si tratta piuttosto di rendersi conto che la vita è una serie di iniziazioni, e questa è un'iniziazione in più. Un'altra apertura a qualcosa che mette alla prova la nostra vitalità. Che sonda la nostra capacità di comprensione. Che espande la nostra intelligenza"[6].
Insomma è il tw/' pavqei mavqo" di Eschilo[7], attraverso la sofferenza, la comprensione, che H. Hesse esprime così:"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce"[8].
 
Bologna 5 giugno 2021 ore 18, 54
giovanni ghiselli 

p. s.
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[1]J. P. Vernant, L'individuo, la morte, l'amore , p. 118.
[2] Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" (Ippolito , 1)
[3] Arcaico per vivus.
[4] Lucrezio,  La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano Dionigi, p. 320.
[5]Lucrezio, La Natura Delle Cose , commento di I. Dionigi, p. 408.
[6] J. Hillman, Il piacere di pensare. conversazione con Silvia Ronchey, pp. 66-67.
[7]  Agamennone, 177. 
[8]Siddharta , p.135.

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