Hadra Tanrıverdi Birecik, Maria Puder |
“La persona buona è anche intelligente - continuò Cornelia - ed è pure
bella. L’avevano capito i maestri greci che ci hanno insegnato a non separare
il buono dal bello con la loro kalokajgaqiva”.
“Tu ne sei l’incarnazione Cornelia. Sei cresciuta molto dall’ultima volta
che abbiamo parlato. Hai fatto letture ottime vedo”.
“Sì anche. Ma quanto ti ho detto l’ho capito attraverso l’esperienza, gli
sbagli, il dolore”.
“Tw'/ pavqei
mavqo"”[1],
sussurrai con l’atteggiamento inelegante da arricchito culturale che non avevo
superato ancora. Nemmeno ora, non del tutto: mi piace troppo citare, anche per
ricordare.
“Per come ti conosco - riprese Cornelia - comprendo che tu senti la necessità di una persona buona e intelligente. Tu sei una persona autentica, pulita che non gioca con il cuore degli altri, e, per vivere senza dolore o soffrendo il meno possibile, hai bisogno di una donna della tua levatura spirituale. Me l’hai suggerito tu stesso; non te ne sei accorto? Se la tua fiorente ragazza italiana è bella anche moralmente, se è buona, tiella da conto, vivici insieme, fai dei figli con lei. Meriterebbero senz’altro la vita tali bambini. Non impuntarti se da qualche giorno accidentalmente non scrive. Il tempo chiarità tutto. Se non è buona, quindi nemmeno intelligente né davvero bella, lasciala perdere. Dai retta a una amica storica oramai, e anche, spero, cara. Io ho fatto l’errore di sposare un tale che appariva attrente e spiritoso. Ma poi, convivendo, ho capito quanto era egoista, cattivo, cretino quel tale e dopo un paio di mesi mi ripugnava”.
“Brava Cornelia, brava. Sei diventata una donna di formato speciale”.
Mi piaceva assai. Mi era venuta voglia di fare l’amore con lei, ma non mi
era ancora chiaro se Ifigenia fosse malvagia, perciò non volevo rompere il
patto di fedeltà concordato al momento della partenza dalle amabili sponde
adriatiche.
“Anche tu sei speciale” mi contraccambiò Cornelia. “Gli altri che abbiamo
qui intorno in confronto a te sono dei burattini simpatici, bene che vada”.
In effetti uno saltava da un tavolo all’altro scolando tutte le bottiglie
di sangue di toro ancora inesauste, mentre un altro si avvicinava a ogni
ragazza beccheggiando e domandava: “vuoi ballare, vuoi ballare?” senza
lasciarsi smontare dai ripetuti dinieghi.
Salutai dunque Cornelia e gli altri amici storici delle estati debrecine e
tornai in collegio da solo. Ero contento, andavo d’accordo con me stesso poiché
Cornelia mi aveva svelato una parte di me che mi piaceva molto e si confaceva
alla mia persona realizzata.
Mentre fiancheggiavo l’orto botanico dagli alberi strani, poi quando
procedevo sotto le querce antiche, di maestà dodonèa, vidi l’immagine di Helena
Sarjantola vestita di colore bianchissimo[2]:
mi sorrideva con lieta naturalezza e mi suggeriva di non dare peso soverchio,
opprimente alla posta non arrivata. Contraccambiai il sorriso, non senza
letizia.
Del resto mi vennero in mente le parole del tutto chiare che la bella donna
mi scrisse quando fu arrivata in Finlandia. Il confronto era schiacciante.
Amare è ricordare, come conoscere. E pure disamorarsi è ricordare: rammentare
che cosa era l’amore, quanto bene funzionava, quanta allegria e felicità creava
dalla mattina alla sera.
Pesaro 22 agosto 2020, ore 11.
giovanni ghiselli
p. s.
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