sabato 8 agosto 2020

Introduzione a Lucano. Tredicesima parte del poema "Pharsalia"

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Pharsalia II, vv. 1 - 42

Secondo libro della Pharsalia
Segni dell’ira divina e della guerra civile. La natura sconvolge le leggi e i patti con un disordine produttore di mostri - leges et foedera vertit natura monstrifero tumultu - (II, 2 - 3)

Destino o Caso?
L’autore si chiede se il pater rerum (7) abbia fissato per sempre le cause - fixit in aeternum causas - (9) - sive nihil positum est, sed fors incerta vagatur - fertque refertque vices et habet mortalia casus (12 - 13) oppure se nulla è stabilito la sorte se ne va vagabonda e porta e riporta vicende, ed è il caso che domina le vicende umane.
Cfr. Seneca: “ Series invicta et nulla mutabilis ope inligavit et trahit cuncta (Ep. 77, 12) una ferrea concatenazione e che nessuna forza può mutare ha legato e trae a sé tutto

E’ l’ eiJmarmevnh degli Stoici. L'ordo e la series (causarum) che Cicerone identifica con il Fatum: Fatum autem id appello, quod Graeci eiJmarmevnhnid est ordinem seriemque causarum, cum causa causae nexa rem ex se gignat" (De divinatione, I, 55, 125), chiamo Fato quello che i Greci eiJmarmevnh, cioè la serie ordinata della cause, poiché una causa connessa a un'altra produce un effetto conseguente.
 Seneca nel De beneficiis afferma che Giove può essere chiamato anche fatum "cum fatum nihil aliud sit quam series implexa causarum" (IV, 7), dal momento che il Fato non è altro che la serie concatenata delle cause.
Cfr. Epitteto : mevmnhso o[ti uJpokrith;~ ei\ dravmato~ , oi{ou a]n qevlh/ didavskalo~, ricorda che sei attore di un dramma, di quello che il regista vuole, se breve di uno breve, se lungo di uno lungo, se vuole che tu reciti la parte di un mendicante, cerca di recitarla bene, e così quella di uno zoppo, di un magistrato etc so;n ga;r tou`t j e[sti, to; doqe;n uJpokrivnasqai provswpon kalw`~ : ejklevxasqai d j aujto; a[llou (Manuale, 17), il tuo compito infatti è recitare bene la parte assegnata, sceglierla è potere di un altro.

Tolstoj in Guerra e pace nota che "Miliardi di cause hanno agito in concomitanza per dar luogo a ciò che accadde. Di conseguenza, nulla fu causa isolata ed esclusiva dell'evento, ma l'evento dovette verificarsi".
La mela cade per "la coincidenza delle condizioni per le quali si compie ogni evento vitale, organico, elementare. Il botanico che affermasse come la caduta della mela sia dovuta al dilatarsi del tessuto cellulare e cose del genere, avrebbe ragione quanto il bambino che, stando lì sotto, dicesse che la mela è caduta perché lui aveva voglia di mangiarla e aveva detto una preghiera propizia per l'evento. Così sarebbe altrettanto nel vero e nel falso chi dicesse che Napoleone mosse contro Mosca perché tale era la sua volontà (...) Ogni azione compiuta da costoro, e che ad essi sembra un atto di libero arbitrio, in senso storico è tutt'altro che arbitraria, ma viene a trovarsi in connessione con tutto il corso della storia ed è predestinata ab aeterno"( Guerra e pace, p. 912). Allora Kutuzov "sapeva che non bisogna cogliere la mela finché è verde. Cadrà da sé quando sarà matura, ma se la cogli verde, rovinerai la mela e l'albero e ti si allegheranno i denti"(p.1541).
Cfr. Musil: “Sembra sempre che possiamo fare progetti, invece siamo noi in balia delle cose” (L’uomo senza qualità, p. 27).

Sarebbe comunque meglio fare a meno dei segni che preannunciano le catastrofi “sit caeca futuri - mens hominum fati: liceat sperare timenti”, la mente umana sia cieca del fato futuro, sia consentito sperare a chi ha paura (Pharsalia, 14 - 15).

A Roma c’è un’atmosfera luttuosa: le donne in limine sacro sul limitare del tempio (31) pectora duro - afflixēre solo (30 - 31) hanno battuto il petto contro il duro pavimento dopo avere deposto tutti gli ornamenti di prima - cultus matrona priores. deposuit - (28 - 29), mestae catervae tenent delūbra, occupano i templi folle afflitte, alcune hanno bagnato di lacrime gli dei - hae lacrimis sparsēre deos (30), attonitae fudēre comas (32) stordite, intronate, hanno sparso le chiome e feriunt ululatibus feriscono con ululati aures assuetas vocari votis crebris, le orecchie abituate a essere pregate con invocazioni votive frequenti.

Nella prima Ode del primo libro[1] Orazio menziona le guerre maledette dalle madri:" bellaque matribus/ detestata" (vv. 24 - 25).

Un’altra, nera nelle braccia piene di lividi atra lacertos liventis (liveo) per i colpi planctu - che si era inflitta (37), gridava alle donne nunc laniate comas neve hunc differte dolorem (39). Infatti nunc flere potestas - dum pendet fortuna ducum: cum vicerit alter, - gaudendum est” (Pharsalia, 40 - 42), quando uno dei due abbia vinto, bisogna godere.

La tirannide dunque toglie la possibilità di parlare, di tacere (Edipo re) e perfino di piangere.
Nell’Oedipus di Seneca, il re di Tebe minaccia Creonte reticente. Allora il fratello della regina chiede che gli sia concessa la libertà minima: quella di tacere:"ubi non licet tacere, quid cuiquam licet? " (Oedipus, v.524), dove non c'è libertà di tacere, quale libertà rimane a uno?
Concetto simile in La tragedia spagnola[2] quando Hieronimo dice al re di Spagna:" Quale minor libertà possono concedere i re, che l'innocuo silenzio? Dunque concedimelo. Basta: io non posso né voglio parlare a te" (IV, 3).

 Del resto c’è nella donna la prava voluptas doloris, il piacere depravato del dolore che provoca se stesso con questi stimoli his se stimulis dolor ipse lacessit (42)




[1] I primi tre libri delle Odi uscirono nel 23 a. C.
[2] di Thomas Kyd (del 1585)

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