dal film Gelosia di P. Germi |
Nell’intervallo
andai a bere il caffè, non con Ifigenia purtroppo che villeggiava sul mare
Adriatico, ma con Alfredo che sedeva vicino a me nel banco dei vecchi studenti,
o studenti pensionati, come ci chiamavano i giovani del ’79, non
senza ragione. Mentre camminavamo nei corridoi lunghi in direzione del bar
situato vicino all’ingresso, Alfredo propose: “amico mio, perché non ci diamo
da fare con un paio di finniche delle quali tu hai, se non sbaglio, tante belle
esperienze?
Lo guardai
con aria di scherzosa riprovazione e canticchiai “Sempre andrai farfallone
amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando,/ delle belle turbando il riposo,/
narcisetto adoncino d’amor”[2].
Poi, assunta
una faccia quasi severa, risposi: “No, amico carissimo, scusami ma quest’anno
non voglio: ho promesso la mia fedeltà a una donna splendida, quella collega
giovane che hai conosciuto. Non hai visto com’è ben fatta ? A parte il discorso
morale, non voglio rischiare di perdere una relazione seria con tale bellezza
per un’avventura mensile. Non sarebbe utile oltre non essere onesto”.
“Ma va’ là”
ribatte quel demone. “Non ricominciare a fare il fighetto. Ora vuoi
fare il fighetto morale. In un modo o in un altro tu vuoi distinguerti sempre:
qui tutti tradiscono! Le donne prima e più volentieri degli uomini! E Ifigenia,
cosa credi che faccia? Dov’è in questi giorni?”.
“A Rimini”,
gli ricordai.
“Ah, già. Me
l’hai detto. A Rimini ci sono più maschi puntatori che gocce d’acqua nel mare.
La città di Fellini è un circo più popolato, incasinato e frenetico di
Debrecen. A parte Rimini poi, una volta che venni a trovarti nel vostro liceo,
ho visto la tua donna, una bellona senza dubbio, però abbracciata con un
giovane uomo. Allora non te lo dissi perché pensavo che nemmeno tu le fossi
fedele. Sei matto? Ti piacciono le svergognate? Quella era proprio avvinghiata
al ganzo suo. “Son qui tra le tue braccia ancor, avvinta come
l’edera”, cantava Nilla Pizzi, quando eravamo bambini. Ora non lo siamo più
e tu non puoi vedere il tutto nel nulla”.
“Tu vedi il
nulla nel tutto di Ifigenia”, replicai ricordando Leopardi[3].
Ma aveva
ragione l’amico, ora purtroppo defunto da tempo e sempre rimpianto.
Quel giorno
di primavera Ifigenia si era accorta di essere stata osservata e, immaginando
che sarebbe stata denunciata, prevenne il delatore e mi raccontò
quell’episodio, spiegandomi che l’uomo era un suo amico d’infanzia un po’
strambo, un conducente di autoambulanze. Avevo avuto il sospetto di essere
stato ingannato, ma poi l’avevo rimosso. Non ricordo se l’avevo superato del
tutto.
Comunque
risposi: “Lo so, Alfredo caro, lo so: me l’ha detto lei stessa. Quello è un suo
amico. Quanto al casino di Rimini, se Ifigenia mi ama, non mi tradisce, come io
non la tradisco in questo casino. Debrecen anzi sarà un casino per te e le mie
zie; per me è stato il luogo degli amori più belli dei miei, dei nostri
vent’anni lontani. A Helena, Kaisa e Päivi[4] io
devo buona parte della mia umanità e della mia felicità. A te, amico mio, ora
devo un rifiuto”.
“Non te la
prendere”, ribatté Alfredo. Poi riprese l’attacco: “Però, scusami e
toglimi una curiosità: come fai a dire che lei ti è fedele? Come puoi essere
sicuro che ti ami o ti voglia bene? Quante lettere ti ha scritto da quando
siamo arrivati a Debrecen? Ricordati che una nave ormeggiata con una sola
ancora non è per niente sicura. Cercati un’amante anche qui: arricchisci la tua
collezione, fanne una raccolta da museo!”
Il demone
tentatore cercava di strangolare la mia fiducia in Ifigenia stringendo ogni
cosa bella con il suo pugno infernale. Ero turbato, ma cercai di non darlo a
vedere per non subire ghigni più o meno cattivi.
“Se
incontrerà uno che le piacerà molto, me lo farà sapere subito con un telegramma.
Altrettanto farò io. Siamo d’accordo così. In ogni caso io non infrango il
patto. Ho promesso e non rompo la fede. E anche tu non rompere più”.
Dissi
quest’ultima frase così bruscamente che si diede per vinto.
“Fa’ un po’
come ti pare”, brontolò e si allontanò, per cercare, forse, un altro compare di
caccia amorosa, o almeno di burle e bevute.
“Improbus”,
pensai nella mia ingenuità annosa. Non avevo capito che quel compagno di
colazioni e lezioni non aveva torto. Stavo commettendo un errore mentale, amoroso
e pure politico poiché le angosce inflitte da quella
donna avrebbero sottratto energie al mio lavoro dedito al bene comune, alla
scuola, e, dopo tutto, alla polis.
Sentivo
già che qualche cosa non andava, che si profilava un autunno lugubre.
Ma non
volevo ammetterlo.
Quindi, per
liberarmi da pensieri e dubbi penosi, andai a correre i 5000 metri nel caldo
sicuro e luminoso del mezzogiorno. Corsi bene: le membra divinamente compatte
dal vincolo dell’armonia e della salute migliorarono l’ultimo tempo di sette
secondi.
Pesaro 12
agosto 2020 ore 17, 25 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. Goethe, Faust ,
Prima parte, Studio: “Ahi, ahi, con il tuo pugno potente, hai
distrutto un mondo ridente!”
Un concetto
ribadito, nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri :"
Diceva che i diletti più veri della nostra vita sono quelli che nascono dalle
immaginazioni false; e che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli
uonini il niente nel tutto".
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