NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 22 agosto 2020

Debrecen 1979. 28. Il telegramma

Il telegramma 

Il giorno seguente, martedì 2 agosto, finite le ore di lezione, tornai in collegio e trovai un telegramma che riattizzò la bruciante manìa e mi spinse di nuovo nelle reti inestricabili della giovane compagna di letto[1], fiorente donna italiana.

Avevo i pensieri stravolti e pure l’aspetto, come la sera lontana del luglio del 1966, quando arrivai a Debrecen per la prima volta.
Ma quella mattina di agosto, tredici anni e venti giorni più tardi, lo stravolgimento volgeva la mia persona cangiante al lato più bello
Con l’anima e la mente in tumulto, lessi queste parole:
Ti amo. Mi manchi. Mi fido. Fidati. Zazzì. Un bacio. Tua Ifigenia. Aspetta mio espresso. Ifigenia”.
Zazzì nel nostro gergo di coppia significava quello che tu immagini già, malizioso lettore: ho una voglia bestiale di fare l’amore con te: almeno tre volte. Iterazione di un concubitus vagus ma non pohibitus[2] che, anzi, negli otto mesi precedenti era da noi considerata appena sufficiente.
Misi in tasca il foglio verde e andai a camminare nell’orto botanico dove il destino mi aveva più volte indicato con dito diritto i suoi decreti e il prosieguo del mio cammino invece tortuoso e accidentato. Ma in quel momento non vedevo ostacoli né vie oscure, erte o arte: nulla di inameno turbava la gioia che mi aveva inondato. Il luogo era tutto sacro e pieno di dèi.
La multiforme vegetazione era viva e luminosa : ogni pianta, ogni cespuglio, ogni fiore e filo di erba mi parlava di amore, di felicità, di poesia; la Jiuniperus communis, una specie di edera, aveva qualcosa di antico, misterioso e fatato: volevo incoronarmene come facevano le baccanti durante le sante orge in onore di Dioniso. Sulla strada al di là della rete passavano alcuni dei “simpatici burattini” menzionati da Cornelia la sera prima. Li salutai con la mano e mormorai: “stefanou'sqe kissw'/[3].
 Danilo, mezzo morto di sete, contraccambiò il saluto: mi lanciò uno sguardo desolato mentre capovolgeva una bottiglia di sangue di toro già vuota. Disse che stava andando a ricaricarla, cara da Dio!
 Ezio a sua volta mosse il piede rapido, a balzi, come una menade[4]. Alfredo domandò: “Chi è per strada, chi è per strada, chi?”[5]
“Ifigenia, evoè!”, risposi
Il dio Dioniso mi stava approvando.
Passati gli amici bizzarri e cari, tornai a osservare le piante strane: la tunica saxifragata aveva qualcosa di carneo e voluttuoso: l’accarezzai come fosse stata una mano di Ifigenia. Avrei voluto pure baciarla, ma passarono due anziani signori, probabilmente docenti della Nyári Egyetem e, vedendomi inginocchiato, uno disse all’altro: “guarda quell’uomo pieno di alcol, ed è appena mezzogiorno! Vergogna!”
In effetti avevo gli occhi velati di lacrime. Quando i due accigliati Catoni, tristes et superciliosi alienae vitae censores,[6] furono passati, mi stesi a terra e gridai: “ecco io mi prostro, Ifigenia, al suolo” [7].
Quindi mi rovesciai, beato e da resupino[8], e alzai gli occhi all’alta chioma di una quercus robur antica e maestosa come quella sacra di Dodona sorvolata da colombe profetiche: le sue fronde, sonore al vento quasi fresco mi sembrarono preannunciare un altro autunno di gioia con la mia baccante splendidissima e santa. Promisi che sarei arrivato in bicicletta all’antichissimo oracolo. Avrei sciolto quel voto dodici anni più tardi osservando i voli degli alati diretti da Dio e interpretandoli per decifrare la direzione del “grande” amore di turno.
Ma quel 2 agosto pensavo: “Tu sei la donna migliore dell’universo. Il poco male che c’è stato tra noi, sparirà, il tanto bene rimarrà eternamente vivo su questa terra. Creatura mia, figlia, amante, madre, sorella, ti amo come amo la vita da quando tu mi hai donato la tua”
Non avevo fame siccome ero pieno di gioia e andai in piscina per digerirla e assimilarla tutta-

giovanni ghiselli

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[1] Nell'Agamennone di Eschilo la moglie fedifraga e assassina viene denominata con un vocabolo che contiene il letto (eujnhv) poiché queste grandi tragedie matrimoniali hanno sempre a che fare con il letto:"ajll& a[rku" hJ xuvneuno", hJ xunaitiva - fovnou", vv. 1116 - 1117, ma è una rete la compagna di letto, la complice dell'assassinio.
[2] Cfr. Orazio che nell’Ars poetica scrive:
“silvestris homines sacer interpresque deorum
Caedibus et victu foedo deterruit Orpheus
Dictus ob hoc lenire tigris rabidosque leones
Dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis,
Saxa movere sono testudinis et prece blanda
ducere quo vellet. Fuit haec sapientia quondam,
publica privatis secernere, sacra profanis,
concubitu prohibere vago, dare iura maritis,
Oppida moliri, leges incidere ligno.
Sic honor et nomen divinis vatibus atque
Carminibus venit. post hos insignis Homerus
Tyrtaeusque mares animos in Martia bella
Versibus exacuit: dictae per carmina sortes,
et vitae mostrata via est, et gratia regum
Pieriis temprata modis, ludusque repertus
Et longorum operum finis, ne forte pudori
Sit tibi Musa lyrae sollers et cantor Apollo (391 - 407)
Gli uomini delle selve distolse dalle stragi e dal cibo orrendo il santo e interprete degli dèi Orfeo, detto per questo che ammansiva le tigri e i rabbiosi leoni.
Si disse anche di Anfione, fondatore della città di Tebe, che muoveva le pietre con il suono della cetra e con dolce preghiera le conduceva dove volesse. Fu questa un tempo la sapienza, separare il pubblico dal privato, il sacro dal profano, distogliere dagli accoppiamenti sregolati, imporre i doveri ai coniugi, e fondare città, incidere le leggi nel legno. Così l’onore e la fama giunse ai divini poeti e alla poesia. Dopo questi si distingue Omero e Tirteo con i versi stimolò il coraggio virile alle guerre di Marte: gli oracoli vennero dati in versi, e fu mostrata la via della vita, e il favore dei re fu cercato con le melodie delle Pieridi e si inventò la festa culturale e la pausa delle lunghe fatiche. Allora non accada che ti sia di vergogna la Musa abile nella lira e Apollo cantore.  
[3] Euripide, Baccanti, 106, incoronatevi con l’edera
[4] Cfr. Euripide, Baccanti, 166
[5] Euripide, Baccanti, 68
[6] Cfr. Seneca: “istos tristes et superciliosos alienae vitae censores, suae hostes, publicos paedagogos , assis ne feceris (Ep. 123, 11), questi austeri e accigliati censori della vita altrui, nemici della propria, questi pubblici pedagoghi non stimarli un soldo.
[7] Cfr.Lleopardi, All’Italia, 127 - 128
[8] Cfr. Gozzano, Totò Merumeni
La Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l’Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
40
ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Quando la casa dorme, la giovanetta scalza,
fresca come una prugna al gelo mattutino,
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza
su lui che la possiede, beato e resupino...


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