NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 22 agosto 2020

Introduzione a Lucano. XXIV parte del poema "Pharsalia". IV libro, 209-382. Fine della tregua. La gara dei sorsi osceni. Contro il lusso e lo spreco in diversi autori

Marco Petreio
Introduzione a Lucano. XXIV parte del poema "Pharsalia". IV libro, 209-382.
Fine della tregua. La gara dei sorsi osceni
Contro il lusso e lo spreco in diversi autori


Poi però Petreio il legato pompeiano, accortosi che la concordia aveva posto termine ai combattimenti, spinge i soldati agli scellerati scontri. Caccia giù a capofitto dagli accampamenti i nemici disarmati hostis inermes - praecipitat castris (209 - 210), iunctosque amplexibus ense - sepărat et multo disturbat sanguine pacem (210 - 211) divide con la spada quelli congiunti in un abbraccio e spargendo molto sangue, sconvolge la pace
Quindi la sua ira ferox dà voce a parole.
Si rivolge al miles che ha dimenticato di offrire il suo contributo alla patria: di tornare cioè a Roma quale assertor senatus - rivendicatore della libertà del senato, victo Caesare 214.
addidit ira ferox moturas proelia voces (211) l’ira feroce aggiunse parole capaci di mettere in moto la guerra. Non hoc civilia bella, - ut vivamus, agunt (221 - 222) le guerre civili non si adoperano per farci vivere.
Sic fatur et omnis - concussit mentes scelerumque reduxit amorem (235 - 236).

L’amor scelerum quando dilaga nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni, distrugge finanche le civiltà.

Redeunt rabiesque furorque - 240 - tument gustato sanguine fauces (241) le fauci si gonfiano per il sangue gustato, fervet ira, l’ira ribolle.
Itur in omne nefas (243)
Iuvat esse nocentes - 253 ci si vanta di fare del male.

Tutti i valori sono capovolti: nell’Oedipus di Seneca, la profetessa Manto, figlia di Tiresia, dice: "Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta ( vv. 366 - 367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Fedra esorta se stessa ad essere audace poiché il successo coonesta la trasgressione: "honesta quaedam scelera successus facit" (Fedra, v. 599), il successo rende certi delitti atti di virtù.

Il Catone l'Uticense di Sallustio denuncia il cambiamento dei significati verbali: "iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est" (Bellum Catilinae, 52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la corrispondenza tra il valore reale dei nomi e le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo. 

Qui in Spagna si vede il favore degli dèi per Cesare, più ancora che in arvis Emathiis a Farsalo, a Marsiglia e in Egitto.
I cesariani infatti hanno successo: la cavalleria costringe i pompeiani a fuggire in luoghi privi di acqua.
Quando i soldati di Pompeo si trovarono in tale difficoltà, conversus in iram - praecipitem timor est 267 - 268, il timore si trasformò in ira che va a capofitto. Si muovono contro Cesare in posizione di vantaggio quasi offrendogli la gola.
Cesare non infierisce e l’ira dei pompeiani cade.
Come succede al gladiatore ferito quando vede il vincitore non cerca più di colpirlo
La notte sostituì le sue stelle a Febo sommerso - substituit merso nox sua lumina Phoebo (282)
I pompeiani cercano l’acqua senza trovarla e cercano di bere in tutti i modi: perfino spremendo il fango sopra le bocche aperte a gara in sorsi osceni in haustus - certatim obscaenos 311 - 312. Vengono in mente i bevitori delle discoteche infernali e delle movide volgari.
Quindi morivano: probabilmente avevano bevuta tale schifezza proprio per questo.


I pompeiani sono allo stremo: “torrentur viscera flamma - oraque sicca rigent squamosis aspera linguis” 324 - 325, le viscere sono bruciate da fiamme e le bocche secche sono rigide, rese aspre dalle lingue squamate.
Già sono inattive le vene e il polmone privo di ogni irrigazione restringe i corsi e i ricorsi dell’aria - iam marcent venae, nulloque umore rigatus - āĕris alternos angustat pulmo meatus - (326 - 327).

Il legato pompeiano Afranio chiede la resa con dignità: “nil fata moramur” 351, non cerchiamo di fermare il destino. Vuole di dare riposo a chi è stanco - otia des fessis (357). Sono stanchi della guerra e desiderano passare il resto della vita senza armi.
Cesare lo ascolta facilis vultuque sereno - 363

I soldati pompeiani possono correre a dissetarsi ai fiumi
Lucano indica sulla scia di Epicuro quanto poco chieda la natura: “discite quam parvo liceat producere vitam - et quantum natura petat” (376 - 377), imparate quanto poco basti a sopravvivere e quanto poco chieda la natura.
C’è la condanna della ambitiosa fames - 377 - che non si accontenta del cibo di poco prezzo. Et lautae gloria mensae e la vanagloria di una mensa lussuosa.
 Disprezzo della prodiga rerum - luxuries numquam parvo contenta paratis (373 - 374) il lusso scialacquatore, mai contento di quanto viene comprato con poco.
Non erigit aegros - nobilis ignoto diffusus consule Bacchus, - non auro murraque bibunt, sed gurgite puro - vita redit. Satis est populis fluviusque Caeresque (378 - 381)
 Non tiene in piedi quei soldati malati un nobilis Bacchus, un vino famoso sparso sotto chissà quale console (379), sed gurgite puro vita redit, ma la vita torna con sola acqua di fiume. Satis est populis fluviusque Ceresque (381), bastano l’acqua di fiume e il pane per sopravvivere.
Heu miseri qui bella gerunt! 382.

Contro il lusso e lo spreco. Seneca, Petronio, Plutarco e, prima di questi, Ovidio
Cfr. Seneca: “A natura luxuria descivit, il lusso si allontanò dalla natura: primo supervacua coepit concupiscere, inde contaria, novissime animum corpori addixit infine assoggettò l’anima al copo et illius deservire libidini iussit (Ep. 90, 19).
 Ovidio apprezza il cultus, la cura della persona molto diffusa tra le donne della sua età : questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis illa superstes avis Ars, III, 127 - 128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza sopravvissuta agli avi antichi.
 Un cultus che include la coltura del corpo e dello spirito
Tuttavia anche il mulierosus Sulmonese condanna la follia del lusso eccessivo: “Vesti sfacciatamente lussuose vengono sconsigliate alle donne eleganti (Ars III, 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census corpore ferre suos? " , che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?
Potremmo rispondere che l'esibizione che puzza di soldi è il furor tipico del liberto arricchito scandalosamente, come Trimalchione, il "signore tre volte potente" il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.
"Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem subauratum" (Satyricon , 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.

E' un monumento classico, aere perennius, al cattivo gusto, alla volgarità dell'eterno cafone arricchito.

Quindi un’altra volgarità fuoriesce dalla bocca di questo liberto in rosso quando viene portato un vino etichettato come vecchio di cento anni, "Falernum Opimianum[1] annorum centum". L'anfitrione dunque batté le mani ed esclamò:"eheu… ergo diutius vivit vinum quam homuncio. quare tangomenas faciamus. vita vinum est. verum Opimianum praesto. heri non tam bonum posui, et multo honestiores cenabant" (Satyricon 34), ahimé… dunque il vino vive più a lungo dell'omuncolo. perciò facciamo baldoria. è vita il vino. per giunta vi offro dell'Opimiano. Ieri ne ho messo in tavola di meno buono e avevo a cena gente di maggior riguardo.
Un altro monumento alla volgarità è Creso che apparve a Solone ejn livqoi~, coperto di pietre preziose, ejn bafai`~ ejsqh`to~, in tinture di abbigliamento, ejn tevcnai~ crusou`, in ornamenti d’oro, per essere visto di aspetto più maestoso e acconciato (Plutarco, Vita di Solone, 27, 3). Ebbene Solone non disse niente ma era evidente a chi lo conosceva che disprezzava la volgarità e la piccineria del re: “dh`lo~ h\n toi`~ eu\ fronou`si th`" ajpeirokaliva~ kai; mikroprepeiva~ katafronw`n” (27, 4). Quindi Creso volle esibirgli i suoi tesori, ma Solone non ne aveva bisogno: bastava la persona di Creso a fargli capire il suo carattere.

Gli anelli preziosi sfoggiati dai servi sono uno dei motivi che spingono Giovenale a scrivere stire: “cum pars Niliacae plebis, cum verna Canopi/Crispinus Tyrias umero revocante lacernas[2]/ventilet aestivum digitis sudantibus aurum/nec sufferre queat maioris pondera gemmae,/difficile est saturam non scribere” (Satira I, 26 - 30), quando un pezzo della plebe del Nilo, quando una canaglia di Canopo, Crispino, mentre si tira sulle spalle il mantello di porpora di Tiro, sventola l’anello d’oro estivo con le dita sudate né potrebbe sopportare il peso di una gemma più grande, è difficile non scrivere satire!

Il filosofo Nigrino di Luciano denuncia la pacchianeria dei ricchi romani che si rendono ridicoli sfoggiando ricchezze e rivelando il loro cattivo gusto: pw'" ga;r ouj geloi'oi me;n oiJ ploutou'nte" aujtoi; ta;" porfurivda" profaivnonte" kai; tou;" daktuvlou" proteivnonte" kai; pollh;n kathgorou'nte" ajpeirokalivan (Nigrino , 21), come fanno a non essere ridicoli i ricchi con le loro stesse persone dal momento che mentre mettono in mostra le vesti di porpora e protendono le dita delle mani denunciano il loro cattivo gusto?

Pesrao 23 agosto 2020, ore 12, 45. giovanni ghiselli

p. s
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giovanni ghiselli

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