Marco Petreio |
Fine della tregua. La gara dei sorsi osceni
Contro il lusso e lo spreco in diversi autori
Poi però Petreio il legato
pompeiano, accortosi che la concordia aveva posto termine ai combattimenti,
spinge i soldati agli scellerati scontri. Caccia giù a capofitto dagli
accampamenti i nemici disarmati hostis inermes - praecipitat
castris (209 - 210), iunctosque amplexibus
ense - sepărat et multo disturbat sanguine pacem (210 - 211) divide
con la spada quelli congiunti in un abbraccio e spargendo molto sangue,
sconvolge la pace
Quindi la sua ira ferox dà
voce a parole.
Si rivolge al miles che ha
dimenticato di offrire il suo contributo alla patria: di tornare cioè a Roma
quale assertor
senatus - rivendicatore della libertà del senato, victo Caesare 214.
addidit ira ferox
moturas proelia voces (211) l’ira feroce aggiunse parole capaci di
mettere in moto la guerra. Non hoc civilia
bella, - ut vivamus, agunt (221 - 222) le guerre civili non si
adoperano per farci vivere.
Sic fatur et omnis - concussit
mentes scelerumque reduxit amorem (235 - 236).
L’amor scelerum quando
dilaga nelle famiglie, nelle città, nelle nazioni, distrugge finanche le
civiltà.
Redeunt rabiesque
furorque - 240 - tument gustato
sanguine fauces (241) le fauci si gonfiano per il sangue gustato, fervet
ira, l’ira ribolle.
Itur in omne nefas (243)
Iuvat esse nocentes
- 253 ci si vanta di fare del male.
Tutti i valori sono capovolti: nell’Oedipus di
Seneca, la profetessa Manto, figlia di Tiresia, dice: "Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed
acta retro cuncta ( vv. 366 - 367), è mutato l'ordine naturale
e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Fedra esorta se stessa ad essere
audace poiché il successo coonesta la trasgressione: "honesta quaedam
scelera successus facit" (Fedra, v. 599), il successo rende
certi delitti atti di virtù.
Il
Catone l'Uticense di Sallustio denuncia il cambiamento dei
significati verbali: "iam pridem equidem nos vera vocabula rerum
amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo
vocatur, eo res publica in extremo sita est" (Bellum
Catilinae, 52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la
corrispondenza tra il valore reale dei nomi e le cose: poiché essere prodighi
dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male coraggio, perciò la
repubblica è ridotta allo stremo.
Qui in Spagna si vede il favore
degli dèi per Cesare, più ancora che in arvis Emathiis a
Farsalo, a Marsiglia e in Egitto.
I cesariani infatti hanno successo:
la cavalleria costringe i pompeiani a fuggire in luoghi privi di acqua.
Quando i soldati di Pompeo si trovarono
in tale difficoltà, conversus in iram - praecipitem
timor est 267 - 268, il timore si trasformò in ira che va a capofitto.
Si muovono contro Cesare in posizione di vantaggio quasi offrendogli la gola.
Cesare non infierisce e l’ira
dei pompeiani cade.
Come succede al gladiatore ferito
quando vede il vincitore non cerca più di colpirlo
La notte sostituì le sue stelle a
Febo sommerso - substituit merso nox sua lumina Phoebo (282)
I pompeiani cercano l’acqua senza
trovarla e cercano di bere in tutti i modi: perfino spremendo il fango sopra le
bocche aperte a gara in sorsi osceni in haustus - certatim
obscaenos 311 - 312. Vengono in mente i bevitori delle discoteche
infernali e delle movide volgari.
Quindi morivano: probabilmente
avevano bevuta tale schifezza proprio per questo.
I pompeiani
sono allo stremo: “torrentur viscera flamma - oraque sicca rigent squamosis
aspera linguis” 324 - 325, le viscere sono bruciate da fiamme e le bocche
secche sono rigide, rese aspre dalle lingue squamate.
Già sono
inattive le vene e il polmone privo di ogni irrigazione restringe i corsi e i
ricorsi dell’aria - iam marcent venae, nulloque umore rigatus - āĕris
alternos angustat pulmo meatus - (326 - 327).
Il legato
pompeiano Afranio chiede la resa con dignità: “nil fata moramur” 351,
non cerchiamo di fermare il destino. Vuole di dare riposo a chi è stanco - otia
des fessis (357). Sono stanchi della guerra e desiderano passare il
resto della vita senza armi.
Cesare lo
ascolta facilis vultuque sereno - 363
I soldati
pompeiani possono correre a dissetarsi ai fiumi
Lucano
indica sulla scia di Epicuro quanto poco chieda la natura: “discite quam
parvo liceat producere vitam - et quantum natura petat” (376 - 377),
imparate quanto poco basti a sopravvivere e quanto poco chieda la natura.
C’è la
condanna della ambitiosa fames - 377 - che non si accontenta del
cibo di poco prezzo. Et lautae gloria mensae e la vanagloria
di una mensa lussuosa.
Disprezzo
della prodiga rerum - luxuries numquam parvo contenta paratis (373
- 374) il lusso scialacquatore, mai contento di quanto viene comprato con poco.
Non erigit
aegros - nobilis ignoto diffusus consule Bacchus, - non auro murraque bibunt,
sed gurgite puro - vita redit. Satis est populis fluviusque Caeresque (378 - 381)
Non
tiene in piedi quei soldati malati un nobilis Bacchus, un vino
famoso sparso sotto chissà quale console (379), sed gurgite puro vita redit, ma
la vita torna con sola acqua di fiume. Satis est populis fluviusque
Ceresque (381), bastano l’acqua di fiume e il pane per sopravvivere.
Heu miseri
qui bella gerunt! 382.
Contro il
lusso e lo spreco. Seneca, Petronio, Plutarco e, prima di questi, Ovidio
Cfr. Seneca:
“A natura luxuria descivit, il lusso si allontanò dalla natura: primo
supervacua coepit concupiscere, inde contaria, novissime animum corpori addixit
infine assoggettò l’anima al copo et illius deservire libidini iussit (Ep. 90,
19).
Ovidio
apprezza il cultus, la cura della persona molto diffusa tra le donne della sua
età : questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché terre
mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec
nostros mansit in annos/rusticitas priscis illa superstes avis " Ars,
III, 127 - 128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella
rozzezza sopravvissuta agli avi antichi.
Un cultus che include la coltura del
corpo e dello spirito
Tuttavia anche il mulierosus Sulmonese condanna la
follia del lusso eccessivo: “Vesti sfacciatamente lussuose vengono sconsigliate alle donne eleganti (Ars
III, 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec
quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/
quis furor est census corpore ferre suos? " , che devo dire della
veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora
di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che
pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?
Potremmo rispondere che l'esibizione che puzza di
soldi è il furor tipico del liberto arricchito
scandalosamente, come Trimalchione, il "signore tre volte potente"
il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso
un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al
collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.
"Habebat etiam in minimo digito
sinistrae manus anulum grandem subauratum" (Satyricon
, 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello
indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello
tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet
tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo
circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra
soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto
d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde
pinna argentea dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti
con una stecca d'argento.
E' un
monumento classico, aere perennius, al cattivo gusto, alla
volgarità dell'eterno cafone arricchito.
Quindi un’altra
volgarità fuoriesce dalla bocca di questo liberto in rosso quando viene portato
un vino etichettato come vecchio di cento anni, "Falernum Opimianum[1] annorum
centum". L'anfitrione dunque batté le mani ed esclamò:"eheu… ergo
diutius vivit vinum quam homuncio. quare tangomenas faciamus. vita vinum est.
verum Opimianum praesto. heri non tam bonum posui, et multo honestiores
cenabant" (Satyricon 34), ahimé… dunque il vino vive più a
lungo dell'omuncolo. perciò facciamo baldoria. è vita il vino. per giunta vi
offro dell'Opimiano. Ieri ne ho messo in tavola di meno buono e avevo a
cena gente di maggior riguardo.
Un altro
monumento alla volgarità è Creso che apparve a Solone ejn
livqoi~, coperto di
pietre preziose, ejn bafai`~ ejsqh`to~, in tinture di abbigliamento, ejn tevcnai~
crusou`, in ornamenti
d’oro, per essere visto di aspetto più maestoso e acconciato
(Plutarco, Vita di Solone, 27, 3). Ebbene Solone non disse niente ma era
evidente a chi lo conosceva che disprezzava la volgarità e la piccineria del
re: “dh`lo~ h\n toi`~ eu\ fronou`si th`" ajpeirokaliva~ kai; mikroprepeiva~
katafronw`n” (27, 4).
Quindi Creso volle esibirgli i suoi tesori, ma Solone non ne aveva bisogno:
bastava la persona di Creso a fargli capire il suo carattere.
Gli anelli
preziosi sfoggiati dai servi sono uno dei motivi che spingono Giovenale a
scrivere stire: “cum pars Niliacae plebis, cum verna Canopi/Crispinus Tyrias
umero revocante lacernas[2]/ventilet aestivum digitis sudantibus
aurum/nec sufferre queat maioris pondera gemmae,/difficile est saturam non
scribere” (Satira I, 26 - 30), quando un pezzo della plebe del
Nilo, quando una canaglia di Canopo, Crispino, mentre si tira sulle spalle il
mantello di porpora di Tiro, sventola l’anello d’oro estivo con le dita sudate
né potrebbe sopportare il peso di una gemma più grande, è difficile non
scrivere satire!
Il filosofo
Nigrino di Luciano denuncia
la pacchianeria dei ricchi romani che si rendono ridicoli sfoggiando ricchezze
e rivelando il loro cattivo gusto: pw'" ga;r ouj geloi'oi me;n oiJ
ploutou'nte" aujtoi; ta;" porfurivda" profaivnonte" kai;
tou;" daktuvlou" proteivnonte" kai; pollh;n
kathgorou'nte" ajpeirokalivan (Nigrino , 21), come
fanno a non essere ridicoli i ricchi con le loro stesse persone dal momento che
mentre mettono in mostra le vesti di porpora e protendono le dita delle mani
denunciano il loro cattivo gusto?
Pesrao 23
agosto 2020, ore 12, 45. giovanni ghiselli
p. s
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