I nobili di Proust
La semplicità, la naturalezza e la negligenza fanno parte dello
stile nobile.
Nei Guermantes
di Proust, che
costituiscono quasi il codice dell'aristocrazia redatto da un borghese, si
legge che "i nobili fraternizzano più volentieri coi loro contadini che
coi borghesi"[1]. Il raffinato Saint-Loup appariva di
un'eleganza " libera e trascurata"[2] che
si adattava perfettamente a "quel
corpo, non opaco e oscuro (…) ma limpido e significativo". Un corpo
attraverso il quale " le qualità tutte essenziali dell'aristocrazia (…)
trasparivano, come si manifesta in un'opera d'arte la industre ed efficace
potenza che l'ha creata, e rendevano i movimenti di quella corsa leggera (…)
intellegibili e pieni di grazia come quelli di un cavaliere su un fregio
architettonico"[3].
Si può
avvicinare a questa descrizione quella che Plinio il Giovane dà di Aciliano che
propone come sposo per la figlia di un amico: "Est illi facies
liberalis, multo sanguine, multo rubore suffusa; est ingenua totius corporis
pulchritudo" (I, 14), ha una faccia nobile, inondata di molta vita e
molto colore; è schietta la bellezza di tutto il corpo.
Addirittura i tratti del volto di questi
aristocratici suggeriscono una parentela antica con la natura :"il
naso a becco di falco e gli occhi penetranti" sono "caratteristici
(...) di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in cui non si è
confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica: perché essa
sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una dea con un uccello"[4].
Il paragone
tra la donna e l'uccello è già presente nel Perceval di
Chrétien de Troyes quando il protagonista, novello cavaliere ,
entra nel castello di Biancofiore e gli "si avvicina la donzella più
graziosa, più elegante e più viva di sparviero e pappagallo"[5].
La
connessione con Ovidio sta nel mito di Leda raffigurato da Aracne:"fecit
olorinis Ledam recubare sub alis " (Metamorfosi , VI,
109), la rappresentò stesa sotto ali di cigno.
Questo
trovare l'unità e la "parentela di tutto ciò che esiste al mondo, cose ed
esseri viventi corrisponde alla sola certa filosofia delle Metamorfosi (…)Col
racconto cosmogonico del libro I e la professione di fede di Pitagora
dell'ultimo, Ovidio ha voluto dare una sistemazione teorica a questa filosofia
naturale, forse in concorrenza col lontanissimo Lucrezio"[6].
Ovidio nel XV libro delle Metamorfosi dà voce a Pitagora il
quale proibisce di mangiare gli animali: nella fortunata età
dell'oro le bocche umane non erano contaminate dal sangue (v. 98). Inoltre il
filosofo di Samo vieta di sacrificare creature viventi agli dèi, e insegna che
l'anima non muore ma trasmigra in altri corpi e altre regioni:"Cuncta
fluunt, omnisque vagans formatur imago" (v. 178), tutto scorre e ogni
immagine si forma fluttuando.
Ma torniamo
a Proust che descrive gli atti di questi nobili per mostrare quanto essi
fossero nello stesso tempo naturali e "graziosi come il volo d'una rondine
o l'inclinazione della rosa sul suo stelo" ( I Guermantes, p.
475).
Il Guermantes nel dare la mano "che si dirigeva
verso di voi all'estremità di un braccio teso per tutta la sua lunghezza, aveva
l'aria di presentarvi un fioretto per una singolar tenzone; e quella mano era insomma
a una tal distanza da quel Guermantes in quel momento che, quand'egli inchinava poi la
testa, era difficile distinguere se salutasse voi o la propria mano (p. 481).
Manifestazione di intelligenza era la parola salata, "giacché lo spirito dei Guermantes giudicava i discorsi prolungati e
pretenziosi[7], sia nel genere serio sia nel burlesco, come un segno della più
insopportabile stupidità" (p. 498). Più avanti ( p. 534) Proust nota "
l'abitudine (…) dei nobili che fraternizzano più volentieri coi loro contadini
che coi borghesi".
E ancora: "quel famoso lusso (…) non era soltanto
materiale… ma anche un lusso di parole cortesi, di atti gentili, tutta
un'eleganza verbale alimentata da un'autentica ricchezza interiore" (p.
590).
I gran signori, insomma, "sono quasi le
sole persone dalle quali si può imparare come dai contadini: la loro
conversazione si adorna di tutto ciò che riguarda la terra, le abitazioni come
erano abitate una volta, le antiche usanze, tutto ciò che il mondo del denaro
ignora profondamente"(p.595).
Ecco dunque un apprezzamento della rusticitas.
Saint-Loup aveva
innanzitutto il pregio della naturalezza che si vedeva fino negli abiti "di un'eleganza disinvolta, senza nulla di 'pretenzioso' né di
'compassato', senza rigidità e senza appretto."
Quel giovane
ricco era apprezzabile" per
il modo negligente e libero che aveva di viver nel lusso, senza 'puzzare
di soldi', senza darsi arie di importanza"; il fascino della naturalezza
si trovava "perfino nell'incapacità che Saint-Loup aveva conservata (...)
d' impedire al proprio viso di riflettere un'emozione"(p. 334). Si vedeva
in lui "l'agilità ereditaria dei grandi cacciatori (...) il loro disprezzo
per la ricchezza" la quale serviva solo per festeggiare gli amici. Ma,
continua l'autore: "Vi sentivo soprattutto la certezza o l'illusione che
avevano avuto quei grandi signori di essere 'più degli altri' e grazie alla
quale non avevano potuto lasciare in legato a Saint-Loup quel desiderio di
mostrare che si vale 'quanto gli altri', quella paura di sembrare troppo
premurosi che rende così rigida e goffa la più sincera amabilità plebea" (I
Guermantes, p.337).
Saint Loup aveva "un modo di concepire le
cose per il quale non si fa più conto di sé e moltissimo del 'popolo'; insomma
tutto l'opposto dell'orgoglio plebeo (p. 351). Suo zio Palamède "in ogni
circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma
immediatamente gli snob lo imitavano" (p. 351).
Questo dunque è il nobile proustiano, dotato, per
natura si direbbe, di stile e fascino; più avanti però l'autore riduce la
portata della sua ammirazione e smonta tanta naturalezza, almeno in parte apparente o esibita, affermando
che" Di fronte
a quella d' un grande artista, l'amabilità di un gran signore, per quanto
affascinante essa sia, ha l'aria di una mimica d'
attore, di una simulazione. Saint Loup cercava di piacere, Elstir amava dare,
darsi"(p. 431).
giovanni
ghiselli
[5] Perceval ou li conte dou Graal , ultima opera del poeta
francese Chrétien de Troyes (seconda metà sec. 12º), iniziata tra il 1182
e il 1190 e rimasta incompiuta, dedicata al conte di Fiandra Filippo d'Alsazia.
cap. IV.
[7] In All'ombra delle fanciulle
in fiore Proust scrive che la signora di Villeparisis giudicava severamente
alcuni pur grandi scrittori come Balzac e Victor Hugo "proprio perché
avevano mancato di quella modestia, di quel ritegno, di quell'arte sobria...di
quelle qualità di moderazione nel giudizio e di semplicità, in cui le avevano
insegnato che risiede il valore vero"(p. 308).
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