Valle delle belle donne |
Il posto degli ubriaconi
A metà
pomeriggio ci portarono in un luogo campestre, ameno, chiamato “la cavità
delle belle donne”: una valle nei pressi di Eger, tra colli verdi di vigne che
coprono i clivi sorridenti di grazia dionisiaca. Ma quando fummo scesi dalla
corriera, ci fecero entrare in un bunker di cemento costruito su una spianata
terrosa.
Ne stava
uscendo un uomo che, pieno di carne tenuta male, ruttava e sputava, sfregandosi
l’epa gonfia e scoperta. Dentro, la gente beveva il famoso vino rosso chiamato
“sangue di toro di Eger”. Anche in questo binomio vino - toro entrava Dioniso
con i suoi riti. Mi accorsi presto però che questo era un baccanale corrotto.
Ai
tavoli c’erano femmine e maschi. Li osservavo cercando nei loro volti dei segni
ma non vi trovavo significati.
Bocche e
occhi emanavano zaffate di ottusità. Bevevano e mangiavano
In alcuni di
loro il ceffo che rodeva con denti infelici, se faceva una pausa alternava
l’ingozzamento emettendo uno strepito infernale.
Mi vennero
in mente le discoteche e ne provai ripugnanza.
Anche il
buio era d’inferno e di notte senza stelle. Mi fu offerto un bicchiere di vino
ma per me non era il momento di bere. Pensavo a Ifigenia. Le rivolgevo la
parola come se fosse presente.
Il suo
fantasma lo era, come quello di Elena a Troia o quello di Polidoro nei sogni di
Ecuba. Osservavo l’ei[dwlon dell’assente e gli domandavo: “perché non mi scrivi?
Abbiamo passato otto mesi di gioia rarissima e gustosissima insieme; per quale
mediocre e sciocco piacere li rigetti o li sciupi in questa maniera?”
Lo dicevo
per scaramanzia. Invero speravo di trovare il suo espresso la sera, appena
arrivato in collegio. Un uomo si mise a suonare un cembalo e altri a
ballonzolare come tanti plantigradi ebbri.
Certe volte
anche io ho avuto bisogno del vino. Quando approcciai Elena bevvi un paio di
palinke per darmi coraggio, con Kaisa e con Päivi bevevo per non pensare che
erano troppo lontane da me perché potessero durare quegli eventi grandi e
meravigliosi. Con altre via via, metodicamente, ho bevuto non troppo, nemmeno
abbastanza per sopportare la loro mancanza di significato. Al contrario del
Signore di cui c’è l’oracolo a Delfi, parlavano tanto, e con petulanza, senza
significare alcunché[1].
Pensavo:
“Soltanto con te, Ifigenia, ho compreso che la lucidità vale più dello
stordimento da alcol. Con te magari mi sono stordito provando piacere. I nostri
sacrosanti tripudi, gli splendidissimi orgasmi benedetti da tutti gli dei. Tu
hai capito e mi hai fatto capire il raro valore della mia intelligenza che non
devo sciupare. Mi hai fatto sentire che posso essere allegro senza bere un
goccio, che non ho bisogno del viatico di Dioniso per salire e viaggiare sul
naviglio santo di Venere in tua compagnia”.
Mi offrirono
un’altra volta del vino e tornai a dire “no, grazie”.
Non
bere mi sembrava una libagione offerta a Ifigenia.
Quindi ci
riportarono a Eger. Così andò la gita alla “Valle delle belle donne” il
pomeriggio del 4 agosto del 1979.
Sono passati
cinquanta e più anni da allora. Adesso ricordo comunque con gratitudine le amanti
dai significati forti, donne che via via mi hanno educato e dato la carica o la
ricarica quando ce n’era bisogno.
Ma
l’amore più grande ora lo indirizzo alla Vita, la corteggio, la provoco con
fatiche fisiche straordinarie, con impegno mentale indefesso, per accumulare
salute, sapere e sapienza con cui beneficare chi mi ascolta e mi legge. Spero
che proprio per questo la Vita contraccambi il mio amore e mi tenga ancora del
tempo con sé, abbracciato come un amante.
Pesaro 25
agosto 2020 ore 9, 23. giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. Eraclito: "oJ a[nax, ou|
to; mantei'ovn ejsti to; ejn Delfoi'" , ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla;
shmaivnei", il
signore di cui c'è l'oracolo a Delfi, non dice e non nasconde ma significa (fr.
120 Diano).
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