martedì 25 agosto 2020

Debrecen 1979. 32. Il posto degli ubriaconi

Valle delle belle donne

Il posto degli ubriaconi

A metà pomeriggio ci portarono in un luogo campestre, ameno, chiamato “la cavità delle belle donne”: una valle nei pressi di Eger, tra colli verdi di vigne che coprono i clivi sorridenti di grazia dionisiaca. Ma quando fummo scesi dalla corriera, ci fecero entrare in un bunker di cemento costruito su una spianata terrosa.
Ne stava uscendo un uomo che, pieno di carne tenuta male, ruttava e sputava, sfregandosi l’epa gonfia e scoperta. Dentro, la gente beveva il famoso vino rosso chiamato “sangue di toro di Eger”. Anche in questo binomio vino - toro entrava Dioniso con i suoi riti. Mi accorsi presto però che questo era un baccanale corrotto.
 Ai tavoli c’erano femmine e maschi. Li osservavo cercando nei loro volti dei segni ma non vi trovavo significati.
Bocche e occhi emanavano zaffate di ottusità. Bevevano e mangiavano
In alcuni di loro il ceffo che rodeva con denti infelici, se faceva una pausa alternava l’ingozzamento emettendo uno strepito infernale.
Mi vennero in mente le discoteche e ne provai ripugnanza.
Anche il buio era d’inferno e di notte senza stelle. Mi fu offerto un bicchiere di vino ma per me non era il momento di bere. Pensavo a Ifigenia. Le rivolgevo la parola come se fosse presente.
Il suo fantasma lo era, come quello di Elena a Troia o quello di Polidoro nei sogni di Ecuba. Osservavo l’ei[dwlon dell’assente e gli domandavo: “perché non mi scrivi? Abbiamo passato otto mesi di gioia rarissima e gustosissima insieme; per quale mediocre e sciocco piacere li rigetti o li sciupi in questa maniera?”
Lo dicevo per scaramanzia. Invero speravo di trovare il suo espresso la sera, appena arrivato in collegio. Un uomo si mise a suonare un cembalo e altri a ballonzolare come tanti plantigradi ebbri.
Certe volte anche io ho avuto bisogno del vino. Quando approcciai Elena bevvi un paio di palinke per darmi coraggio, con Kaisa e con Päivi bevevo per non pensare che erano troppo lontane da me perché potessero durare quegli eventi grandi e meravigliosi. Con altre via via, metodicamente, ho bevuto non troppo, nemmeno abbastanza per sopportare la loro mancanza di significato. Al contrario del Signore di cui c’è l’oracolo a Delfi, parlavano tanto, e con petulanza, senza significare alcunché[1].
Pensavo: “Soltanto con te, Ifigenia, ho compreso che la lucidità vale più dello stordimento da alcol. Con te magari mi sono stordito provando piacere. I nostri sacrosanti tripudi, gli splendidissimi orgasmi benedetti da tutti gli dei. Tu hai capito e mi hai fatto capire il raro valore della mia intelligenza che non devo sciupare. Mi hai fatto sentire che posso essere allegro senza bere un goccio, che non ho bisogno del viatico di Dioniso per salire e viaggiare sul naviglio santo di Venere in tua compagnia”.
Mi offrirono un’altra volta del vino e tornai a dire “no, grazie”.
 Non bere mi sembrava una libagione offerta a Ifigenia.
Quindi ci riportarono a Eger. Così andò la gita alla “Valle delle belle donne” il pomeriggio del 4 agosto del 1979.
Sono passati cinquanta e più anni da allora. Adesso ricordo comunque con gratitudine le amanti dai significati forti, donne che via via mi hanno educato e dato la carica o la ricarica quando ce n’era bisogno.
 Ma l’amore più grande ora lo indirizzo alla Vita, la corteggio, la provoco con fatiche fisiche straordinarie, con impegno mentale indefesso, per accumulare salute, sapere e sapienza con cui beneficare chi mi ascolta e mi legge. Spero che proprio per questo la Vita contraccambi il mio amore e mi tenga ancora del tempo con sé, abbracciato come un amante.

Pesaro 25 agosto 2020 ore 9, 23. giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Cfr. Eraclito: "oJ a[nax, ou| to; mantei'ovn ejsti to; ejn Delfoi'" , ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei", il signore di cui c'è l'oracolo a Delfi, non dice e non nasconde ma significa (fr. 120 Diano).

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