martedì 11 agosto 2020

Introduzione a Lucano. Quindicesima parte del poema "Pharsalia". La neglegentia.

Catone uticense
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La frugalità di Catone
Inizia un excursus sulla neglegentia e la semplicità radicalizzata fino alla trascuratezza, contrapposta alla affettazione,

Il magnanimo Bruto andò da suo zio, Catone e lo trovò che temeva per tutti gli altri cunctisque timentem ma nello stesso tempo era securumque sui (Pharsalia, II, 241). Bruto lo chiama virtutis iam sola fides, testimonianza oramai unica della virtù. Dux Bruto Cato solus erit (247) gli dice.
 Dunque né Cesare né Pompeo. Bruto è contrario a schierarsi e sconsiglia anche Catone di farlo: “nec tanta in cassum virtus eat” (263), non vada nel vuoto così grande virtù.
Bruto dice di essere partigiano della libertà e che sarà nemico di chi vincerà la guerra tra Cesare e Pompeo. Catone risponde parole sacrosante dal petto oracolare “arcano sacras reddit Cato pectore voces” (285) e ammette che la guerra civile è la nefandezza somma: “summum, Brute, nefas civilia bella fatemur” (286) ma la virtù senza preoccupazioni seguirà il destino dove la porta “sed quo fata trahunt virtus secura squetur” (287).
Il mondo è sconvolto: “otia solus agam? (295), solo io condurrò una vita privata? Domanda al nipote
Catone vorrebbe compiere una devotio come quella di Decio, diventare devotus al pari di lui: “devotum hostiles Decium pressere catervae” (308). Catone vorrebbe salvare Roma con la sua morte. Schierarsi con Pompeo significa legarlo alla sua causa, quella di Catone: ne sibi se vicisse putet (323) perché non pensi di avere vinto per sé.
Bruto così viene spinto alla guerra civile.
Arriva Marcia che era stata sposa prima di Catone poi di Ortensio, morto da poco. La vedova è in lutto e parla tra le lacrime. Ha accolto il seme di due mariti da donna feconda quale era. Ora torna “visceribus lassis partuque exhausta revertor” (340) per essere di nuovo la moglie di Catone “Catonis Marcia” (344). In curas venio partemque laborum (347) vengo per partecipare alle tue preoccupazioni e alle tue fatiche. Catone e Marcia decidono di stabilire foedera sola iura (353) solo patti matrimoniali vanaque carentia pompa, privi di ogni vana pompa. Unici testimoni della cerimonia sono gli dei. “Festa coronato non pendent limine serta” (354), non pendono ghirlande festose sulla soglia incoonata, né ci sono gioielli “turritāque premens frontem matrona coronā” (358) né la sposa che preme la fronte con una corona turrita (di capelli). Non c’è un monile decens una collana che sta bene intorno al collo. Anzi Marcia conserva l’aspetto lugubre del vestirsi a lutto maesti servat lugubria cultus (365) e abbraccia il marito come si abbraccia un figlio. Non si fanno le solite salaci battute non soliti sales (368) né le invettive festose convicia festa (369).
L’unico auspice del matrimonio è Bruto.
Catone aveva lasciato crescere sulla fronte austera i capelli bianchi - intonsos rigidam in frontem descendere canos - passus erat maestamque genis increscere barbam (375 - 376) e la barba in segno di lutto. E’ privo di simpatie e di odi, libero di compiangere il genere umano vacat humanum genus lugere (378).
Questa la linea di condotta immutabile del duro Catone, questi i costumi
… Hi mores, haec duri immota Catonis
 secta fuit servare modum finemque tenere attenersi al giusto limite
naturamque sequi patriaeque impendĕre vitam spendere la vita per la patria
 nec sibi sed toti genitum se credere mundo
Per lui era un banchetto avere vinto la fame
huic epulae vicisse famemmagnique penates
 summovisse hiemem tectopretiosaque vestis
 una casa grande allontanare il freddo con un tetto, e una veste preziosa
avere idosso una toga ruvida al modo del Quirite romano
 hirtam membra super Romani more Quiritis
 induxisse togam, Venerisque hic maximus usus:
 progeniesUrbi pater est urbique maritus,
 iustitiae cultor , rigidi servator honesti (380 - 390).
 in commune bonus: persona per bene nell’interesse di tutti.

Cfr. la sui neglegentia di Petronio e lo stile della trasandatezza nella aristocrazia europea.
 Inizia qui un lungo argomento

Lo stile della neglegentia
Subito sopra, sempre a proposito degli uomini, Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507 - 510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto d'amore di una dea.

Seneca nella Fedra conferma la neglegentia di Ippolito: secondo la matrigna innamorata il figlio è più bello del padre Teseo quando era giovane:"in te magis refulget incomptus decor " (v. 657), in te brilla ha maggior fascino una bellezza incurante.
Più avanti il secondo coro pur mettendo in guardia Ippolito dalla precarietà della bellezza ne ammira l'aspetto speciale, ossia trasandato:"te frons hirta decet, te brevior coma/nulla lege iacens" (vv. 803 - 804), ti sta bene la fronte selvatica, la capigliatura corta che si spande senza ordine.
Nel terzo atto Teseo, dopo che Fedra, fraude feminea (v. 828) ha simulato una violenza subita dal giovane accusa il figlio di nascondere un'anima depravata dietro quell'austerità di costumi:"Ubi vultus ille et ficta maiestas viri,/atque habitus horrens, prisca et antiqua adpetens/morumque senium triste, et adfectus graves?/ O vita fallax! abditos sensus geris,/animisque pulcram turpibus faciem induis!" (vv. 915 - 919), dov'è quel volto e la falsa maestà dell'eroe, e il vestire trascurato che richiama le fogge severe e antiche dei costumi vecchi e dove sono gli atteggiamenti solenni? O vita ingannevole! Tu porti in te sensi segreti, e sui pensieri turpi indossi una maschera bella!
 Lo stile della neglegentia è in ogni caso quello dell'aristocrazia. Il fascino e l'eleganza sono luce ed emanazione della persona. Vediamo come hanno cercato di raffigurarli alcuni scrittori europei.
 La studiata disinvoltura , la sui neglegentia , l'apparente noncuranza di sé come mancanza di affettazione, e "apparenza" di naturalezza, quali virtù supreme dello stile vengono attribuite da Tacito a Petronio, uomo erudito luxu dalla voluttà raffinata, elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone il quale infatti :"nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset"[1], niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse approvato.
 Petronio approvava l'apparenza della semplicità:" Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam[2], praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur"[3] le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità. Sembra un manifesto del dandy antico, e in effetti il raffinato autore del Satyricon , Petronius Arbiter, probabilmente la stessa persona, considera la propria opera caratterizzata da una straordinaria semplicità "novae simplicitatis opus " (Satyricon, 132).

Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "La vergine tra 'l vulgo uscì soletta,/non coprì sue bellezze, e non l'espose,/raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,/con ischive maniere e generose./Non sai ben dir s'adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose./Di natura, d'Amor, de' cieli amici/le negligenze sue sono artifici" (II, 18).
Continua

 giovanni ghiselli



[1] Annales, XVI, 18.
 [2]" Seneca nel De vita beata elogia un'altra forma, del tutto psicologica, di noncuranza, la fortunae neglegentia (I, 4, 5), quella della fortuna, quale viatico per la libertà dai piaceri e dai dolori, padroni assai capricciosi e prepotenti. 
[3] Annales , XVI, 18.

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