La frugalità di Catone
Inizia un excursus sulla neglegentia e la semplicità
radicalizzata fino alla trascuratezza, contrapposta alla affettazione,
Il magnanimo Bruto andò da suo zio, Catone e lo trovò che temeva per tutti gli altri cunctisque
timentem ma nello stesso tempo era securumque sui (Pharsalia,
II, 241). Bruto lo chiama virtutis iam sola fides, testimonianza
oramai unica della virtù. Dux Bruto Cato solus erit (247) gli
dice.
Dunque
né Cesare né Pompeo. Bruto è contrario a schierarsi e sconsiglia anche Catone
di farlo: “nec tanta in cassum virtus eat” (263), non vada nel vuoto
così grande virtù.
Bruto dice
di essere partigiano della libertà e che sarà nemico di chi vincerà la guerra
tra Cesare e Pompeo. Catone risponde parole sacrosante dal petto oracolare “arcano
sacras reddit Cato pectore voces” (285) e ammette che la
guerra civile è la nefandezza somma: “summum, Brute, nefas civilia bella
fatemur” (286) ma la virtù senza preoccupazioni seguirà il destino dove la
porta “sed quo fata trahunt virtus secura squetur” (287).
Il mondo è
sconvolto: “otia solus agam? (295), solo io condurrò
una vita privata? Domanda al nipote
Catone
vorrebbe compiere una devotio come quella di Decio,
diventare devotus al pari di lui: “devotum hostiles Decium
pressere catervae” (308). Catone vorrebbe salvare Roma con la sua morte.
Schierarsi con Pompeo significa legarlo alla sua causa, quella di Catone: ne
sibi se vicisse putet (323) perché non pensi di avere vinto per sé.
Bruto così
viene spinto alla guerra civile.
Arriva Marcia che era stata sposa prima
di Catone poi di Ortensio, morto da poco. La vedova è in lutto e parla tra le
lacrime. Ha accolto il seme di due mariti da donna feconda quale era. Ora torna
“visceribus lassis partuque exhausta revertor” (340) per essere di
nuovo la moglie di Catone “Catonis Marcia” (344). In
curas venio partemque laborum (347) vengo per partecipare alle tue
preoccupazioni e alle tue fatiche. Catone e Marcia decidono di stabilire foedera
sola iura (353) solo patti matrimoniali vanaque carentia pompa,
privi di ogni vana pompa. Unici testimoni della cerimonia sono gli dei. “Festa
coronato non pendent limine serta” (354), non pendono ghirlande festose
sulla soglia incoonata, né ci sono gioielli “turritāque premens frontem
matrona coronā” (358) né la sposa che preme la fronte con una corona
turrita (di capelli). Non c’è un monile decens una collana che
sta bene intorno al collo. Anzi Marcia conserva l’aspetto lugubre del vestirsi
a lutto maesti servat lugubria cultus (365) e abbraccia il
marito come si abbraccia un figlio. Non si fanno le solite salaci battute non
soliti sales (368) né le invettive festose convicia festa (369).
L’unico
auspice del matrimonio è Bruto.
Catone aveva
lasciato crescere sulla fronte austera i capelli bianchi - intonsos rigidam
in frontem descendere canos - passus erat maestamque genis increscere barbam (375
- 376) e la barba in segno di lutto. E’ privo di simpatie e di odi, libero di
compiangere il genere umano vacat humanum genus lugere (378).
Questa la
linea di condotta immutabile del duro Catone, questi i costumi
… Hi
mores, haec duri immota Catonis
secta fuit servare modum finemque
tenere attenersi al giusto limite
naturamque
sequi patriaeque impendĕre vitam spendere la vita per la patria
nec
sibi sed toti genitum se credere mundo
Per lui era
un banchetto avere vinto la fame
huic epulae
vicisse famem, magnique
penates
summovisse
hiemem tecto, pretiosaque
vestis
una
casa grande allontanare il freddo con un tetto, e una veste preziosa
avere idosso
una toga ruvida al modo del Quirite romano
hirtam
membra super Romani more Quiritis
induxisse
togam, Venerisque hic maximus usus:
progenies. Urbi pater est urbique
maritus,
iustitiae
cultor , rigidi servator honesti (380 - 390).
in
commune bonus: persona per bene nell’interesse di tutti.
Cfr.
la sui neglegentia di Petronio e lo stile della trasandatezza
nella aristocrazia europea.
Inizia
qui un lungo argomento
Lo stile della neglegentia
Subito sopra, sempre a proposito degli uomini, Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet;
Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec
erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars
amatoria, I, vv. 507 - 510), agli uomini sta bene la bellezza
trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in
ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato;
Adone avvezzo alle selve era oggetto d'amore di una dea.
Seneca nella Fedra conferma la neglegentia di
Ippolito: secondo la matrigna innamorata il figlio è più bello del padre Teseo
quando era giovane:"in te magis refulget incomptus decor "
(v. 657), in te brilla ha maggior fascino una bellezza incurante.
Più avanti il secondo coro pur mettendo in guardia
Ippolito dalla precarietà della bellezza ne ammira l'aspetto speciale, ossia
trasandato:"te frons hirta decet, te brevior coma/nulla lege iacens"
(vv. 803 - 804), ti sta bene la fronte selvatica, la capigliatura corta che si
spande senza ordine.
Nel terzo atto Teseo, dopo che Fedra, fraude
feminea (v. 828) ha simulato una violenza subita dal giovane accusa il
figlio di nascondere un'anima depravata dietro quell'austerità di
costumi:"Ubi vultus ille et ficta maiestas viri,/atque habitus horrens,
prisca et antiqua adpetens/morumque senium triste, et adfectus graves?/ O vita
fallax! abditos sensus geris,/animisque pulcram turpibus faciem induis!" (vv.
915 - 919), dov'è quel volto e la falsa maestà dell'eroe, e il vestire
trascurato che richiama le fogge severe e antiche dei costumi vecchi e dove
sono gli atteggiamenti solenni? O vita ingannevole! Tu porti in te sensi
segreti, e sui pensieri turpi indossi una maschera bella!
Lo stile della neglegentia
è in ogni caso quello dell'aristocrazia. Il fascino e
l'eleganza sono luce ed emanazione della persona. Vediamo come hanno cercato di
raffigurarli alcuni scrittori europei.
La studiata disinvoltura , la sui neglegentia ,
l'apparente noncuranza di sé come mancanza di affettazione, e
"apparenza" di naturalezza, quali virtù supreme dello stile vengono
attribuite da Tacito a Petronio, uomo erudito luxu dalla
voluttà raffinata, elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla
corte di Nerone il quale infatti :"nihil amoenum et molle adfluentia
putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset"[1],
niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse
approvato.
Petronio
approvava l'apparenza della semplicità:" Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui
neglegentiam[2], praeferentia, tanto gratius in
speciem simplicitatis accipiebantur"[3]
le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa
noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Sembra un manifesto del dandy antico, e in effetti il raffinato autore
del Satyricon , Petronius
Arbiter, probabilmente la stessa persona, considera la propria opera
caratterizzata da una straordinaria semplicità "novae simplicitatis
opus " (Satyricon, 132).
Insomma,
come nel caso di Sofronia della Gerusalemme
liberata, "La vergine tra 'l vulgo uscì soletta,/non coprì sue
bellezze, e non l'espose,/raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,/con
ischive maniere e generose./Non sai ben dir s'adorna o se negletta, se caso od
arte il bel volto compose./Di natura, d'Amor, de' cieli amici/le negligenze sue sono artifici"
(II, 18).
Continua
giovanni
ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento