NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 13 agosto 2020

Introduzione a Lucano. XVII parte del poema "Pharsalia". L'affettazione II

Schopenhauer
La volgarità dell’affettazione II parte


Autori e argomenti  
Schopenhauer, Manzoni e la sprezzatura del conte zio, Tolstoj e l’intelligenza noncurante di Anna Karenina, l’Anonimo Sul sublime e l’ ajmevleia. Terenzio (Andria) e l’obscura diligentia. Il Satyricon: “pudica oratio non est maculosa nec turgida”. Dostoevskij: I fratelli Karamazov e L’idiota.

Anche A. Schopenhauer[1] negli Aforismi sulla saggezza della vita  prescrive di evitare l'affettazione: "Si deve... mettere in guardia di fronte a qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo, in primo luogo perché è un inganno (...) in secondo luogo perché rappresenta un giudizio di condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in tal caso apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa sia. L'affettazione di una qualità e il pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione spontanea della sua mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne, ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a questo proposito"[2].

Il conte Alessandro Manzoni conosce bene la regola dell'affettazione/sprezzatura. Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon secentista" definendolo "rozzo insieme e affettato (...) Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi la decisione di "rifarne la dicitura".
Viceversa, per quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati  dal conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[3].

Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina  del conte Tolstoj: " Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale (…) Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[4] .

 Un correlativo stilistico letterario di questa “intelligenza noncurante” - neglegentia è l'ajmevleia che l'Anonimo Sul sublime [5] attribuisce a Omero e ad altri grandi della letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. L'autore annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti "oujk ojlivga (...) aJmarthvmata" i quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza "paroravmata di' ajmevleian eijkh'/" e prodotte distrattamente dalla loro stessa grandezza (33).

Analoga valutazione estetica si
 trova nel Prologo dell'Andria dove Terenzio si difende dall'accusa di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto Ennio:" quorum aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum obscuram diligentiam" (vv. 20-21), dei quali preferisce cercare di eguagliare la negligenza piuttosto che la buia diligenza di costoro, ossia del malevolo vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.

Per quanto riguarda la filosofia Seneca afferma: "oratio sollicita philosophum non decet " (Ep. ad Lucilium , 100, 4), uno stile troppo elaborato non si addice a un filosofo.
Lo stile del parlare e dello scrivere è l'eleganza dell'anima:"Oratio cultus animi est: si circumtonsa est et fucata et manu facta, ostendit illum quoque non esse sincerum et habere aliquid fracti" (Ep. 115, 2), se è troppo limato e imbellettato e affettato mostra che anche quella non è schietta e ha qualche debolezza.

Contrario agli orpelli e favorevole al pudore si professa Encolpio nel Satyricon a proposito dello stile oratorio: "grandis et, ut ita dicam, pudica oratio non est maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " (2, 6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si eleva per bellezza naturale.
L'orazione insomma deve essere non truccata e non artefatta, come non deve esserlo la donna.

Già Cicerone quando insegna le buone maniere nel De officiis  raccomanda in generale "quae sunt recta et simplicia laudantur " (I, 130) e, per quanto riguarda la conversazione, consiglia proprio lo stile che Tosltoj attribuisce alla sua adultera:"maximeque curandum est, ut eos, quibuscum sermonem conferemus, et vereri et diligere videamur (...) Deforme etiam est de se ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audentium imitari militem gloriosum " (I, 136, 137), e soprattutto bisogna stare attenti a mostrarsi rispettosi e affettuosi con quelli con i quali parleremo (....) indecoroso è anche dire bene di se stesso, soprattutto falsamente, e imitare il soldato millantatore in mezzo allo scherno di quanti ci odono.

 Dostoevskij ne I fratelli Karamazov considera l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia sebbene affascinato da Gruscenka" si domandava con un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio gusto,la quale testimoniava un'educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall'infanzia, delle convenienze e del decoro"[6].

Del principe Myskin,  L'Idiota , Aglaja viceversa dice a Nastasja Filippovna: "Vi devo anche dire che mai, in vita mia, avevo incontrato fino a quel momento un uomo simile a lui per nobiltà e semplicità d'animo, e per fiducia illimitata. Udendo le sue parole, capii che chiunque volesse potrebbe ingannarlo, ed egli, per giunta, lo perdonerebbe"[7].

Pesaro, 13 agosto, 2020, giovanni ghiselli ore 9, 40

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[1] 1788-1860.
[2]A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena , trad. it. Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[3] I promessi sposi , capitolo XIX.
[4] Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.
[5] Trattato, anonimo appunto, generalmente attribuito a un retore fiorito verso la metà del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che ebbe tra gli allievi anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva l'anomalia e l'elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva al discorso
[6] I fratelli Karamazov, (1880), Trad. it.  Milano, 1968, p. 208.
[7] L'idiota (1869), Trad. it. Milano, 1973, p. 719.

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