Schopenhauer |
Autori e argomenti
Schopenhauer, Manzoni e la sprezzatura del conte
zio, Tolstoj e l’intelligenza noncurante di Anna Karenina,
l’Anonimo Sul sublime e l’ ajmevleia. Terenzio (Andria)
e l’obscura diligentia. Il Satyricon: “pudica oratio non
est maculosa nec turgida”. Dostoevskij: I fratelli Karamazov e
L’idiota.
Anche A. Schopenhauer[1] negli Aforismi
sulla saggezza della vita prescrive di evitare l'affettazione: "Si deve... mettere in guardia di fronte a
qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo,
in primo luogo perché è un inganno (...) in secondo luogo perché rappresenta un
giudizio di condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in
tal caso apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di
quanto essa sia. L'affettazione di
una qualità e il pavoneggiarsi con questa costituiscono una confessione
spontanea della sua mancanza. Se uno si fa bello di un qualche pregio,
sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia, fortuna presso le donne,
ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa, si può dedurre da ciò che a lui manca
qualcosa proprio in ciò di cui si vanta: a chi infatti possiede
realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in mente di metterla in
mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a questo proposito"[2].
Il conte Alessandro Manzoni conosce
bene la regola dell'affettazione/sprezzatura. Nell'Introduzione a I
promessi sposi squalifica lo stile del "buon secentista"
definendolo "rozzo insieme e
affettato (...) Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza
di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il
proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi
la decisione di "rifarne la dicitura".
Viceversa, per quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo
notare quello dei personaggi invitati dal conte zio per dare
un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una
corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente
de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col
solo contegno, con una certa
sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con
termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e
rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[3].
Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina del
conte Tolstoj: " Levin
riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e
naturale (…) Non soltanto Anna
parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza
attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai
pensieri dell'interlocutore"[4] .
Un correlativo stilistico letterario di
questa “intelligenza noncurante” - neglegentia è l'ajmevleia che l'Anonimo Sul sublime [5] attribuisce
a Omero e ad altri grandi della letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene e
Platone. L'autore annovera Omero tra i grandissimi nei quali
egli stesso ha rilevato non pochi difetti "oujk
ojlivga (...) aJmarthvmata" i quali però non
sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza "paroravmata
di' ajmevleian eijkh'/"
e prodotte distrattamente dalla loro stessa grandezza (33).
Analoga valutazione estetica si
trova nel Prologo dell'Andria dove Terenzio si difende dall'accusa
di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto
Ennio:" quorum aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum
obscuram diligentiam" (vv. 20-21), dei quali preferisce cercare di
eguagliare la negligenza piuttosto che la buia diligenza di costoro, ossia del
malevolo vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.
Per quanto riguarda la filosofia Seneca afferma: "oratio
sollicita philosophum non decet " (Ep. ad Lucilium ,
100, 4), uno stile troppo elaborato non si addice a un filosofo.
Lo stile del parlare e dello scrivere è
l'eleganza dell'anima:"Oratio cultus animi est: si circumtonsa est et
fucata et manu facta, ostendit illum quoque non esse sincerum et habere aliquid
fracti" (Ep. 115, 2), se è troppo limato e imbellettato e
affettato mostra che anche quella non è schietta e ha qualche debolezza.
Contrario agli orpelli e favorevole al pudore si professa Encolpio
nel Satyricon a
proposito dello stile oratorio: "grandis et, ut ita dicam, pudica
oratio non est maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit "
(2, 6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica
ma si eleva per bellezza naturale.
L'orazione insomma deve essere non truccata e non artefatta, come non deve
esserlo la donna.
Già Cicerone quando
insegna le buone maniere nel De officiis raccomanda in
generale "quae sunt recta et simplicia laudantur " (I,
130) e, per quanto riguarda la conversazione, consiglia proprio lo stile che
Tosltoj attribuisce alla sua adultera:"maximeque curandum est, ut eos,
quibuscum sermonem conferemus, et vereri et diligere videamur (...) Deforme
etiam est de se ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audentium
imitari militem gloriosum " (I, 136, 137), e soprattutto bisogna
stare attenti a mostrarsi rispettosi e affettuosi con quelli con i quali
parleremo (....) indecoroso è anche dire bene di se stesso, soprattutto
falsamente, e imitare il soldato millantatore in mezzo allo scherno di quanti
ci odono.
Dostoevskij ne I fratelli Karamazov considera
l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia sebbene affascinato
da Gruscenka" si domandava con un'oscura sensazione sgradevole e
quasi con commiserazione perché ella strascicasse le parole a quel modo
e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava
bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione
delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio
gusto,la quale testimoniava un'educazione volgare e una volgare
comprensione, acquisita sin dall'infanzia, delle convenienze e del decoro"[6].
Del principe Myskin, L'Idiota ,
Aglaja viceversa dice a Nastasja Filippovna: "Vi devo anche dire che mai,
in vita mia, avevo incontrato fino a quel momento un uomo simile a lui per nobiltà e semplicità d'animo, e
per fiducia illimitata. Udendo le sue parole, capii che chiunque volesse potrebbe
ingannarlo, ed egli, per giunta, lo perdonerebbe"[7].
Pesaro, 13 agosto, 2020, giovanni ghiselli ore 9, 40
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[5] Trattato, anonimo
appunto, generalmente attribuito a un retore fiorito verso la metà del I secolo
d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che ebbe tra gli allievi
anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva l'anomalia e l'elemento
patetico che conferisce efficacia persuasiva al discorso
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