mercoledì 26 agosto 2020

Introduzione a Lucano. XXVIII parte del poema "Pharsalia". Libro V (da v. 239 a v. 372)

legionari in marcia
Introduzione a Lucano. XXVIII parte del poema "Pharsalia". Libro V (da v. 239 a v. 372)

Argomento
Il potere del duce per un momento vacilla.
I soldati stanchi provano a contestare Cesare ma vengono trattati con disprezzo e chinano la testa.

Cesare ha domato la Spagna e si volge in Oriente cum prope fatorum tantos per prospera cursus - avertēre dei 239 - 240, quando gli dèi quasi mutarono i grandi passi di corsa del suo destino attraverso i successi.
I suoi soldati sono stanchi e non vogliono più seguire la sua causa. In questo frangente pericoloso più che in ogni altro pericolo non e stabili tremulo sed culmine cuncta despiceret staretque super titubantia fultus  Cesare non osservava  tutte le cose da una cima stabile ma tremolante e stava in piedi puntellato sopra elementi vacillanti (250 - 251)
Cfr. Nelle Troiane di Seneca, Agamennone al culmine della sua carriera di a[nax mostra di avere coscienza di questa legge della rovinosa caduta probabile per chi è salito in alto: "Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (vv. 258 - 266), nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta. 

Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro.  Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.

Alcune legioni di Cesare dunque si sono ammutinate e Cesare impara che le spade impugnate non sono del duce ma del soldato - scit non esse ducis strictos sed militis enses (254).

Nell’Andromaca di Euripide, Peleo si scaglia contro Menelao : lo chiama infame assassino di Achille (v. 615). E aggiunge che non vale nulla (v. 641), che non ha avuto nessun merito nella presa di Troia. In Grecia c’è l’usanza sbagliata di riconoscere solo ai capi il vanto delle imprese, e il comandante,   non facendo niente più di uno solo, ottiene una fama maggiore
  “oujde;n plevon drw'n eJno;" e[cei pleivw lovgon(Andromaca, v. 698)[1].


Bertolt Brecht fa eco a questa critica: “Il giovane Alessandro conquistò l’India./Da solo?/Cesare sconfisse i Galli./Non aveva con sé nemmeno un cuoco?”[2].
Lucano non precisa il luogo del fatto ma lo universalizza
La turba audax si rivolge a Cesare in modo offensivo e quasi minaccioso: “liceat discedere, Caesar, - a rabie scelerum (261 - 262), sia consentito Cesare allontanarsi dalla furia dei delitti. Le spade cercate da Cesare trapassano anche le gole dei soldati romani che sono caduti in Gallia, in Spagna, in Italia. Trattati come animae viles. Mentre tu vinci il tuo esercito giace morto per tutto il mondo - totoque exercitus orbe - te vincente perit (264 - 265).
A che cosa ci serve avere versato sangue sulle terre Terris fudisse cruorem -    quid iuvat  e avere sottomesso Rodano e Reno? (269 - 270).
In compenso di tante guerre ci hai dato la guerra civile.
Prova a guardare i nostri capelli bianchi, le mani invalide e le braccia vuote di carne. Usus abit vitae, bellis consumpsimus aevum (276) se ne è andato l’impiego della vita, abbiamo consumato il tempo della vita nelle guerre. Congeda i vecchi per la morte -  ad mortem dimitte senes (277). Chiedono che sotto Cesare ci sia un altro tipo di morte esclusa quella di spada - sit praeter gladios aliquod sub Caesare fatum (283). Perché ci attiri con la speranza quid spe trahis, come se non sapessimo a quali  mostruosità siamo preparati? Velut ignaros ad quae portenta paremur? 284 - 285
Cesare sul Reno era il mio generale, ora è mio complice; il delitto rende uguali quelli che inquina: “dux erat, hic socius; facinus quos inquĭnat aequat(V, 290). Deve sapere che noi siamo il suo destino.
Un altro duce si sarebbe spaventato, ma Cesare è abituato a buttare giù a precipizio i destini. Egli gode nel mettere alla prova la fortuna in mezzo ai sommi pericoli e affretta i loro furori.

E’ pronto del resto a concedere stupri e saccheggi. Ha meno scrupoli della soldataglia su questo. Quindi si erse su un terrapieno fatto di zolle Stetit aggere (326) intrepidus vultu meruitque timeri - non metuens (317 - 318), quindi ira dictante profatur.
Li aggredisce: “ Vos despecta senes exhaustaque sanguine turba, /cernetis nostros, iam plebstriumphos “ 333 - 334) voi vecchia folla spregevoli già dissanguata , feccia oramai, starete a guardare i nostri trionfi.
Il destino non ha tempo di occuparsi della vostra morte e della vostra vita: tutta la storia segue i movimenti degli uomini grandi - procerum motus haec cuncta secuntur (342), il genere umano vive per pochi - humanum paucis vivit genus (343). Labieno che è passato a Pompeo transfuga, ora gira per terre e per mari[3].
Cesare dà degli ignavi ai soldati renitenti a combattere, afferma che continuerà a combattere a proprio vantaggio mihi bella geram (357) e punirà i caporioni.
I soldati tremarono - unumque caput tam magna iuventus timet - (369)
La sottomissione superò la speranza del condottiero spietato - vicit patientia saevi - spem ducis (369 - 370)
Nil magis assuetas sceleri quam perdere mentis - atque perire tenet (371 - 372) niente si impadronisce di menti assuefatte al delito quanto uccidere ed essere uccisi. In seguito all’esecuzione dei capi tornò la calma.

Pesaro 26 agosto 2020 ore 18, 50  giovanni ghiselli
p. s
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[1] La Medea di Euripide rinfaccia a Giasone l’aiuto che gli ha dato per compiere l’impresa: “ il drago, che avvolgendo il vello tutto d'oro/lo sorvegliava con le spire contorte senza dormire,/dopo averlo ucciso, sollevai per te la luce della salvezza (Medea, vv. 480 - 482).
[2] Domande di un lettore operaio, vv. 16 - 19,  da Poesie di Svendborg, 1939, ,in Brecht, Poesie, p. 157.
[3] Morirà nel 45 nella battaglia di Munda, in Spagna.

3 commenti:

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