lunedì 10 agosto 2020

Debrecen. 13. Il dialogo con Silvia sui “massimi sistemi” politici dell'epoca

virág

Il dialogo con Silvia sui “massimi sistemi” politici dell'epoca

La D.D.R. - raccontava Silvia quella sera lontana - è tiranneggiata da una schiera sostenuta dalla presenza massiccia dell’armata sovietica: nei confronti di tale dittatura burocratica - militare nessun dissenso è possibile; perciò da loro non c’era libertà di espressione, né arte, né vita davvero umana, diceva.
Io ero stato a Berlino est nel 1975, ospitato da un’amica figlia di un dirigente televisivo nel piccolo, elegante appartamento sulla Unter den Linden dove viveva e, a dire il vero, avevo notato aspetti belli della città molto ordinata e pulita. Quindi quella sera di luglio del 1979 mi chiedevo se Silvia seguisse la moda sfacciata dei reazionari, magari nostalgici del nazismo, che dicevano ogni male di un paese scelto come dimora da persone di alta intellettualità come Bertolt Brecht.
Tra l’altro la giovane donna che mi aveva ospitato, Martina, mi aveva fatto uno dei complimenti più belli che abbia mai ricevuto da una donna. Aveva detto: “tu non sei come i tuoi amici. Tu non giochi con il cuore delle persone”. Era sicuramente una giovane privilegiata nel suo paese e altrettanto sicuramente una persona tutt’altro che volgare. Ebbi modo di conoscerla bene. La ritroveremo più avanti in questo mese del 1979.
La  sconosciuta che mi parlava poteva essere un’avventuriera scampata alla gigantomachia che avevo ammirato nel Museo berlinese di Pergamo: una sopravvissuta alla sconfitta dei Giganti e dei Titani, quegli eterni nemici dell’ordine e della cultura debellati dagli dèi olimpici cosmizzatori del caos. Questo pensavo.
Silvia però sosteneva che la cultura veniva penalizzata proprio dal governo della Germania comunista
Alcuni autori, diceva, sono introvabili, Nietzsche, ad esempio. Nietzsche e Schopenhauer che non sono i padri ideologici del nazismo con i loro irrazionalismi pessimistici o nichilistici, rinunciatario quello di Il mondo come volontà e rappresentazione, aggressivo e velleitario invece quello di Nietzsche, come sosteneva  l’ungherese Lukács in La distruzione della ragione.
Le risposi che Nietzsche era uno dei miei educatori, quale maestro di una cultura antiborghese, del “diventa quello che sei” ripreso da Pindaro, dell’amor fati, della fedeltà alla vita terrena, alla vita senz’altro.
Il fascismo, in effetti, aggiunsi, era ignoranza delinquenziale, luogo comune adatto ai gradassi, posa ridicola, talora triviale. Il nazismo era follia criminale.
“In Italia - aggiunsi -  stanno tornando di moda l’ignoranza e la trivialità gradite alla feccia. I giovani crescono in un’atmosfera priva di idee e di sentimenti buoni quale la solidarietà che nei primi anni Settanta era sentita come un dovere, un predicato di nobiltà morale: le idee politiche nate nel ’68 e i sentimenti buoni sviluppatisi in seguito alla definizione autocritica della prima vampata del movimento studentesco sono state annientate dalle stragi, dalla droga, dalla mafia, dalla televisione volgare, dal consumismo plebeo che il potere incentiva. I libri buoni da noi si trovano, ma pochi li leggono. E chi li legge, li capisce, li impara, ne divulga le idee tra i giovani, viene boicottato dai dirigenti delle nostre istituzioni corrotte. Il preside tanghero del liceo classico dove lavoro, per esempio, ha ostacolato in tutti i modi a lui possibili la mia opera di educazione attraverso gli autori classici. Nella mia scuola andare oltre i tecnicismi delle lingue e leggere gli autori per impararle da loro è un delitto: chi studia gli auctores impara a pensare e chi sa farlo non dà sempre ragione all’autorità. Chi parla politicamente da noi è un sovversivo. Da noi c’è di nuovo il fascismo: a scuola non si deve fare politica. Ma la politica si occupa della polis, della comunità, e aiuta a uscire dall’infelicità profonda dell’egoismo”.
“Nella D.D. R. - replicò Silvia -  va peggio: là non si trovano tanti libri e tanto meno si può scrivere, o anche solo parlare, manifestando idee contrarie al regime: ogni dissenso è vietato da una polizia prepotente e capillarmente informata da una fitta rete di spie. Vero è che non ci sono grandi sperequazioni retributive ma questo è un magro compenso per chi crede che la realtà prima siano le idee e non l’economia”.
“Le idee - obiettai -  del resto non sono indipendenti dall’economia, almeno non del tutto”.
Avevo delle riserve su questa donna, tuttavia i suoi discorsi politici che pure non condividevo, mi interessavano forse anche più dei baci già un poco stanchi di Ifigenia.
In ogni caso a Silvia Virág che nel parlare mi manifestava un inequivoco interessamento di femmina,  misi in chiaro che amavo una donna italiana, una compagna di letto e di spirito con la quale avevo stretto un patto di fedeltà equo e sacrosanto. Speravo ancora di potermi fidare e, soprattutto, quando siamo innamorati di un’amante, o anche solo assuefatti a lei, magari pure tenacemente e brutalmente assuefatti, se per avventura ci capita di incontrarne un’altra disponibile e di qualità complessivamente non inferiore, può accadere che, fuorviati dal furore erotico, continuiamo a considerare la compagna di letto già nota donna di maggior valore, forse  fondando la valutazione errata su un particolare poco significativo isolato e quindi non influente sulla visione d’insieme del carattere di colei.
Ma forse tutto questo è troppo complicato e contorto e l’attrazione fisica è decisiva. Insomma, Ifigenia era più bella della Virág. Ancora mi piaceva la ninfa lasciata sulla riviera adriatica.
Quella sera bevvi un decilitro di egri bikavér e mezzo litro di acqua. Ero in ottima forma e volevo restarci. Mi sentivo stilizzato, eroicamente. Il poco di caos residuo che rimaneva in me, doveva diventare forma. Volevo ridurre l’immane a stile semplice, ordinato, bello. Verso l’una tornammo in collegio. La salutai. Andai nel mio casto letto da solo
“Domani - pensai, in un momento di ottimismo da falso profeta, da vate mentalmente acciecato, riceverò posta dalla mia donna bella, buona e fedele”.
Ma questo non era possibile, non era destino. Perciò non era bene, Placeat mihi, penso ora, quidquid deo placuit [1]

giovanni ghiselli

Pesaro 10 agosto 2020, ore 18

p. s
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[1] Cfr. Seneca, A Lucilio, 74, 20


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