virág |
Il dialogo con Silvia sui “massimi sistemi” politici dell'epoca
La D.D.R. - raccontava
Silvia quella sera lontana - è
tiranneggiata da una schiera sostenuta dalla presenza massiccia dell’armata
sovietica: nei confronti di tale dittatura burocratica - militare nessun
dissenso è possibile; perciò da loro non c’era libertà di espressione, né arte,
né vita davvero umana, diceva.
Io ero stato
a Berlino est nel 1975, ospitato da un’amica figlia di un dirigente televisivo
nel piccolo, elegante appartamento sulla Unter den Linden dove
viveva e, a dire il vero, avevo notato aspetti belli della città
molto ordinata e pulita. Quindi quella sera di luglio del 1979 mi chiedevo se
Silvia seguisse la moda sfacciata dei reazionari, magari nostalgici del
nazismo, che dicevano ogni male di un paese scelto come dimora da persone di
alta intellettualità come Bertolt Brecht.
Tra l’altro
la giovane donna che mi aveva ospitato, Martina, mi aveva fatto uno dei
complimenti più belli che abbia mai ricevuto da una donna. Aveva detto: “tu non
sei come i tuoi amici. Tu non giochi con il cuore delle persone”. Era
sicuramente una giovane privilegiata nel suo paese e altrettanto sicuramente
una persona tutt’altro che volgare. Ebbi modo di conoscerla bene. La
ritroveremo più avanti in questo mese del 1979.
La sconosciuta
che mi parlava poteva essere un’avventuriera scampata alla gigantomachia che
avevo ammirato nel Museo berlinese di Pergamo: una sopravvissuta alla sconfitta
dei Giganti e dei Titani, quegli eterni nemici dell’ordine e della cultura
debellati dagli dèi olimpici cosmizzatori del caos. Questo pensavo.
Silvia però
sosteneva che la cultura veniva penalizzata proprio dal governo della Germania
comunista
Alcuni
autori, diceva, sono introvabili, Nietzsche, ad esempio. Nietzsche e
Schopenhauer che non sono i padri ideologici del nazismo con i loro
irrazionalismi pessimistici o nichilistici, rinunciatario quello di Il
mondo come volontà e rappresentazione, aggressivo e velleitario invece
quello di Nietzsche, come sosteneva l’ungherese Lukács in La
distruzione della ragione.
Le risposi
che Nietzsche era uno dei miei educatori, quale maestro di una cultura
antiborghese, del “diventa quello che sei” ripreso da Pindaro, dell’amor
fati, della fedeltà alla vita terrena, alla vita senz’altro.
Il fascismo,
in effetti, aggiunsi, era ignoranza delinquenziale, luogo comune adatto ai
gradassi, posa ridicola, talora triviale. Il nazismo era follia criminale.
“In Italia -
aggiunsi - stanno tornando di moda
l’ignoranza e la trivialità gradite alla feccia. I giovani crescono in
un’atmosfera priva di idee e di sentimenti buoni quale la solidarietà che nei
primi anni Settanta era sentita come un dovere, un predicato di nobiltà morale:
le idee politiche nate nel ’68 e i sentimenti buoni sviluppatisi in seguito
alla definizione autocritica della prima vampata del movimento studentesco sono
state annientate dalle stragi, dalla droga, dalla mafia, dalla televisione
volgare, dal consumismo plebeo che il potere incentiva. I libri buoni da noi si
trovano, ma pochi li leggono. E chi li legge, li capisce, li impara, ne divulga
le idee tra i giovani, viene boicottato dai dirigenti delle nostre istituzioni
corrotte. Il preside tanghero del liceo classico dove lavoro, per esempio, ha
ostacolato in tutti i modi a lui possibili la mia opera di educazione
attraverso gli autori classici. Nella mia scuola andare oltre i tecnicismi
delle lingue e leggere gli autori per impararle da loro è un delitto: chi
studia gli auctores impara a pensare e chi sa farlo non dà sempre ragione
all’autorità. Chi parla politicamente da noi è un sovversivo. Da noi c’è di
nuovo il fascismo: a scuola non si deve fare politica. Ma la politica si occupa
della polis, della comunità, e aiuta a uscire dall’infelicità profonda
dell’egoismo”.
“Nella D.D. R. - replicò Silvia - va peggio: là non
si trovano tanti libri e tanto meno si può scrivere, o anche solo parlare,
manifestando idee contrarie al regime: ogni dissenso è vietato da una polizia
prepotente e capillarmente informata da una fitta rete di spie. Vero è che non
ci sono grandi sperequazioni retributive ma questo è un magro compenso per chi
crede che la realtà prima siano le idee e non l’economia”.
“Le idee - obiettai
- del resto non sono indipendenti
dall’economia, almeno non del tutto”.
Avevo delle
riserve su questa donna, tuttavia i suoi discorsi politici che pure non
condividevo, mi interessavano forse anche più dei baci già un poco stanchi di
Ifigenia.
In ogni caso
a Silvia Virág che nel parlare mi manifestava un inequivoco interessamento di
femmina, misi in chiaro che amavo una donna italiana, una compagna
di letto e di spirito con la quale avevo stretto un patto di fedeltà equo e
sacrosanto. Speravo ancora di potermi fidare e, soprattutto, quando siamo
innamorati di un’amante, o anche solo assuefatti a lei, magari pure tenacemente
e brutalmente assuefatti, se per avventura ci capita di incontrarne un’altra
disponibile e di qualità complessivamente non inferiore, può accadere che,
fuorviati dal furore erotico, continuiamo a considerare la compagna di letto
già nota donna di maggior valore, forse fondando la valutazione
errata su un particolare poco significativo isolato e quindi non influente
sulla visione d’insieme del carattere di colei.
Ma forse
tutto questo è troppo complicato e contorto e l’attrazione fisica è decisiva.
Insomma, Ifigenia era più bella della Virág. Ancora mi piaceva la ninfa
lasciata sulla riviera adriatica.
Quella sera
bevvi un decilitro di egri bikavér e mezzo litro di acqua. Ero
in ottima forma e volevo restarci. Mi sentivo stilizzato, eroicamente. Il poco
di caos residuo che rimaneva in me, doveva diventare forma. Volevo ridurre
l’immane a stile semplice, ordinato, bello. Verso l’una tornammo in collegio.
La salutai. Andai nel mio casto letto da solo
“Domani - pensai,
in un momento di ottimismo da falso profeta, da vate mentalmente acciecato,
riceverò posta dalla mia donna bella, buona e fedele”.
Ma questo
non era possibile, non era destino. Perciò non era bene, Placeat
mihi, penso ora, quidquid deo placuit [1].
giovanni
ghiselli
Pesaro 10
agosto 2020, ore 18
p. s
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