2 agosto. L’apoteosi di Ifigenia. L’identità ritrovata
Quel giorno
feci quanto dovevo a me stesso: camminai, corsi, nuotai, mi abbronzai, lessi
diverse pagine dei Guermantes per poterne parlare presto con
lei. Mangiai poco. Per tenere a bada la fame, bevvi molta acqua e alcuni caffè.
Verso le sei, da occidente, arrivò un vento fresco sulla piscina di Debrecen..
Lo sentìi profumato della mia donna. Faceva già presentire l’autunno e
pregustarne le gioie. Era il presagio di una stagione felice. Pensavo ai nostri
incontri in casa mia dove la ragazza arrivava sul calar delle tenebre lunghe di
novembre, verso le cinque del pomeriggio. Dopo pochi minuti era seduta sui
talloni, nel nostro letto, nuda, sorridente e luminosa come il sole sul mare
greco dove nacque Afrodite, la dea dal dolce sorriso. La creatura mia splendidissima
profumava come le rose che nella stagione bella rallegrano perfino i cortili
più bui e miserandi. Era bella tutta, la mia giovane donna. L’alito, la saliva,
il sangue mestruale, ogni cosa era bella e buona in siffatta creatura. “Le tue
vene, come cespugli di rose, trepidano continuamente, ha scritte in un’ode
Attila Jozsef, il più bravo, il più caro poeta ungherese del Novecento: “Vérköreid,
miként a rózsabokrok reszketnek szüntelen”[1]
Le foglie
oramai rinsecchite e ingiallite sussurravano buoni presagi. Nella vasca più
grande dove alcuni adolescenti giocavano a palla, l’acqua trepidante nel vento,
e schizzata fuori dai ragazzi in miriadi di gocce, rifletteva i raggi del sole
moltiplicandoli in un luccichio festivo. La piscina sembrava sorvolata da
sciami di farfalline gialle agitate da un impulso amoroso. Poco dopo giunsero
nuvole umide che nascosero il sole cadente.
Solitamente
vedere i primi segnali dell’equinozio acquoso che offusca i colori del cielo e
del mare mi rende inquieto.
Il due
agosto del 1979 invece ne fui del tutto felice poiché la stagione dolente
significava per me il rinnovarsi dell’amore con Ifigenia che un giorno di
novembre del mirabile anno passato era venuta in camera mia, nel nostro recinto
sacro, nel tempio dell’amore, trafelata e gioiosa, con la chioma bruna bruna
screziata di neve bianchissima e un sorriso radioso negli occhi, nella bocca,
in tutta la sua persona santa.
Ogni tanto
il sole estremo spuntava con dura fatica da quelle nuvole dense.
Se l’autunno
era già vicino, non erano più tanto lontani i salti gioiosi, mai al di sotto
della sufficienza: tre tripudi; anzi, molto spesso ben al di sopra.
Erano
prossime a rinnovarsi le sacrosante orge celebrate in onore del dio Eros cui
eravamo entrambi devoti. Allora mettevamo l’amore sopra ogni cosa.
La
vacanza crudele che mi teneva lontano da lei aveva superato la cresta montuosa
della metà. Mi aspettava. Mi amava. “Zazzì”, come annunciava il telegramma
messaggero di amore. Mi avrebbe amato per sempre, e anche se fosse sparita,
sarei rimasto con lei scrivendo la storia del nostro amore. Quella donna era lo
scopo della mia vita, siccome i fini veri di tutto quanto facevo, li avevo individuati
stando con lei, per essere degno di lei.
Dovevo
continuare a educare, a imparare e amare. Mantenere la forma migliore studiando
e facendo esercizio fisico. Un’ascesi pagana. Sui venti anni mi vergognavo di
essere tanto diverso dagli altri, dai più, e magari cercavo di camuffarmi per
assimilarmi a loro, sempre senza successo e con tanto dolore; poi altre donne
benedette, come le due Elene di cui ho già raccontato in questo epos erotico,
mi avevano autorizzato a essere me stesso, e, dopo tali incoraggiamenti, ero
diventato fiero della mia identità rara, molto fiero, sicuro e felice di non
essere uno che vive di luoghi comuni, che li ripete annoiando perfino se
stesso, e di sera gioca a carte o guarda le partite di calcio bevendo birra.
Costoro fanno l’amore due volte alla settimana, bene che vada. E da giovani.
Magari arrivano a cinque con un’ amante o un amante, poi dicono menzogne al
coniuge. Tutto questo fa schifo, eppure durante la crisi quasi mortale dei miei
sciagurati vent'anni tale masnada mi era sembrata fatta di persone normali. Per
quanti sforzi facessi, non riuscivo a essere come loro. Era gente mortificata
che mi mortificava.
Poi,
grazie alle donne migliori e al movimento del ’68, avevo ritrovato la mia
identità di adolescente, studioso, sportivo curioso e amantissimo della vita.
Dovevo realizzarla al massimo la vita mia secondo la mia identità, nella
maniera più forte e pù nobile. Un’identità non gregaria, non presa a prestito.
Il sole,
sbucando ancora una volta dalle nuvole acquose, simile a una palla cerchiata da
lamine d’oro, balzava su un ramo rotto, aguzzo, ma non ne veniva forato, come
l’anima mia resa quel giorno impenetrabile dal male e dal dolore. Mi
aspettavano gioie e successi.
giovanni
ghiselli
il blog è
arrivato a 609711
Queste sono
le visite di oggi, 12 marzo 2018 alle 10, 45
Italia
|
145
|
Stati
Uniti
|
109
|
Russia
|
11
|
Irlanda
|
5
|
Cile
|
2
|
Portogallo
|
2
|
Argentina
|
1
|
Australia
|
1
|
Belgio
|
1
|
Canada
|
1
|
Riveduto e
ritoccato oggi 23 agosto 2020, ore 10, 45
Visualizzazioni
di pagine: oggi
|
94
|
Visualizzazioni
di pagine: ieri
|
324
|
Visualizzazioni
di pagine: ultimo mese
|
11.818
|
Visualizzazioni
di pagine: tutta la cronologia
|
1.021.394
|
Pubblico di
questa settimana
talia
|
1402
|
Stati
Uniti
|
965
|
Germania
|
66
|
Russia
|
38
|
Francia
|
30
|
Giappone
|
28
|
Portogallo
|
27
|
Regno
Unito
|
21
|
Svizzera
|
15
|
Belgio
|
6
|
p. s
Metto questi
numeri non tanto per vantarmene quanto per ringraziare i tanti lettori.
Nessun commento:
Posta un commento