domenica 16 agosto 2020

Introduzione a Lucano. XVIII parte del poema "Pharsalia". II libro (vv. 405-736)

cascata delle Marmore

II libro (vv. 405-736)

I fiumi
Dall’Appennino scendono grandi fiumi nei due versanti, orientale e occidentale.

Excursus
Italia trans e cisappenninica vista da Rima
Tito Livio condanna la pratica del sacrificio dei prigionieri da parte degli Etruschi come barbarica e vergognosa: dopo un successo militare contro l'incauto console Fabio, i Tarquiniesi sacrificarono trecentos septem milites romanos, un supplizio brutale che rese ancora più notevole l'onta subita dal popolo romano[1].
Ma lo stesso storiografo racconta che  che dopo Canne (216 a. C.) “ex fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca, in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario,  in un luogo recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime umane, con un rito però non romano.  E’ una contraddizione con quanto detto sopra sugli Etruschi, ma “i fatti della storia non sono sillogismi”[2]
Mazzarino ne ricava una concezione cisappenninica della vera Italia cui consegue l’idea della exterminatio dei due popoli transappenninici: Galli e Greci.

Contro i Greci (e i Galli). Appiano e Virgilio
 Appiano[3] nell’Annibalica (7, 8) introduce il suo racconto della battaglia del Trasimeno e sostiene che la vera Italia è quella tirrenica, mentre quella adriatica e ionica è terra di Galli e di Greci.
Dice che kaqarw'~   jItaliva è quella sulla destra degli Appennini; quella di sinistra, sullo Ionio è popolata piuttosto da Greci e  sull’Adriatico da Celti. Si chiama lo stesso Italia, come si chiama Italia l’Etruria, popolata da Etruschi. Ma ancora molti chiamano l’Italia adriatica  jItalivan Galatikhvn.
Nello stesso anno 216 del resto i decemviri sacris faciundis ricavarono dai libri sibillini l’ordine di mandare a Delfi Fabio Pittore. Un’altra contraddizione.
C’era comunque fino a Canne una questione appenninica: gli antichi intuivano il contrasto fra l’economia padana e quella appenninica. Virgilio ne risente ancora: nel terzo canto dell’Eneide Elĕno, il figlio di Priamo, indovino e interprete di Febo e nuovo marito di Andromaca, profetizzando il resto del viaggio ai Troiani, giunti profughi a Butroto in Epiro, consiglia di evitare le coste e le terre italiche prospicienti, in quanto abitate da criminali: “cuncta malis habitantur moenia Grais” (v. 398), tutte le fortezze sono abitate da malvagi greci. Vengono nominate la penisola salentina dove era giunto Idomeneo, Locri, fondata dai Locresi di Narica,  e Petelia in Calabria colonizzata da Filottete.
E’ il malanimo dei tradizionalisti romani contro i Greci: si pensi a Catone e a  Giovenale. Arrivati al tempio di Minerva, nel Salento, in effetti, compiuti i ritiHaut mora -racconta Enea (v. 548)- senza indugio, “Graiugenumque domos suspectaque linquimus arva” (Eneide, 3, 550), lasciamo le dimore dei Greci e le campagne sospette. 
E’ una forma di determinismo geografico-coloniale impregnato di razzismo.
Fine excursus

 Nell’Adriatico cadono velox MetaurusCrustumiumque rapax, il Pisaurus (Foglia),  “Senaque et Hadriacas qui verberat Aufidus  undas” ( Pharsalia, II, 407), l’Eridǎnus il Po.
Quindi Lucano racconta il mito di Fetonte che incendiò il cielo con le sue briglie infuocate e il Po contribuì a spengere l’incendio.
L’Eridano potrebbe competere con il Nilo se questo non inondasse la Libia e con l’Istro se il Danubio non ricevesse tanti fiumi.
Poi Lucano menziona i fiumi che sfociano nel Tirreno: Tevere, il Rutuba (Liguria), il Volturno Vulturnus celer, il Sarno, il Liri, il Sele, il Magra. L’Appennino arriva a Crotone fino al tempio di Giunone Lacinia.
 Una volta la Sicilia non era separata dallo stretto.

Caesar in arma  furens (439) furibondo nel suo desiderio di guerra, nullas nisi sanguine fuso/ gaudet habere vias (439-440).
Egli gode nello spargere sangue, nel mettere le campagne a ferro e fuoco.
 Il popolo è più incline a Pompeo Pronior in Magnum populus (45) ma ha paura di Cesare. Facilis sed vertere mentes –terror erat dubiamque fidem fortuna ferebat (460-461) e la fortuna faceva girare la lealtà malsicura verso Cesare.
 I capi pompeiani in Italia si arrendono a Cesare o fuggono come Varus da Auxĭmon (Osimo). Lentulus depellitur arce Asculĕa, viene cacciato dalla rocca di Ascoli (Ausculum). I comandanti fuggono e le truppe passano a Cesare. Scipione lascia la rocca di Luceria (in Puglia)
Metello Scipione suocero e seguace di Pompeo. Si uccise nel 46 dopo Tapso.

Domizio Enobarbo (console nel 54)  invece rimane a Corfinio (città dei Peligni in Abruzzo sotto la Maiella, non lontano da Sulmona).
Enobarbo venne  ucciso mentre fuggiva dopo la battaglia di Farsalo, nel 48 a.C., durante la quale fu a capo dell'ala sinistra dell'esercito pompeiano. Cicerone, nella II Filippica, dice che fu lo stesso Marco Antonio ad ucciderlo. Durante la sua vita Enobarbo fu sempre fedele ai propri ideali, anche se fu senza scrupoli nei mezzi e contro chi gli si opponesse. Il poeta Lucano parla molto favorevolmente di Enobarbo nel settimo libro della Pharsalia, come unico senatore fedele ai principi repubblicani. Era un antenato di NeroneNella guerra civile fu assediato in Corfinio da Cesare, nelle cui mani cadde prigioniero; graziato, assunse il comando della difesa di Marsiglia; comandava l'ala sinistra dei pompeiani nella battaglia di Farsalo e fu ucciso nella fuga.

 Domizio organizza la difesa di Corfinio, ma Cesare è spinto avanti dalla sua calda ira calida prolatus ab ira (493). Grida che nessun fiume lo fermerebbe nemmeno il Gange post Rubiconis aquas (498). Già la vinea (galleria mobile) si avvicina strisciando alle mura quando le sue truppe-nefas belli (507) nefandezza di guerra,  consegnano il loro comandante prigioniero a Cesare. Domizio chiede di venire ucciso.
Cesare lo risparmia vive, licet nolis, (512) vivi, anche se non vuoi. Poi lo fa slegare. Vuole mostrare clemenza verso i vinti. Domizio dice a se stesso: “ rumpe moras”(525).

Intanto Pompeo parla alle coorti silenziose: o vere Romana manus vero esercito romano , quibus arma senatus-non privata dedit (532-533)
Cesare viene equiparato a Catilina e a Sertorio il quale feros movit exul Hibēros (549)

Se Crasso fosse tornato vivo dai Parti continua Pompeo, tu Cesare avresti fatto la fine di Spartaco (71). Licet ille solutum-defectumque vocet anche se quello mi chiama snervato e sfiancato (560), la mia età non vi spaventi ne vos mea terreat aetas (559-560). Pompeo era del 106 aveva 57 anni. Cesare, il suocero, era del 100.
 “Qui è vecchio il duce, là i soldati aggiunge”.
Cesare dunque è pieno di baldanza per la Gallia ma è fuggito dal Reno e territa quaesitis ostendit terga Britannis  (572) ha mostrato le spalle spaventate ai Britanni che si era andato a cercare
Poi Pompeo ricorda i suoi successi: contro i pirati, contro Mitridate (132-63) che fuggiva profugum per Scythici divortia ponti, attraverso la terra che biforca il mare scitico (la Crimea). Io-dice Magno- spinsi alla morte indomitum regem Romanaque fata morantem (581) l’indomabile re –Mitridate appunto-che cercava di ritardare il destino di Roma “ad mortem Sullā felicior ire coegi” (580) e fui più felix di Silla
Pompeo continua: mi conobbero Colchi noti erepto vellere (591), i Cappadoces mea signa timent, et dedita sacris incerti Iudaea dei, e la Giudea dedita alla religione di un dio indefinito
(misterioso e inopinato cfr. Mimesis di Auerbach, capitolo La cicatrice di Ulisse).
Quindi Pompeo ricorda i pirati Cilici.
L’esercitò non reagì con clamori e Pompeo pensò che fosse meglio ritemprare le forze come fa un toro battuto dal rivale. Quindi attraversò l’Apulia e si ritirò dentro le rocche di Brindisi ben difese. Brindisi era una colonia cretese. Di qui si parte per Corcyra (Corfù) o Epidamno (Durazzo)
Pompeo si rivolse al figlio: gli chiede di andare a raccogliere truppe in Oriente: vengano a combattere i popoli che ho sottomesso dall’Egitto ai monti Rifei, dalla palude Meotide all’Armenia. Poi manda i consoli in Epiro e di lì in Macedonia perché raccolgano forze nuove.
Cesare è impaziente di tregue: Caesar in omnia praeceps-nihil actum credens cum quid superesset agendum,-instat atrox (656-658), corre a precipizio dappertutto e credendo che nulla sia stato fatto quando c’è ancora qualcosa da fare, incalza implacabile.
Cesare cerca di ostruire il mare con massi e con tronchi per impedire le partenze da Brindisi. Le bocche di mare vengono ristrette da intere foreste, abbattute per fare le zattere. Come fece il superbo persiano Serse quando ammucchiò materiali che fungessero da strada per passare da Abido a Sesto e fece marciare l’esercito sul vorticoso Ellesponto (cfr. i Persiani di Eschilo)
Pompeo fa spezzare quelle barriere. Era la fine dell’estate del 49 e le navi dei pompeiani riescono a salpare pur con fatica. Cesare si vergogna della vittoria troppo piccola costituita dalla fuga del nemico: “heu pudor, exigua est fugiens victoria Magnus”. Solo due navi della retroguardia vennero catturate
Così le Simplegadi che trattennero solo un piccolo pezzo della nave Argo partita da Pagase e diretta nella Colchide.
Pompeo è salpato ma non ha la buona fortuna con sé: lassata triumphis descivit Fortuna tuis (727-728) stanca dei tuoi trionfi la Fortuna si allontanò.
Pompeo se ne va come un esule incontro a un crollo indegno di sé. La spiaggia di Faro lo attende: parcitur Hesperiae (734). All’Italia si risparmia questa vergogna: Romanaque tellus-immaculata sui servetur sanguine Magni (735-736), si conservi immacolata del sangue del suo Magno



[1] Storie, VII, 15. Siamo negli anni del IV secolo a. C. successivi all’invasione gallica, intorno al 364  a. C.
[2] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 1, p. 216.
[3] Vissuto nel secondo secolo d. C. scrisse una Storia di Roma in greco in 24 libri. Sono conservati 11 libri con il prologo, la vicenda di Annibale, le guerre civili.

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