venerdì 21 agosto 2020

Debrecen 1979. 25. Primo agosto. La festa sulla terrazza

József Attila
Primo agosto. La festa sulla terrazza

La sera del primo di agosto c’era una festa sulla terrazza del casinetto di fianco allo stadio. Si beveva e si ballava. C’erano tutti i miei conoscenti e amici di quell’anno 1979 e pure quelli rimasti vivi degli anni passati. C’era anche la bella slava Giulia in forma splendente: i suoi occhi azzurri e i capelli biondi, radiosi, facevano venire in mente il mare di Grecia illuminato dal sole. Mi venne l’idea di farle la corte e di piacerle poiché Ifigenia continuava a non scrivere infliggendomi una ferita ogni giorno, quando, dopo la scuola, andavo a vedere se c’era posta per me. Una piaga, un’ulcera che mi bruciava dentro e fuori. Ogni giorno di più.
 La posta c’era sempre solo per altri. L’ulcus si aggravava e uccideva l’amore.
 Pensai dunque che potevo prepararmi il terreno con una corte fatta a regola d’arte in modo da essere in grado di prendermi una vendetta allegra se colei continuava a negarmi il conforto di qualche riga. Un farmaco necessario oramai.
C’era pure Silvia Virág che mi corteggiava e gratificava dicendo che le piacevo siccome ero molto diverso dagli altri. Le sorrisi e la ringraziai, ma prima di darle una risposta mi chiesi se la stravaganza fosse davvero un’ottima cosa. Allora non avevo le idee chiare su questo. Ora rispondo che essere soli e diversi non è bene e non è pienamente umano se è vero che siamo animali politici e linguistici, ma quando la nostra specie si spoliticizza e diviene brutale o vegetale, quando il prossimo è formato da profittatori e imbecilli, allora stare da soli a leggere, riflettere, scrivere è la maniera per salvare quanto rimane della propria identità umana e politica lavorando per gli uomini dell’avvenire. “Essi saranno la mitezza e la forza”, ha scritto un poeta ungherese del Novecento, József Attila.
A Silvia poi dissi che non mi spiaceva essere differente dagli altri, anche se tale difformità mi era costata solitudini lunghe e difficili. Il corso di Debrecen, aggiunsi, era un ambiente strano e consolatorio, siccome frequentato da studiosi di materie umanistiche provenienti da quasi tutte le Università europee e vi si potevano trovare persone inclini al pensiero e curiose di imparare; mentre, invece,  frequentare la gente usuale diseducata dalla pubblicità e dalla propaganda, infarcita di luoghi comuni, ascoltare banalità e menzogne, significava perdere tempo, il bene più prezioso di questa breve esistenza. Di qui la mia solitudine cronica e la mia diversità da anacoreta.
Tuttavia non dispero che un giorno, forse in seguito a qualche catastrofe espiatoria e catartica, o all’opera di un demiurgo geniale, rinasca un ethos politico tra la gente comune, che dalle rovine del ’68 o magari dai testi della Grecia classica, risorga un popolo capace di pensare e sentire umanamente; allora la preparazione che sto costruendo in me stesso, con anni di lavoro solitario, forse potrò impiegarla in favore delle donne e degli uomini tornati umani”.
Dovresti scrivere - disse la ragazza tedesca mal maritata con un ungherese e separata da lui. Un’altra possibile vendetta allegra.
Ci penserò. Lo farò di sicuro quando avrò qualcosa di preciso da dire se allora avrò a arricchito il mio linguaggio, trovato uno stile mio e ne sentirò la necessità”, risposi.

giovanni ghiselli

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