Introduzione a Lucano. XXVII parte del
poema "Pharsalia". Conclusione del IV libro
Il cesariano Curione, sconfitto da Giuba re di Numidia, muore eroicamente.
Il comandante pompeiano era Varo alleato di Giuba - re di Numidia succeduto a
Iempsale che Pompeo nel 60 aveva rimesso sul trono - cui molti popoli mandavano
truppe. Numidi, Getuli, il Maurus concolor Indo 678 che ha il
colore degli indiani, i Marmaridi veloci, misti al Garamante bruciato dal
sole mixti Garamante perusto 679, poi Afer venator,
il cacciatore africano 685.
Giuba odiava
il cesariano Curione il quale lege tribunicia - 690 - aveva
proposto di cacciarlo dalla terra dei suoi avi Libyamque auferre
tyranno - dum regnum te, Roma facit e di strappare la Libia a un
tiranno, mentre Roma fa di te un regno sottomesso.
Curione
ha soldati poco affidabili, non provati e non temprati Rheni in undis 696
nelle onde del Reno.
Curione
pensa di attaccare per non lasciare i soldati nell’ozio: variam semper
dant otia mentem (704) gli ozi lasciano fluttuare incerta la mente.
I soldati
come i gladiatori odiano i loro simili odere pares - 710
La fortuna
belli è blanda lusinghiera con Curione ma deceptura
futuris malis ma pronta a ingannarlo con mali futuri (712)
Curione ha
un primo successo cacciando i soldati di Varo foeda fuga (714)
in sconcia fuga. Giuba con il suo secondo Sabbura preparano un tranello - infectaque
semper - Punica bella dolis - (736 - 737) le guerre puniche sono sempre
tinte di imbroglio.
Cfr.
la perfidia plus quam punica di Annibale.
Lisandro
concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: se la rideva di
quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con
il tradimento e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ
leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la
pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita
di Lisandro, 7, 6). La perfidia plus quam punica[1] di
Annibale e quella italica di Machiavelli hanno indubbiamente avuto dei maestri
negli Elleni.
Nel XVIII
capitolo de Il Principe Machiavelli ricorda "come Achille
e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone
centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce: "Il
che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo
uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e
l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato
sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché
il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna
adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro
che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto,
uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li
torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".
Curione
dunque nell’ottobre del 49 cade nella trappola di Giuba: “bellumque trahebat
- auctorem civile suum - (738 - 739), la guerra civile tirava a sé il suo
fautore.
La fortuna
aveva fatto apparire giuste le reazioni di Cesare dato che i tribuni cesariani
erano stati trattati con ingiustizia: il Senato con il senatus consultum
ultimum del 7 dicembre del 50, agitando il fantasma dei Gracchi, aveva
cacciato da Roma divisa in due i tribuni Marco Antonio e Cassio Longino.
Curione lingua
venali, dall’oratoria che si vende[2],
li aveva portati da Cesare, quindi aveva consigliato al duce “tolle moras
semper nocuit differre paratis” (I, 281).
Cfr. Dante Inferno
XXVIII lo presenta sbigottito “con la lingua tagliata nella strozza” 101. Tra i
seminatori di discordia. “Questi, scacciato, Il dubitar sommerse - in Cesare,
affermando che ‘l fornito - sempre con danno l’attender sofferse” (97 - 99)
Curione
dunque cadde nella trappola degli Africani che li attaccano dopo averli presi
in trappola. L’esercito viene circondato da ogni parte - undique saepta
iuventus - e schiacciato. I cadaveri non cadono a terra tanto sono
ristretti e compressi: “compressum turbā stetit omne cadaver ” (IV,
787). Curione cadde con gli altri impiger ad letum et fortis virtute
coacta (798) senza risparmiarsi e coraggioso di un valore obbligato.
Era stato plebeius signifer portabandiera della plebe.
Curione è
morto da prode e avrebbe potuto fare molto bene alla repubblica, ma
“perdita
tunc urbi nocuerunt saecula, postquam
Ambitus et
luxus et opum metuenda facultas
Transverso
mentem dubiam torrente tulerunt” (816 - 818) generazioni perdute allora rovinarono
l’Urbe, dopo che il brigare e il lusso e la disponibilità di ricchezze da
temere sempre, trascinarono la mente ondeggiante con una fiumana traviata.
Curione
cambiò partito “Gallorum captus spoliis et Caesaris auro” (820),
catturato dal bottino gallico e dall’oro di Cesare. Roma è diventata oggetto di
compra vendita dopo “Sulla potens Mariusque ferox et Cinna cruentus”
(822)
Nel Bellum iugurthinum Sallustio afferma
che con Mario per la prima volta fu seriamente contrastata la superbia della
nobiltà: tunc primum superbiae nobilitatis obviam itum est (5).
Mario è homo novus che emerge quando Giugurta aveva la
certezza omnia Romae venalia esse (20). Gli stessi Romani, durante
la guerra di Numanzia, alla quale Micipsa aveva mandato il nipote auspicando
che vi morisse, facevano sperare a Giugurta che, morto lo zio, sarebbe
diventato re. In ipso (Giugurta) maxumam virtutem,
Romae omnia venalia esse (8).
In quella circostanza (ea tempestate)
nell'esercito romano: “in exercitu nostro fuere complures novi atque
nobiles, quibus divitiae bono honestoque potiores erant, factiosi domi,
potentes apud socios, clari magis quam honesti, qui Iugurthae non mediocrem
animum pollicitando accendebant si Micipsa rex occidisset, fore uti solus
imperi Numidiae potiretur” (8).
Fine IV
libro
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