Pietra rilievo votivo di un orecchio, 4th-III secolo A.C. |
L’ottusità e la scortesia di chi non sa ascoltare. L'orecchio non circonciso
Quella sera
del 2 agosto, mentre il volto santo del sole spariva tra le nuvole e gli alberi
della piscina, lo pregai con queste parole:” immagine luminosa di Dio, tu che
mi hai sempre aiutato perché non so e non voglio giocare con il cuore degli
uomini, aiutami ancora! Fai che il tuo devoto possa amare Ifigenia con forza,
chiarezza e semplicità. Fai che le nostre anime congiunte possano elevarsi al
mondo della cultura, dell’educazione e dell’arte, illuminate dalla tua luce
calda e spirituale. Fai che noi due, così coniugati e concordi, si giunga a
formare una potenza benefica anche per il prossimo nostro”.
Venerdì tre
agosto tornai in piscina con Giulia e con Alfredo del quale piango ancora la
morte. La ragazza ci aveva chiesto se volevamo andare a prendere il sole con
lei.
“Il sole mi
va sempre” risposi. E Alfredo: “sì pure io amo il sole, però mai quanto te”
Quella donna
attirava assai l’amico che la corteggiava spendendo il suo tempo e cominciava a
riscuotere qualche successo.
Giulia era
una tra le ragazze più amene a vedersi di quel corso estivo, ma non era bella
né interessante per me quanto Ifigenia nell’estate del 1979. Il grande
entusiasmo del telegramma del giorno prima non si era ancora afflosciato. La
giovane donna diceva di provare qualche interesse per la letteratura e io
introdussi la chiacchierata che speravo corposa dicendo: “ et tu
litteras scis et ego, et Alfredus noster non minus doctus est”.
In quei
giorni leggevo la Ricerca di Proust con diletto sempre
maggiore: ne giravo le pagine con mano diurna e, talora, anche notturna.
Certi
episodi raccontati con pathos dolente o gioioso avevano toccato la mia sfera
emotiva suscitando sentimenti e pensieri, insegnandomi modi di dire, sicché
sapevo parlarne con una certa efficacia persuasiva. Volevo mettere a suo agio
quella ragazza, farle pensare che la nostra compagnia era la migliore
possibile. Mi accorsi presto però che Giulia non sapeva ascoltare. Questo è un
brutto difetto, tipico delle età di egoismo, di sospetto tra gli esseri umani e
di solitudine.
“Ecco, il
loro orecchio non è circonciso: sono incapaci di prestare attenzione”[1]
Le stragi
avviate nel dicembre del 1969 proprio per creare un clima di terrore di odio,
stavano compiendo la loro funzione orrenda. Pochi anni dopo non ce ne sarebbe
più stato bisogno. Il genocidio morale e culturale, se non già compiuto, era
oramai metodicamente impostato su quella via criminale. Gli uomini hanno
disimparato l’attenzione e l’ascolto della voce umana ricca di logos e di
pathos. Odono più volentieri il ringhio metallico delle macchine, le menzogne
della pubblicità, la chiacchiera insignificante, e il boato infernale delle
bombe omicide gli uomini di questa età.
Età
iniqua e guasta che non soltanto la generazione di Edipo il parricida
seminatore del solco da dove era venuto alla luce, quindi acciecatosi con le
proprie mani sanguinarie e incestuose potrà condannare, ma anche la seguente di
Eteocle e Polinice, fratelli fratricidi reciproci, tuttavia compianti e onorati
dalla pietà sororale di Antigone, e pure la tragica razza dei figli e nipoti
dell’assassino Pelope: Tieste adultero avido, suo fratello Atreo, despota
furibondo che gli fece ingozzare le carni dei figli, poi la seguente
generazione di Agamennone che alla propria ambizione sacrificò la figlia
Ifigenia, oscenamente casta, quindi costui cadde sotto il coltello vendicatore
di Clitennestra, la bipede leonessa ammazzata infine dai suoi stessi figlioli,
Elettra e Oreste, autorizzati dal dio, il Signore di delfi, ombelico del
mondo.
Tutti
costoro nel giudizio finale potranno condannare la canaglia ottusa di questa
età, incapace di qualsiasi grandezza tanto nel bene quanto nel male.
La ragazza
dunque non sapeva ascoltare: l’unica cosa che la interessava era esibirsi e
farsi corteggiare. Con una siffatta non era possibile alcuno scambio di idèe né
di sentimenti: né logos né pathos c’era in quella carne pur fatta non male.
Quindi notai
che le sue occhiate erano non molto più espressive di quelle di un fagiano, che
i suoi movimenti erano macchinali, meccanici privi di significato e di luce,
che le sue parole erano senza bellezza né ordine. Sicché pensai che stavo
perdendo il mio tempo e me ne andai.
giovanni
ghiselli
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