lunedì 24 agosto 2020

Debrecen 1979. 29. L’ottusità e la scortesia di chi non sa ascoltare. L'orecchio non circonciso

Pietra rilievo votivo di un orecchio, 4th-III secolo A.C.

L’ottusità e la scortesia di chi non sa ascoltare. L'orecchio non circonciso

Quella sera del 2 agosto, mentre il volto santo del sole spariva tra le nuvole e gli alberi della piscina, lo pregai con queste parole:” immagine luminosa di Dio, tu che mi hai sempre aiutato perché non so e non voglio giocare con il cuore degli uomini, aiutami ancora! Fai che il tuo devoto possa amare Ifigenia con forza, chiarezza e semplicità. Fai che le nostre anime congiunte possano elevarsi al mondo della cultura, dell’educazione e dell’arte, illuminate dalla tua luce calda e spirituale. Fai che noi due, così coniugati e concordi, si giunga a formare una potenza benefica anche per il prossimo nostro”.

Venerdì tre agosto tornai in piscina con Giulia e con Alfredo del quale piango ancora la morte. La ragazza ci aveva chiesto se volevamo andare a prendere il sole con lei.
“Il sole mi va sempre” risposi. E Alfredo: “sì pure io amo il sole, però mai quanto te”
Quella donna attirava assai l’amico che la corteggiava spendendo il suo tempo e cominciava a riscuotere qualche successo.
Giulia era una tra le ragazze più amene a vedersi di quel corso estivo, ma non era bella né interessante per me quanto Ifigenia nell’estate del 1979. Il grande entusiasmo del telegramma del giorno prima non si era ancora afflosciato. La giovane donna diceva di provare qualche interesse per la letteratura e io introdussi la chiacchierata che speravo corposa dicendo: “ et tu litteras scis et ego, et Alfredus noster non minus doctus est”.
In quei giorni leggevo la Ricerca di Proust con diletto sempre maggiore: ne giravo le pagine con mano diurna e, talora, anche notturna.
Certi episodi raccontati con pathos dolente o gioioso avevano toccato la mia sfera emotiva suscitando sentimenti e pensieri, insegnandomi modi di dire, sicché sapevo parlarne con una certa efficacia persuasiva. Volevo mettere a suo agio quella ragazza, farle pensare che la nostra compagnia era la migliore possibile. Mi accorsi presto però che Giulia non sapeva ascoltare. Questo è un brutto difetto, tipico delle età di egoismo, di sospetto tra gli esseri umani e di solitudine.
“Ecco, il loro orecchio non è circonciso: sono incapaci di prestare attenzione”[1]
Le stragi avviate nel dicembre del 1969 proprio per creare un clima di terrore di odio, stavano compiendo la loro funzione orrenda. Pochi anni dopo non ce ne sarebbe più stato bisogno. Il genocidio morale e culturale, se non già compiuto, era oramai metodicamente impostato su quella via criminale. Gli uomini hanno disimparato l’attenzione e l’ascolto della voce umana ricca di logos e di pathos. Odono più volentieri il ringhio metallico delle macchine, le menzogne della pubblicità, la chiacchiera insignificante, e il boato infernale delle bombe omicide gli uomini di questa età.
 Età iniqua e guasta che non soltanto la generazione di Edipo il parricida seminatore del solco da dove era venuto alla luce, quindi acciecatosi con le proprie mani sanguinarie e incestuose potrà condannare, ma anche la seguente di Eteocle e Polinice, fratelli fratricidi reciproci, tuttavia compianti e onorati dalla pietà sororale di Antigone, e pure la tragica razza dei figli e nipoti dell’assassino Pelope: Tieste adultero avido, suo fratello Atreo, despota furibondo che gli fece ingozzare le carni dei figli, poi la seguente generazione di Agamennone che alla propria ambizione sacrificò la figlia Ifigenia, oscenamente casta, quindi costui cadde sotto il coltello vendicatore di Clitennestra, la bipede leonessa ammazzata infine dai suoi stessi figlioli, Elettra e Oreste, autorizzati dal dio, il Signore di delfi, ombelico del mondo. 
Tutti costoro nel giudizio finale potranno condannare la canaglia ottusa di questa età, incapace di qualsiasi grandezza tanto nel bene quanto nel male.
La ragazza dunque non sapeva ascoltare: l’unica cosa che la interessava era esibirsi e farsi corteggiare. Con una siffatta non era possibile alcuno scambio di idèe né di sentimenti: né logos né pathos c’era in quella carne pur fatta non male.
Quindi notai che le sue occhiate erano non molto più espressive di quelle di un fagiano, che i suoi movimenti erano macchinali, meccanici privi di significato e di luce, che le sue parole erano senza bellezza né ordine. Sicché pensai che stavo perdendo il mio tempo e me ne andai.

giovanni ghiselli


[1] L’antico testamento, Geremia, 6.

1 commento:

Ifigenia CLX. L’ospedale di Debrecen. Il delicato corteggiamento del vecchio dentista.

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