venerdì 28 agosto 2020

Lucano XXX. Introduzione a Lucano. "Pharsalia". Libro V (461-699)

The night journey from Caesar Caesar night trip
da: E. Herckmans, Der SEA vaertlof, JP Wachter, Amsterdam 1634

Lucano XXX. Introduzione a Lucano. "Pharsalia". Libro V (461 - 699)

Argomenti
Cesare si affida al pescatore Amyclas per tornare in Italia a sollecitare Antonio.
Il povero e umile uomo è più securus e saggio del potente.
Durante la traversata si scatena una tempesta. Cesare sfida la Fortuna che continua - per ora - a lasciarlo vincere. La sicumera di Cesare in Shakespeare

I due eserciti si accampano vicini e il mondo infelice sperò che i due duci dirimpettai fossero capaci di ripudiare la nefandezza. Oltretutto erano legati dal vincolo di Giulia figlia di Cesare e moglie di Pompeo, defunta del resto mentre la prole era sanguinis infausti. Giulia morì di parto mettendo al mondo la seconda figlia (Plutarco, Pompeo, 53, Cesare 23).
 Antonio però intanto indugiava a Brindisi, Era audax armis e già allora pensava ad Azio come luogo della guerra civile. Cesare gli scrive: quid superos et fata tenes? 482, perché trattieni gli dei e il destino? Summam te poscit Fortuna manum, la Fortuna ti chiede l’ultima mano
Lo chiama ignave (487) e gli ordina di venire non di andare: venire te Caesar non ire iubet. Mi dolgo che il tempo del destino vada perduto. Gli ricorda che gli ha lascito l’Italia tenendo per sé soltanto l’Epiro.
Antonio non risponde ai messaggi spediti tre o quattro volte, sicché Cesare decide di andare a parlargli attraversando il mare di notte. Ha già provato che le sue azioni temerarie sono andate a finire in un dio ben disposto temeraria prono - expertus cessisse deo, fluctusque verendos - classibus exigu sperat superare carinā (501 - 502). All’inizio del terzo turno di guardia, verso mezzanotte si allontana da solo: cunctisque relictis - sola placet Fortuna comes 509 - 510, gli piace la sola Fortuna come accompagnatrice. Salta sopra le sentinelle addormentate, dispiaciuto di non poterle ingannare. Vede una barca legata con una fune a una roccia di una caverna. La dimora del barcaiolo era fatta di giunchi, Amicle dormiva su un morbido letto di alghe molli toro quem alga dabat 521. Domanda a Cesare quale fortuna lo abbia condotto da lui.
Amicle è securus belli: praedam civilibus armis - scit non esse casas (526 - 527) non si cura della guerra: sa che le capanne non sono una preda per le guerre civili. Cesare crede di gratificarlo promettendogli ricchezze in cambio di un passaggio in Italia. Parla da uomo di potere anche se è malvestito: indocilis privata loqui (539) incapace di parlare come un cittadino qualunque.
Amicle che ha osservato i segni della natura: il cielo con gli uccelli, il sole, la luna, il mare con i suoi pesci, ha visto pronostici che sconsigliano di affidarsi al mare, tuttavia accoglie la richiesta di Cesare. C’è un vento che sembra scuotere le stelle e un orrore negro infetta il dorso del mare niger inficit horror –terga maris (564 - 565). Onde minacciose ribollono aestuat unda minax (566)
Il barcaiolo dice sola salus desperare viam, la sola salvezza è perdere la speranza di seguire la rotta: bisogna cambiarla e arrivare alla terra più vicina.
Ma Cesare risponde confidando che tutti i pericoli si ritireranno davanti a lui: fisus cuncta sibi cessura pericula Caesar (577)

Un po’ di Shakespeare
Per quanto riguarda il darsi animo dei personaggi tragici, Giulio Cesare dice alla moglie Calpurnia spaventata dai presagi: “The things that threatened (lat trudotrusi, trusum, spingome - ne’er looked but on my back; when they shall see - the face (lat. facies)of Caesar, they are vanished” (lat. vanesco) (Shakespeare, Giulio Cesare, II, 2, 10 - 12), le cose che mi hanno minacciato, hanno visto soltanto la mia schiena, quando vedranno la faccia di Cesare saranno svanite
E poco dopo Cesare dice che non resterà a casa: “Danger knows full well –that Caesar is more dangerous than he” (II, 2, 44 - 45), il pericolo sa molto bene che Cesare è più pericoloso di lui.

Cesare dice al barcaiolo: Italiam si caelo auctore recusas, - me pete (579 - 580) se rifiuti l’Italia spinto dal cielo, spinto da me dirigiti là.
Il duce si sente superiore alla tempesta e dice: “Calabro portu te crede potitum” (589) pensa di avere già raggiunto il porto calabro.
Con lo sconvolgere il mare e il cielo la Fortuna chiede quale dono possa farmi (592 - 593) quaerit pelagi caelique tumultu - quod praestet Fortuna mihi.
Inde ruunt toto concīta pericula mundi (597) da questo momento gli piombano addosso i pericoli messi in moto dall’intero universo.
L’acqua viene scatenata da venti opposti Coro e gelidus Borĕas (601) “et dubium pendet, cui vento concidat, aequor” (602) il mare dubbioso è incerto a quale vento debba cedere. Vince Schthici Aquilonis rabies (603) che ha contorto le onde e forma dei guadi dopo avere spinto in alto la sabbia. Al caos totale contribuiscono anche il vento Euro e il vento noto nero di nembi piovosi - imbribus ater. 608. - tutti i venti soffiando contro il mare difendono le loro terre. L’Oceano è rimasto al suo posto. I mari piccoli invece si mescolano tra loro: il Tirreno con l’Egeo, l’Adriatico con lo Ionio. Alcune cime vengono comunque sommerse.
Lucano ricorda il diluvio universale quando Tethys, l’acqua accettò di essere limitata solo dal cielo. Ma questa volta il rettore dei Superi compresse le onde con le nuvole. Il cielo rimane nascosto latet aer coperto da un pallore di dimora infernale - obsĭtus infernae pallore domus (V, 628)
Extimuit natura chaos, la natura ha avuto paura del caos, gli elementi sembrano avere rotto la tregua della concordia - rupisse videntur - concordes elementa moras e sembra che torni di nuovo quella notte pronta a mescolare i morti con gli dèi.
La tempesta è terribile, ma Cesare si consola: “quantusne evertere dixit - me superis labor est ”che grande fatica è per gli dèi rovesciare me che seduto a poppa hanno attaccato sul così grande mare! (655 - 656)
Accoglierò senza paura - intrepidus - qualunque morte mi darete voi dèi 
Anche se un giorno affrettato - festinata dies - mi farà morire anzi tempo sat magna peregi (660)
Nulla meis aberit titulis Romana potestas (664) dai miei titoli funerari non mancherà nessun potere romano. Muoio plenus honoris, sazio di cariche, eppure come cittadino privato.
Mihi funere nullo –est opus, o superi (668 - 669) non ho bisogno di nessun funerale, o dei. Rimanga il mio cadavere lacero in mezzo ai flutti del mare, dum metuar semper terraque expecter ab omni - (671) - purché io sia temuto per sempre e rimanga atteso da ogni terra. Dopo questo auspicio, un onda sollevò la barca e la depositò su una spiaggia.
Toccata la terrra - tacta tellure - recuperò i tanti regni, le città e la Fortuna sua. Come Anteo. I soldati quando lo videro si misero a piangere conmmossi - non ingratis querellis - 681 con lamenti non certo sgraditi.
Il mondo dipende da te, dissero: “saevitia est voluisse mori” (687) è una crudeltà che tu abbia voluto morire. Mentre il mare ti trascinava segnis sopor un torpore neghittoso occupava i nostri corpi. Pudet, heu! Ce ne vergogniamo. Da padrone del mondo hai voluto diventare felix naufragus? Un naufrago fortunato? V, 699
I soldati dunque fanno una palinodia rispetto a quanto hanno detto contro Cesare durante l’ammutinamento.

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