The night journey from Caesar Caesar night trip da: E. Herckmans, Der SEA vaertlof, JP Wachter, Amsterdam 1634 |
Lucano XXX. Introduzione a Lucano.
"Pharsalia". Libro V (461 - 699)
Argomenti
Cesare si affida al pescatore
Amyclas per tornare in Italia a sollecitare Antonio.
Il povero e umile uomo è più securus e saggio
del potente.
Durante la traversata si scatena
una tempesta. Cesare sfida la Fortuna che continua - per ora - a lasciarlo
vincere. La sicumera di Cesare in Shakespeare
I due eserciti si accampano vicini
e il mondo infelice sperò che i due duci dirimpettai fossero capaci di ripudiare
la nefandezza. Oltretutto erano legati dal vincolo di Giulia figlia di Cesare e
moglie di Pompeo, defunta del resto mentre la prole era sanguinis infausti.
Giulia morì di parto mettendo al mondo la seconda figlia (Plutarco, Pompeo, 53, Cesare 23).
Antonio però intanto
indugiava a Brindisi, Era audax armis e
già allora pensava ad Azio come luogo della guerra civile. Cesare gli scrive: quid superos et fata
tenes? 482, perché trattieni gli dei e il destino? Summam te poscit Fortuna
manum, la Fortuna ti chiede l’ultima mano
Lo chiama ignave (487)
e gli ordina di venire non di andare: venire te Caesar non
ire iubet. Mi dolgo che il tempo del destino vada perduto. Gli ricorda che
gli ha lascito l’Italia tenendo per sé soltanto l’Epiro.
Antonio non risponde ai messaggi
spediti tre o quattro volte, sicché Cesare decide di andare a parlargli attraversando
il mare di notte. Ha già provato che le sue azioni temerarie sono andate a
finire in un dio ben disposto temeraria prono - expertus
cessisse deo, fluctusque verendos - classibus exigu sperat superare carinā (501
- 502). All’inizio del terzo turno di guardia, verso mezzanotte si allontana da
solo: cunctisque
relictis - sola placet Fortuna comes 509 - 510, gli piace la sola
Fortuna come accompagnatrice. Salta sopra le sentinelle addormentate,
dispiaciuto di non poterle ingannare. Vede una barca legata con una fune a una
roccia di una caverna. La dimora del barcaiolo era fatta di giunchi, Amicle
dormiva su un morbido letto di alghe molli toro quem alga
dabat 521. Domanda a Cesare quale fortuna lo abbia condotto da lui.
Amicle è securus belli:
praedam civilibus armis - scit non esse casas (526 - 527) non si cura
della guerra: sa che le capanne non sono una preda per le guerre civili. Cesare
crede di gratificarlo promettendogli ricchezze in cambio di un passaggio in
Italia. Parla da uomo di potere anche se è malvestito: indocilis privata loqui (539)
incapace di parlare come un cittadino qualunque.
Amicle che ha osservato i segni
della natura: il cielo con gli uccelli, il sole, la luna, il mare con i suoi
pesci, ha visto pronostici che sconsigliano di affidarsi al mare, tuttavia
accoglie la richiesta di Cesare. C’è un vento che sembra scuotere le stelle e
un orrore negro infetta il dorso del mare niger inficit horror
–terga maris (564 - 565). Onde minacciose ribollono aestuat unda minax (566)
Il barcaiolo dice sola salus desperare
viam, la sola salvezza è perdere la speranza di seguire la rotta: bisogna
cambiarla e arrivare alla terra più vicina.
Ma Cesare risponde confidando che
tutti i pericoli si ritireranno davanti a lui: fisus cuncta sibi
cessura pericula Caesar (577)
Un po’ di Shakespeare
Per quanto riguarda il darsi animo dei personaggi tragici,
Giulio Cesare dice alla moglie Calpurnia spaventata dai presagi: “The things that threatened (lat trudo, trusi, trusum, spingo) me - ne’er looked but
on my back; when they shall see - the face (lat. facies), of Caesar, they are
vanished” (lat. vanesco)
(Shakespeare, Giulio
Cesare, II, 2, 10 - 12), le cose che mi hanno minacciato, hanno visto
soltanto la mia schiena, quando vedranno la faccia di Cesare saranno svanite
E poco dopo Cesare dice che non
resterà a casa: “Danger
knows full well –that Caesar is more dangerous than he” (II, 2, 44 - 45),
il pericolo sa molto bene che Cesare è più pericoloso di lui.
Cesare dice al barcaiolo: Italiam si caelo
auctore recusas, - me pete (579 - 580) se rifiuti l’Italia spinto dal
cielo, spinto da me dirigiti là.
Il duce si sente superiore alla
tempesta e dice: “Calabro
portu te crede potitum” (589) pensa di avere già raggiunto il porto
calabro.
Con lo sconvolgere il mare e il
cielo la Fortuna chiede quale dono possa farmi (592 - 593) quaerit pelagi
caelique tumultu - quod praestet Fortuna mihi.
Inde ruunt toto concīta
pericula mundi (597) da questo momento gli piombano addosso i pericoli
messi in moto dall’intero universo.
L’acqua viene scatenata da venti
opposti Coro e gelidus
Borĕas (601) “et dubium pendet, cui
vento concidat, aequor” (602) il mare dubbioso è incerto a quale vento
debba cedere. Vince Schthici Aquilonis
rabies (603) che ha contorto le onde e forma dei guadi dopo avere
spinto in alto la sabbia. Al caos totale contribuiscono anche il vento Euro e
il vento noto nero di nembi piovosi - imbribus ater. 608. - tutti i
venti soffiando contro il mare difendono le loro terre. L’Oceano è rimasto al
suo posto. I mari piccoli invece si mescolano tra loro: il Tirreno con l’Egeo,
l’Adriatico con lo Ionio. Alcune cime vengono comunque sommerse.
Lucano ricorda il diluvio
universale quando Tethys, l’acqua accettò di essere limitata solo dal cielo. Ma
questa volta il rettore dei Superi compresse le onde con le nuvole. Il cielo
rimane nascosto latet aer coperto
da un pallore di dimora infernale - obsĭtus infernae pallore domus (V,
628)
Extimuit natura chaos,
la natura ha avuto paura del caos, gli elementi sembrano avere rotto la tregua
della concordia - rupisse videntur - concordes elementa moras e
sembra che torni di nuovo quella notte pronta a mescolare i morti con gli dèi.
La tempesta è terribile, ma Cesare si
consola: “quantusne
evertere dixit - me superis labor est ”che grande fatica è per gli dèi
rovesciare me che seduto a poppa hanno attaccato sul così grande mare! (655 - 656)
Accoglierò senza paura - intrepidus - qualunque
morte mi darete voi dèi
Anche se un giorno affrettato - festinata
dies - mi farà morire anzi tempo sat magna
peregi (660)
Nulla meis aberit
titulis Romana potestas (664) dai miei titoli funerari non mancherà
nessun potere romano. Muoio plenus honoris,
sazio di cariche, eppure come cittadino privato.
Mihi funere nullo
–est opus, o superi (668 - 669) non ho bisogno di nessun funerale, o
dei. Rimanga il mio cadavere lacero in mezzo ai flutti del mare, dum metuar semper
terraque expecter ab omni - (671) - purché io sia temuto per sempre e
rimanga atteso da ogni terra. Dopo questo auspicio, un onda sollevò la barca e
la depositò su una spiaggia.
Toccata la terrra - tacta
tellure - recuperò i tanti regni, le città e la Fortuna sua. Come Anteo. I
soldati quando lo videro si misero a piangere conmmossi - non ingratis
querellis - 681 con lamenti non certo sgraditi.
Il mondo dipende da te, dissero: “saevitia est voluisse
mori” (687) è una crudeltà che tu abbia voluto morire. Mentre il mare ti
trascinava segnis
sopor un torpore neghittoso occupava i nostri corpi. Pudet, heu! Ce
ne vergogniamo. Da padrone del mondo hai voluto diventare felix naufragus? Un
naufrago fortunato? V, 699
I soldati dunque fanno una
palinodia rispetto a quanto hanno detto contro Cesare durante l’ammutinamento.
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