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Massimo Cacciari Il
lavoro dello spirito Adelphi, Milano, 2020
“L’individuo è qui sempre nella posizione del superiorem
non recognoscens, si ritiene sempre pars sanior” (p. 22).
E’ allora necessaria “una Autorità politica, la quale,
insieme alla capacità di garantire il potere supremo del contratto, sappia
ottenere dalla moltitudine degli individui il riconoscimento della coerenza del
proprio comando con l’istanza inalienabile della libertà che agita ciascuno”.
Sembra una aporìa che necessita l’intervento di un
deus ex machina come la soluzione delle trame intricate di alcune tragedie
greche quali il Filottete di Sofocle o l’Oreste di
Euripide, per esempio.
“Weber riteneva che solo un regime
democratico-parlamentare potesse permettere il (relativo e sempre in
discussione) successo di questo esercizio di altissima alchimia. Aveva tuttavia
perfettamente presente che la ‘conciliazione’ tra istanza individuale di
libertà e Auctoritas politica avrebbe potuto realizzarsi anche attraveso
logiche demagogico-plebiscitarie; la moltitudine degli individui può giungere a
sentirsi ‘riconosciuta’ dalla dittatura più che da qualsiasi
forma di parlamentarismo”.
La figura del demagogo viene denunciata come
pericolosa e deleteria in diversi drammi greci: si pensi, rimanendo nell’Oreste di
Euripide, a un
“uomo dalla lingua senza porta, forte della sua
audacia,
ajnh;r
ti" ajqurovglwsso", ijscuvwn qravsei-
Argivo non Argivo, imposto per forza,
fidente nel tumulto e nella brutale licenza di parlare
persuasivo per giunta tanto da
trascinare in qualche male:
quando infatti uno piacevole con le parole e dal
pensiero malvagio
persuade la folla, per la città è un grande malanno”
(vv. 903-908).
Oppure al Paflagone-Cleone dei Cavalieri di
Aristofane chiamato “borborotavraxi” (v. 307), il mescola-fango che si comporta come i
pescatori di anguille, i quali le acchiappano, solo se intorbidano l’acqua: “kai;
su; lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi, se scompigli la
città”, gli fa il rivale salsicciaio.
“il problema per Weber consisteva nel fatto che una
forma di autorità doveva potersi comunque affermare, in un nesso
intrinsecamente problematico con la gerarchia di valori dell’epoca, certamente
dominata dall’economico”.
Euripide punta sull’autorevolezza dell’onesto
lavoratore agricolo, il piccolo proprietario terriero, né ricco né povero
“Un altro poi alzatosi diceva parole contrarie a
costui,
di aspetto non bello, ma uomo animoso,
uno che raramente frequenta la città e il cerchio
della piazza,
uno che lavora la terra,- di quelli che soli salvano
il paese
intelligente quando vuole muoversi verso un dibattito,
uno integro, che ha condotto una vita irreprensibile (Oreste,
vv. 917-922).
Nelle Supplici Euripide
aveva popugnato l’Autorità delle leggi:
Teseo propugna la democrazia e dice all’araldo tebano
mandato da Creonte che quando c’è un tiranno non esistono più leggi
comuni (novmoi- koinoiv,
vv. 430-431). E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t’
ajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433-434), quando ci sono le leggi scritte il
debole e il ricco hanno gli stessi diritti
nell’Ifigenia in Aulide[1] il
coro delle donne calcidesi lamenterà che sono caduti i valori forti del Valore
e della Virtù, mentre regna l’empietà, e ajnomiva
de; novmwn kratei' (v.
1095), la licenza prevale sulle leggi.
Insomma non c’è democrazia quando la massa
aizzata dai demagoghi pretende di fare quello che vuole come accadrà dopo la
battaglia delle Arginuse ( tarda estate del 406 a. C.): il popolo ateniese, nel quale era stato inoculato
l'odio per gli strateghi e il desiderio dei capri espiatori, gridava che era
grave se qualcuno non permetteva al popolo di fare quanto voleva ("to;
de; plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti"
ejavsei to;n dh'mon pravttein o{ a]n bouvlhtai",
Senofonte, Elleniche I, 7, 12).
"E' la rivendicazione che riecheggia
minacciosamente in assemblea ad Atene durante il processo popolare contro i
generali delle Arginuse", è "la formula che caratterizza, secondo
Polibio, la degenerazione della democrazia (VI, 4, 4:" quando il popolo è
padrone di fare quello che vuole").[2]
Sentiamo direttamente Polibio:" non è democrazia
quella in cui la massa sia padrona di fare tutto ciò che voglia e preferisca;
invece quella presso la quale è tradizionale e abituale venerare gli dèi,
onorare i genitori, rispettare gli anziani, obbedire alle leggi; presso tali
comunità, quando prevale il parere dei più, questo bisogna chiamare
democrazia" (Storie , VI, 4, 4).
Oggi del resto la situazione è diversamente complessa.
Concludo questa parte citando di nuovo Massimo
Cacciari: “la rete universale dei contratti non solo rimane, infatti, del tutto
impotente ad affrontare le grandi crisi internazionale (esse si collocano sempre su
un’altra scala rispetto all’ordo oeconomicus), non solo, secondo i suoi
stessi pincìpi, non potrà che tutelare con qualche efficacia soltanto i
contraenti-ben oltre i limiti, essa appare minata da una contraddizione
intrinseca, di fondo: si tratta della sua inabilità a ‘interiorizzare’ nel
poprio Ordine il problema da cui scaturisce tutto il movimento
dell’epoca, e cioè l’istanza di conciliazione tra la libertà individuale e il
sistema politico” (Il lavoro dello spirito, p. 23)
Pesaro, 28 agosto 2020. giovanni ghiselli
[1] Rappresentata
postuma nel 405.
[2] Canfora, Lo Spazio Letterario Della Grecia
Antica , Volume I, Tomo II, p. 835.
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