lunedì 10 agosto 2020

Massimo Cacciari I, "Il lavoro dello spirito". 1


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Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito. Adelphi Milano, 2020

I (pagine 11 - 27).

Vediamo le prime pagine del primo capitolo e commentiamo alcune frasi dell’autore

Il Sistema della scienza era chiamato “ad aprire a un mondo di illimitate potenzialità (…) nella sua indistricabile unità alla tecnica”. Il pensiero filosofico dell’Occidente divenuto pensiero scientifico non vede più il mondo come  il kosmos classico, né quale il saeculum cristiano, “mondo è ciò che la scienza fa, la meta che di volta in volta il suo operare raggiunge e supera” (Il lavoro dello spirito, pagina 11).

Mi viene in mente il Prometeo di Eschilo messo in catene dalla terza e quarta generazione divina, Zeus e i suoi figli che hanno ordinato il caos rendendolo kosmos classico appunto.

La scienza deve superare anche le téchnai trovate dal Titano e risolvere il suo contrasto con Zeus che ne consentirà la liberazione.

“Dunque il Sistema della scienza esige la rivoluzione permanente, la coscienza di sé che esso assume tra Illuminismo e Idealismo, a cavallo del 1789, genera ‘la grande trasformazione’, intesa nel suo essenziale significato culturale - antropologico: ogni ‘stato’ ha valore solo in quanto già in sé contenga le energie per il proprio superamento” (p. 11).

Lo stesso Prometeo nella tragedia di Eschilo riconosce di avere infuso negli uomini cieche speranze: “tufla;" ejn aujtoi'"  ejlpivda" katw/vkisa", Prometeo incatenato,  v.250).
Eppure più avanti   afferma di avere scoperto e donato all’umanità tutte le tevcnai che fanno partire la civilizzazione:"pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507).
Le téchnai però non creano progresso se disgiunte dalla politica e, alla fine dei conti nemmeno sviluppo.

 Nel Protagora il sofista, eponimo e personaggio del dialogo, racconta che il Titano donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie, mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Ch non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).

Cacciari prosegue scrivendo che ogni ‘stato’ ha tanto potere effettuale quanto già manifeste le potenzialità per il proprio oltrepassamento che dal suo interno si sprigionano (…) ciò che eternamente dura è il continuo cambiamento. Quella propriamente economica non è che una dimensione di tale complessiva forma mentis (ben più di una semplice ‘visione del mondo’). Marx lo comprende perfettamente –e, non altrettato, certo, lo comprenderanno i ‘materialisti’ suoi sedicenti allievi” (Il lavoro dello spirito, p. 12).

Il figlio di Giapeto e di Temi, la magna mater[1],  si vanta di avere dato agli uomini il numero, “la combinazione delle lettere, memoria di tutto” (vv. 460 -  461), di avere aggiogato gli animali selvatici, di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462), prefigurando addirittura il volo. Inoltre ha trovato i farmaci, ha scoperto i metalli: il bronzo, il ferro, l’argento e l’oro.
I benefici indotti da tutte queste scoperte vengono smontati più volte nel corso della letteratura europea.
 Stazio ne presenta un sommario in un verso della Tebaide.
 Quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas esecra le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Aggiungo solo qualche altro esempio
 Erodoto afferma senza giri di parole che il ferro è stato scoperto per il male dell’uomo ( ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai".
Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
 Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140 - 143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[2] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni  che scoppiano.
Ho tradotto  prefigurando le armi da fuoco che Don Chisciotte non mancherà di abominare: “Felici e benedetti i  secoli che non conobbero la furia di questi indemoniati strumenti dell’artiglieria, il cui inventore dev’essere senza dubbio nell’inferno, a goder il premio della sua diabolica invenzione, mercé la quale il braccio d’un infame codardo può cagionar morte d’un valoroso cavaliere, che una palla fuorviata, arrivatagli, non si sa come né di dove, colpisce in pieno ardore del coraggio onde sono accesi e animati i petti eroici, mentre forse colui che l’ha sparata fugge sgomentato dal lampo di fuoco prodotto, nello sparo, da quella maledetta macchina”[3].
Anche Ariosto depreca la “ scelerata e brutta invenzion”:

Come trovasti, o scelerata e brutta
invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l'arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l'ardire
per te può in campo al paragon venire.

Per te son giti ed anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra,
che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti;
che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,
che ben fu il più crudele e il più di quanti
mai furo al mondo ingegni empi e maligni,
ch'imaginò sì abominosi ordigni[4].

Leopardi nello Zibaldone  è molto critico verso la scoperta del fuoco: "Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo.."(p. 3645). Il  fuoco viene associato alla guerra dal Recanatese: “L’invenzione e l’uso delle armi da fuoco, ha combinato perfettamente colla tendenza presa dal mondo in ordine a qualunque cosa, e derivata naturalmente dalla preponderanza della ragione e dell’arte, colla tendenza, dico, di uguagliare tutto. Così le armi da fuoco, hanno uguagliato il forte al debole, il grande al piccolo, il valoroso al vile, l’esercitato all’inesperto, i modi di combattere delle varie nazioni: e la guerra ancor essa ha preso un equilibrio, un’uguaglianza che sembrava contraria direttamente alla sua natura. E l’artifizio, sottraendo alla virtù e agguagliandola, e anche superandola e rendendola inutile, ha pareggiato gli individui, tolta la varietà…infine ha contribuito sommamente anche per questa parte a mortificare il mondo e la vita” (Zibaldone, 659 e 660).

Perfino la scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “  Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo" (ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~Fedro, 275a).
Tutte queste scoperte prometeiche vanno dunque regolate da un ordine politico.

Cacciari quindi passa al tema del lavoro. “La forma di questo lavoro non potrà che essere altrettanto rivoluzionaria dell’Età che con esso si inaugura. Dovrà essere, cioè, lavoro assolutamente libero; infatti, qualunque caratteristica servile contrasterebbe radicitus il senso della ‘grande trasformazione’. Nell’Età dominata dalla forma mentis di quest’ultima ogni forma di lavoro ‘comandato’ non potrà risultare alla fine che impossibile. In questo senso Nietzsche parla del proletariato come della ‘classe impossibile’[5]: la libertà di cui dispone nell’erogare il proprio lavoro è mera apparenza - nient’altro che la libertà di doversi trasformare in servo” (Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito, p. 13)

 Pesaro 10 agosto 2020, ore 17, 30 giovanni ghiselli.

Continua

p. s.

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[1] il figlio la invoca con queste parole:"Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi. 
[2] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672 - 673).
[3] M. Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, p. 468 vol. I.
[4] Orlando furioso, XI, 26 e 27.
[5] Der unmögliche Stand (F. Nietzsche, Aurora e frammenti postumi (1879 - 1881) in Opere di Fiedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. V /1, Milano, 1964, libro III, par. 206, pp. 152 - 54): l’ignominia del “venir adoperati”. E il conseguente invito a far esodo dal mondo che impone un tale ‘impossibile’, a trasformarsi in “liberi emigranti in grande stile”.

1 commento:

  1. Il tuo commento chiarisce e arricchisce molto il testo che analizzi.
    Bravo Gianni.
    Margherita

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