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Massimo Cacciari, Il lavoro dello spirito. Adelphi Milano, 2020
I (pagine 11
- 27).
Vediamo le prime
pagine del primo capitolo e commentiamo alcune frasi dell’autore
Il Sistema
della scienza era chiamato “ad aprire a un mondo di illimitate
potenzialità (…) nella sua indistricabile unità alla tecnica”. Il pensiero
filosofico dell’Occidente divenuto pensiero scientifico non vede più il mondo
come il kosmos classico, né quale il saeculum cristiano,
“mondo è ciò che la scienza fa, la meta che di volta in volta il
suo operare raggiunge e supera” (Il lavoro dello spirito, pagina 11).
Mi viene in
mente il Prometeo di Eschilo messo in catene dalla terza e quarta generazione
divina, Zeus e i suoi figli che hanno ordinato il caos rendendolo kosmos
classico appunto.
La scienza
deve superare anche le téchnai trovate dal Titano e risolvere
il suo contrasto con Zeus che ne consentirà la liberazione.
“Dunque il
Sistema della scienza esige la rivoluzione permanente, la coscienza
di sé che esso assume tra Illuminismo e Idealismo, a cavallo del 1789, genera
‘la grande trasformazione’, intesa nel suo essenziale significato culturale - antropologico:
ogni ‘stato’ ha valore solo in quanto già in sé contenga le energie per il
proprio superamento” (p. 11).
Lo stesso
Prometeo nella tragedia di Eschilo riconosce di avere infuso negli uomini
cieche speranze: “tufla;" ejn aujtoi'" ejlpivda" katw/vkisa", Prometeo incatenato, v.250).
Eppure più
avanti afferma di avere scoperto e donato all’umanità tutte
le tevcnai che fanno partire la civilizzazione:"pa'sai tevcnai
brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507).
Le téchnai però non creano progresso se disgiunte
dalla politica e, alla fine dei conti nemmeno sviluppo.
Nel Protagora il sofista, eponimo e personaggio del dialogo, racconta che il Titano
donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la
sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun
ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk
e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza
questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si
disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra
specie, mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché
costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei
a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn
kovsmoi" (322c). Ch non le avesse accettate, doveva
essere ucciso come malattia della città (322d).
Cacciari prosegue scrivendo che ogni ‘stato’ ha tanto
potere effettuale quanto già manifeste le potenzialità per il
proprio oltrepassamento che dal suo interno si sprigionano (…) ciò che
eternamente dura è il continuo cambiamento. Quella propriamente economica non è
che una dimensione di tale complessiva forma mentis (ben più
di una semplice ‘visione del mondo’). Marx lo comprende perfettamente –e, non
altrettato, certo, lo comprenderanno i ‘materialisti’ suoi sedicenti allievi” (Il
lavoro dello spirito, p. 12).
Il figlio di Giapeto e di Temi, la magna mater[1], si vanta di avere dato agli
uomini il numero, “la combinazione delle lettere, memoria di tutto” (vv. 460 - 461), di avere aggiogato gli animali
selvatici, di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462),
prefigurando addirittura il volo. Inoltre ha trovato i farmaci, ha scoperto i
metalli: il bronzo, il ferro, l’argento e l’oro.
I benefici indotti da tutte queste scoperte vengono
smontati più volte nel corso della letteratura europea.
Stazio ne presenta un sommario in un verso
della Tebaide.
Quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi
a vicenda, la Pietas esecra le orribili tecniche di Prometeo:
“o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Aggiungo
solo qualche altro esempio
Erodoto afferma senza giri di parole che il ferro è stato scoperto per il
male dell’uomo ( ejpi; kakw'/
ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai".
Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice
tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi
scatena le guerre.
“ Effondiuntur
opes, inritamenta malorum; / iamque
nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat
utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140
- 143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il
ferro funesto[2] e,
più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra,
che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote
ordigni che scoppiano.
Ho
tradotto prefigurando le armi da fuoco che Don Chisciotte non
mancherà di abominare: “Felici e benedetti i secoli che non
conobbero la furia di questi indemoniati strumenti dell’artiglieria, il cui inventore dev’essere senza dubbio
nell’inferno, a goder il premio della sua diabolica invenzione, mercé la quale
il braccio d’un infame codardo può cagionar morte d’un valoroso cavaliere, che
una palla fuorviata, arrivatagli, non si sa come né di dove, colpisce in pieno
ardore del coraggio onde sono accesi e animati i petti eroici, mentre forse
colui che l’ha sparata fugge sgomentato dal lampo di fuoco prodotto, nello
sparo, da quella maledetta macchina”[3].
Anche
Ariosto depreca la “ scelerata e brutta invenzion”:
Come
trovasti, o scelerata e brutta
invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l'arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l'ardire
per te può in campo al paragon venire.
invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l'arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l'ardire
per te può in campo al paragon venire.
Per te son giti ed anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra,
che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti;
che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,
che ben fu il più crudele e il più di quanti
mai furo al mondo ingegni empi e maligni,
ch'imaginò sì abominosi ordigni[4].
Leopardi nello Zibaldone è molto critico verso la scoperta del
fuoco: "Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come
l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato,
e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla
superficie del globo.."(p. 3645). Il fuoco viene associato alla
guerra dal Recanatese: “L’invenzione e l’uso delle armi da fuoco, ha combinato
perfettamente colla tendenza presa dal mondo in ordine a qualunque cosa, e
derivata naturalmente dalla preponderanza della ragione e dell’arte, colla
tendenza, dico, di uguagliare tutto. Così le armi da fuoco, hanno uguagliato il
forte al debole, il grande al piccolo, il valoroso al vile, l’esercitato
all’inesperto, i modi di combattere delle varie nazioni: e la guerra ancor essa
ha preso un equilibrio, un’uguaglianza che sembrava contraria direttamente alla
sua natura. E l’artifizio, sottraendo alla virtù e agguagliandola, e anche
superandola e rendendola inutile, ha pareggiato gli individui, tolta la
varietà…infine ha contribuito sommamente anche per questa parte a
mortificare il mondo e la vita” (Zibaldone, 659 e 660).
Perfino la
scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie
di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività
dell’invenzione dicendo: “ Questa infatti
produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria
della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da
segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un
farmaco della memoria ma del ricordo" (ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~,
favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).
Tutte queste scoperte prometeiche vanno dunque
regolate da un ordine politico.
Cacciari quindi passa al tema del lavoro. “La forma di
questo lavoro non potrà che essere altrettanto rivoluzionaria dell’Età che con
esso si inaugura. Dovrà essere, cioè, lavoro assolutamente libero; infatti,
qualunque caratteristica servile contrasterebbe radicitus il
senso della ‘grande trasformazione’. Nell’Età dominata dalla forma
mentis di quest’ultima ogni forma di lavoro ‘comandato’ non potrà
risultare alla fine che impossibile. In questo senso Nietzsche parla del
proletariato come della ‘classe impossibile’[5]: la libertà di cui dispone nell’erogare il proprio lavoro è mera apparenza
- nient’altro che la libertà di doversi trasformare in servo” (Massimo
Cacciari, Il lavoro dello spirito, p. 13)
Pesaro 10 agosto 2020, ore 17, 30 giovanni
ghiselli.
Continua
p. s.
|
[1] il figlio la invoca con queste
parole:"Qevmi" - kai; Gai'a,
pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi.
[2] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un
cuore di ferro:"sidarovfrwn…fovno" " (vv. 672 - 673).
[5] Der unmögliche
Stand (F. Nietzsche, Aurora e frammenti postumi (1879 - 1881) in Opere
di Fiedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. V /1, Milano,
1964, libro III, par. 206, pp. 152 - 54): l’ignominia del “venir adoperati”.
E il conseguente invito a far esodo dal mondo che impone un
tale ‘impossibile’, a trasformarsi in “liberi emigranti in grande stile”.
Il tuo commento chiarisce e arricchisce molto il testo che analizzi.
RispondiEliminaBravo Gianni.
Margherita