NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 8 agosto 2020

Patriarcato e Matriarcato


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Nell’ultimo dramma dell’Orestea di Eschilo (458 a. C.)  Apollo davanti al tribunale dell’Areopago difende Oreste  che ha ucciso la propria madre Clitennestra compiendo un delitto “di dignità mitologica” in quanto autorizzato dallo stesso dio delfico.
 Febo dunque apologizza il figlio di Agamennone dicendo: "La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~ ), ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera (tivktei) il maschio che la monta; colei come un ospite con un ospite salva il germe (e[rno~), per quelli ai quali gli dèi non l’abbia distrutto"(Eumenidi, vv. 658-661).
La madre non è indispensabile continua il dio che fonda il patriarcato:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio, la quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero, ma è come un virgulto (e[rno~ [1]) che nessuna dea avrebbe potuto partorire"( Eumenidi, vv.664-666).

Alla fine della trilogia il matricida verrà assolto dal voto decisiva di Atena che è la dea protettrice della città sede del tribunale da lei fondato e dichiara: "io aggiungerò questo voto a quelli in favore di Oreste: infatti madre non c'è che mi abbia generato, approvo il maschio in tutto, tranne farmi sposare, con tutto il cuore sono tutta del padre"(vv.735-738).

Nell’ Oreste di Euripide (408 a. C.), il protagonista, per scagionarsi davanti al nonno materno, utilizza il medesimo argomento della generazione patrilinea.
Infatti dice a Tindaro che lo ha accusato di spietatezza, poiché non si è fermato nemmeno davanti al seno della madre: “path;r me;n ejfuvteusen me, sh; d j e[tikte pai'~, - to; spevrm j a[roura paralabou's j a[llou pavra - aneu de; patro;~ tevknon oujk ei[h pot j a[n” (vv. 552-554), il padre mi ha generato, tua figlia mi partoriva,/un campo ha preso il seme da un altro:/senza il padre non ci sarebbe mai un figlio.
Ma Euripide ha molti dubbi: il coro di donne argive nell’epodo del secondo stasimo ribatte che non c’è sulla terra malattia, lacrime, pena più grande che versare con la propria mano a terra il sangue della madre ammazzata (vv. 832-833)

Nell' Ulisse  di Joyce leggiamo un altro parere, opposto a quello di Apollo: "Se non fosse stato per lei la maratona del mondo lo avrebbe schiacciato sotto i piedi, spiaccicata lumaca senza vertebre. Lei aveva amato quel debole sangue acquoso trasfuso dal proprio (…) Amor matris , genitivo soggettivo e oggettivo, questa è forse l'unica cosa vera nella vita. La paternità forse è una finzione legale. Chi è il padre di un qualsiasi figlio perché qualsiasi figlio debba amarlo o viceversa (...) Il figlio nascituro guasta la bellezza: nato, porta dolore, separa l'affetto, accresce le preoccupazioni. E' un maschio: la sua crescita è il declinare del padre, la sua giovinezza l'invidia del padre, il suo amico il nemico del padre (...) Che cosa mai li congiunge in natura? Un istante di cieca foia"[2].

Veniamo a oggi 8 agosto 2020
Nel quotidiano “la Repubblica” leggo questo titolo: “Quarant’anni di lotte per dare alle donne la libertà di scegliere” (p. 3)
Che questa libertà sia del tutto indifferente al parere dell’uomo che ha fecondato la donna, e magari quel figlio lo vorrebbe, a me sembra che sconfini nella licenza. I figli si possono evitare in tanti modi prima di ricorrere all’aborto che è cosa penosa innanzitutto per le donne. So che con questa riflessione mi prenderò del maschilista e del farabutto da tanti, ma corro il rischio che può essere bello[3] per chi non segue le mode. Se le seguissi non sarei l’uomo strano (a[topo~) il “fuori posto"  che sono[4].

giovanni ghiselli , Pesaro 8 agosto ore 16, 50

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[1] Un virgulto (  [erno" ) osservato presso l'altare di Apollo, è il frammento della natura santa cui Odisseo paragona la vergine Nausicaa (Odissea , 6, vv. 162-163): anche qui la ragazza viene distinta dalla donna e dalla sessualità.
[2]Ulisse , p 38  e p. 284.
[3] kalo;" ga;r oj kivnduno" (Platone, Fedone, 114d).
[4] Cfr. Platone, Fedro, 229c. 

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