Nell’ultimo dramma dell’Orestea di Eschilo
(458 a. C.) Apollo davanti al tribunale dell’Areopago difende
Oreste che ha ucciso la propria madre Clitennestra compiendo un
delitto “di dignità mitologica” in quanto autorizzato dallo stesso dio delfico.
Febo dunque apologizza il figlio di Agamennone
dicendo: "La cosiddetta madre non è la generatrice del
figlio (tevknou tokeuv~ ), ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera (tivktei) il maschio che la monta; colei come un ospite con un ospite
salva il germe (e[rno~), per
quelli ai quali gli dèi non l’abbia distrutto"(Eumenidi, vv.
658-661).
La madre non è indispensabile continua il dio che
fonda il patriarcato:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio, la
quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero, ma è come un virgulto (e[rno~ [1]) che nessuna dea avrebbe potuto partorire"( Eumenidi,
vv.664-666).
Alla fine della trilogia il matricida verrà assolto
dal voto decisiva di Atena che è la dea protettrice della città sede del
tribunale da lei fondato e dichiara: "io aggiungerò questo voto a quelli
in favore di Oreste: infatti madre non c'è che mi abbia generato, approvo il
maschio in tutto, tranne farmi sposare, con tutto il cuore sono tutta del
padre"(vv.735-738).
Nell’ Oreste di
Euripide (408 a. C.), il protagonista, per scagionarsi davanti al nonno
materno, utilizza il medesimo argomento della generazione patrilinea.
Infatti dice
a Tindaro che lo ha accusato di spietatezza, poiché non si è fermato nemmeno
davanti al seno della madre: “path;r me;n ejfuvteusen me, sh; d j e[tikte pai'~, - to;
spevrm j a[roura paralabou's j a[llou pavra - aneu de; patro;~ tevknon oujk
ei[h pot j a[n” (vv.
552-554), il padre mi ha generato, tua figlia mi partoriva,/un campo ha preso
il seme da un altro:/senza il padre non ci sarebbe mai un figlio.
Ma Euripide
ha molti dubbi: il coro di donne argive nell’epodo del secondo stasimo ribatte
che non c’è sulla terra malattia, lacrime, pena più grande che versare con la
propria mano a terra il sangue della madre ammazzata (vv. 832-833)
Nell' Ulisse di
Joyce leggiamo un altro parere, opposto a quello di Apollo: "Se non fosse stato per lei la maratona del mondo lo
avrebbe schiacciato sotto i piedi, spiaccicata lumaca senza vertebre. Lei aveva
amato quel debole sangue acquoso trasfuso dal proprio (…) Amor matris , genitivo soggettivo e oggettivo, questa è
forse l'unica cosa vera nella vita. La paternità forse è una finzione legale.
Chi è il padre di un qualsiasi figlio perché qualsiasi figlio debba amarlo o
viceversa (...) Il figlio nascituro guasta la bellezza: nato, porta dolore,
separa l'affetto, accresce le preoccupazioni. E' un maschio: la sua crescita è
il declinare del padre, la sua giovinezza l'invidia del padre, il suo amico il
nemico del padre (...) Che cosa mai li congiunge in natura? Un istante di cieca
foia"[2].
Veniamo a oggi 8 agosto 2020
Nel quotidiano “la Repubblica” leggo questo titolo:
“Quarant’anni di lotte per dare alle donne la libertà di scegliere” (p. 3)
Che questa libertà sia del tutto indifferente al
parere dell’uomo che ha fecondato la donna, e magari quel figlio lo vorrebbe, a
me sembra che sconfini nella licenza. I figli si possono evitare in tanti modi
prima di ricorrere all’aborto che è cosa penosa innanzitutto per le donne. So
che con questa riflessione mi prenderò del maschilista e del farabutto da
tanti, ma corro il rischio che può essere bello[3] per
chi non segue le mode. Se le seguissi non sarei l’uomo strano (a[topo~) il “fuori posto" che sono[4].
giovanni
ghiselli , Pesaro 8 agosto ore 16, 50
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[1] Un virgulto ( [erno" ) osservato presso l'altare di
Apollo, è il frammento della natura santa cui Odisseo paragona la vergine
Nausicaa (Odissea , 6, vv. 162-163): anche qui la ragazza viene
distinta dalla donna e dalla sessualità.
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