mercoledì 26 agosto 2020

Introduzione a Lucano. XXVII parte del poema "Pharsalia".Libro V (1-231)

Oracolo di Delfi – Adyton
Introduzione a Lucano. XXVII parte del poema "Pharsalia".Libro V (1 - 231)

Argomento principale: il Parnaso e l’oracolo delfico. Lucano, Ovidio, Euripide.

Dunque  Fortuna miscens adversa secundis servavit duces pares (1 - 3) . Cesare e Pompeo erano alla pari. Cesare ha vinto in Spagna, il pompeiano Giuba in africa  Si era già in inverno.
I due consoli Cornelio Lentulo e Claudio Marcello e il Senato si radunano in Epiro - Peregrina  ac sordida sedes - Romanos cepit procĕres (9 - 10) una sede straniera e squallida accolse i primi cittadini di Roma. L’assemblea veneranda mostrò alla gente romana che non era il partito di Pompeo ma Pompeo era del partito.
Discorso del console pompeiano Lentulo in Epiro
Lentulo dunque parla sublimis e celsa sede alto da un seggio elevato, rivolgendosi al maestum coetum  (15 - 16). Il console rammenta ai senatori la loro stirpe e la dignità di loro tutti: nos esse senatum (22). Che vadano tra i ghiacci o  nella zona torrida la rerum summa nos sequetur, il sommo potere ci seguirà. Parole retoriche, vuote di sostanza e illusorie come sono spesso quelle proclamate ufficialmente dal potere.
Caesar habet maerentia tecta, tetti che piangono, vacuasque domos, case vuote, legesque silentis, leggi mute, clausa fora, fori chiusi. La Curia vede solo i senatori che in tempi normali erano stati scacciati. I cesariani Vulteio e Curione sono caduti, il primo in mare, il secondo Libyae squalentibus arvis (39). Dovete alzare le insegne, comandanti, e dare una spinta al destino: “Tollite signa, duces, fatorum impellite cursum” (41). Il console ricorda che il potere consolare dura un anno solo: “nostrum exhausto ius clauditur anno” (44). Ma il vostro potere non ha scadenza dunque: Magnum iubete esse - ducem (46 - 47).

Il senato accolse con acclamazioni gioiose questo nome et Magno fatum patriaeque suumque - imposuit (48 - 49) e mise sulle spalle di Pompeo Magno il destino della patria e il proprio. Vengono distribuiti i doni a diversi alleati tra cui a Rodi pelagi potens (50) alla inculta iuventus Taygeti, la rude gioventù spartana, famā veteres laudantur Athenae, la Focide riceve la libertà grazie al valore di Marsiglia[1].
 Ordinano che la Libia obbedisca a Giuba titolare dello scettro per decisione del senato - Libyamque iubent auctore senatu - sceptrifero parere Iubae (56 - 57).
Il senato ha il ruolo della mosca cocchiera.
A Tolomeo XIII che farà uccidere Pompeo viene consentito di cingere intorno ai capelli  il diadema di Alessandro. Eppure diverrà vergogna della Fortuna crimine degli dèi – Fortunae pudor, crimenque deorum (59)
Lucano anticipa il Magni iugulum lo sgozzamento di Pompeo.

L’oracolo delfico
 Appio Pulcro, proconsole in Grecia, Delphica fatidici resĕrat penetralia Phoebi (70)  che erano rimasti chiusi per molti anni  multosque obducta per annos.
Il monte Parnaso, a metà strada fra Oriente e Occidente, petit aethera gemino colle  (72) ed è mons Phoebo Bromioque sacer (73).
 In onore di questa potenza divina unificata -  numine mixto - le Baccanti Tebane ripetono le triennali feste delfiche.
Nelle Baccanti di Euripide, Tiresia profetizza a Penteo il fatto che Dioniso verrà cooptato e accolto nell’ombelico del mondo, l’oracolo delfico su cui svettano le due cime del Parnaso
Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche                                            
saltare con le fiaccole sull’altopiano a due cime
agitando e scagliando il bacchico ramo,
grande per l’Ellade. Via Penteo, da’ retta a me:
non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini”. (vv. 306 -   310).

Il potere non è potenza dunque - mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein -  come il sapere non è sapienza -  to; sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395)

Storia dell’oracolo delfico
Una delle due cime del Parnaso rimase al di sopra delle acque nel tempo del diluvio. Cirra era la cima di Apollo e Nisa quella di Dioniso (cfr. Pharsalia I, 64 - 65.
 Ovidio in Met. I, 316 ss. racconta che Deucalione sbarcò sulla vetta con la moglie da una piccola zattera - nam cetera texerat aequor (318).
Apollo con frecce ancora inesperte adhuc rudibus sagittis (Pharsalia, 4, 80) stese Pitone Pythona Explicuit  (80) vendicando la madre che era stata cacciata premeret cum viscera partus, quando il parto travagliava le viscere (79)
Era il tempo in cui Temide occupava quel regno e i tripodi.

Cfr. il prologo delle Eumenidi  (Eujmenivde~) di Eschilo (458)
Le Eumenidi sono le stesse Erinni che solo alla fine di questa ultima tragedia tragedia della trilogia, e dopo aspra lotta, diverranno, appunto, benevole.
La prima parte del dramma si svolge a Delfi. Nel Prologo  compare la Pizia sacerdotessa di Apollo,"profeta di Zeus"(v.19). La donna è una figura che impersona il sincretismo religioso cui Eschilo tende, quindi ella adora anche Gea, la Terra "che fu la prima profetessa"(v. 2) e Temide che nel Prometeo incatenato è la madre del Titano identificata con la terra[2], mentre nelle Eumenidi Temide è figlia della Terra cui succedette nell'oracolo (v. 3); poi fu la volta di Febe, un'altra figliola della Terra, che consegnò l'oracolo ad Apollo il quale prese così il nome di Febo quando arrivò "alle sedi del Parnaso"(v. 11).
La profetessa non trascura Bromio il quale “occupa il luogo da quando il dio si mise a capo della guerra delle Baccanti "(vv. 24 - 25).

Il culto della Pizia del resto non dimentica "Pallade Pronáia[3]" (v. 21) , né le ninfe della "cava rupe Coricia, amica degli uccelli"(v. 23). Insomma la toponomastica definisce e consacra il luogo che verrà rappresentato da tanta parte della poesia europea.
 Ovidio nelle Metamorfosi (I, vv. 316 - 317) fa apparire la montagna sacra dalle due cime in questi termini:"mons ibi verticibus petit arduus astra duobus,/nomine Parnasus, superantque cacumina nubes ".
Dante all'inizio del Paradiso  dovrà invocare "amendue[4]" (I, v. 17) i gioghi "di Parnaso" per entrare "nell'aringo rimaso"(v.18).

Torniamo a Lucano: Apollo divenne profeta - vates ibi factus Apollo - come vide che le vaste spaccature della terra -  vastos telluris hiatus - (82) espiravano una fede divina e il suolo esalava venti loquaci -
Quis latet hic superum? 86.
Cfr. Carducci. “religïoso è questo orror:
la dea Roma qui dorme” (Dinanzi alle Terme di Caracalla, Odi barbare, 1877)

Quel dio, quella potenza divina quando viene assorbita dal petto della vergine Pizia, pizzicando l’anima umana la fa suonare numen –humanam feriens animam sonat (97 - 98) e scioglie la bocca della profetessa oraque vatis - solvit 98 - 99
Così Tifeo sepolto sotto l’eterna mole dell’isola Inarĭme  (Pithecusa, Ischia)  fremendo fa vaporare gli scogli della Campania, come la vetta sicula ondeggia –Siculus undat apex - quando le fiamme premono l’Etna. Flammis urguentibus Aetnam - 99
Il dio delfico non si nega a nessuno però è l’unico che si sottrae alla peste dell’umano furore - numen ab humani solum se labe furoris - vindicat 103 - 104   
Questa divinità vieta di scegliere optare vetat (il destino è fissato) però è iustis benignus (106) ha dato spesso le sedi a quelli che cambiavano intere città come ai Tiri (Cartagine). Gli Ateniesi poterono addirittura emigrare sulle navi, ut Salaminiacum meminit mare (109) e dissolse l’aria infetta di Tebe -  resolvit - aera tabificum (110 - 111)
Le nostre generazioni mancano di questo dono, il più grande, dato che la santa sede delfica si è fatta silenziosa quod Delphica sedes - siluit, postquam reges timuere futura - et superos vetuere loqui (113 - 115), da quando i re hanno temuto il futuro e hanno vietato agli dèi di parlare.

Già il coro di vecchi Tebani nell’Edipo re di Sofocle (vv. 907 - 910)  denuncia e lamenta il tramonto degli dèi:"Infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramontano gli dei".

Le sacerdotesse di Cirra non si affliggono per il divieto di parlare “nec voce negata - Cirrhaeae maerent vates” (Pharsalia, V, 114 - 115), anzi godono di questa chiusura del tempio. Infatti quando il dio entra nel petto la pena o la ricompensa di avere accolto il dio è la morte immatura -  numinis aut poena est mors immatura recepti - aut pretium (117 - 118) siccome l’umana compagine compages humana vacilla per l’incitamento e l’ondata del furore e le spinte degli dèi scuotono le anime frali.
Appio Claudio Pulcro pompeiano e proconsole in Grecia, scrutatore del destino di Esperia, rimette in moto l’oracolo. Il sacerdote riceve l’ordine di afferrare la sacerdotessa Femonoe che vagabondava, senza avere nulla da preparare - curisque vacantem - 126 intorno alle acque di Castalia e ai recessi dei boschi, e la costrinse a forzare le porte del tempio.
Femonoe cerca di prendere tempo adducendo vari motivi con inutile imbroglio cassa fraude (130). Il Parnaso con apertura muta ha taciuto - muto Parnasos hiatu - conticuit (131 - 132) o perché il dio è andato altrove, o perché quando Pitone bruciò per le torce dei barbari (279 a. C.) i Celti razziarono la regione e le ceneri ostruirono la strada di Febo, o perché bastano le profezie della Sibilla affidate ai Romani “seu Pean solitus templis arcere nocentes - ora quibus solvat , nostro non  invenit aevo” 139 - 140) solito tenere lontani dal santuario i delinquenti,  non trova nel nostro tempo quelli per i quali possa sciogliere la lingua.
Cfr. Virgilio Eneide (254 - 261):
Ma ecco sulle soglie  del primo sole che nasce
sotto i piedi muggire il suolo e le cime delle selve cominciarono
a muoversi, e parvero cagne ululare nell'ombra
al sopraggiungere della dea. "Lontano, o state lontano profani" Procul o procul este, profani,
O dèi che avete l'impero delle anime, e ombre silenziose
grida la sacerdotessa " e allontanatevi da tutto il bosco sacro;
e tu attacca la strada e strappa la spada dal fodero:
ora c’è bisogno di coraggio, Enea, ora di un cuore saldo".

Ma si vedeva che parlava per paura virginei patuere doli , era chiaro l’inganno della fanciulla (Pharsalia, V, 141), e la stessa paura dava credibilità agli dèi.
Il sacerdote le cinge i capelli sparsi sulle spalle con una benda bianca candida infula e un ramo di alloro focese -  Phocaica lauro (144). Quindi la spinge nella caverna della profezia. Ma lei per paura, pavens, non entra nel penetrale del luogo sacro. Sicché si ferma prima in parte, si finge invasata e ficta verba refert (149). Non c’erano i segni della presenza del dio . Appio se ne accorge e si infuria: “Et nobis meritas dabis, impia, poenas - et superis, quos fingis” 158 - 159) nisi mergeris antris - deque orbis trepidi tanto consulta tumultu - desinis ipsa loqui - (159 - 160) a meno che ti immergi nell’antro e smetti di parlare tu sola dopo essere stata consultata su uno sconvolgimento tanto grande del mondo impaurito (cfr. il virus e chi lo nega)
La ragazza si piegò e Peana la invase: bacchatur demens aliena per antrum colla ferens (169 - 170), delira forsennata portando per l’antro il collo di cui non ha il controllo. Tu Febo non fai uso della sola frusta e di pungoli - Nec verbere solo –uteris et stimulis - flammasque in viscera mergis e immergi fiamme nelle sue viscere: accipit et frenos, riceve anche dei freni la giovane e non può rivelare tutto quello che sa. Venit aetas omnis in unam –congeriem - le viene addosso tutto il passato in un solo ammasso,  miserumque premunt tot saecula pectus (177 - 178) tanti secoli schiacciano il povero petto,  atque omne futurum nititur in lucem (179 - 180) e tutto il futuro si sforza di venire alla luce.

Come la Sibilla cumana nell’antro euboico[5] Talis in euboico vates Cumana recessu (Pharsalia, V, 183) che estrasse i libri sibillini per i Romani, sic plena laborat - Phemonoe Phoebo (186 - 187) così fatica Femonoe piena di Febo. Deve trovare il destino di Appio inter fata tam magna latentem (189) nascosto fra tanto grandi destini.

Spumea tum primum rabies vaesana per ora - effluit et gemitus et anhelo clara meatu - murmura (190 - 191) una rabbia schiumante comincia a uscire colando attraverso la bocca fuori di sé, e gemiti e mormorìi sonori dalla gola ansimante. Quindi la profetessa pronuncia parole che preannunciano al romano quietem, cioè, enigmaticamente, la morte.  
   Cetera suppressit faucesque obstruxit Apollo (197), il resto Apollo nascose e chiuse la gola.
Apollo è potens veri Paean, (199) signore della verità, ma non la svela forse perché la Fortuna possa portarla a compimento “ut perăgat Fortuna, taces?” 208. quindi Febo fa morire la sua profetessa.
Mentre Femonoe torna alla luce del sole - mediae venere tenebrae -  220 - le tenebre le vennero incontro. Immisit Stygiam Paean in viscera Lethen (221) quae raperet secreta deum (222). Allora la verità cadde dal suo petto e il futuro tornò nel tripode di Febo e appena rifatta donna, lei cadde morta - vixque refecta cadit - 224
Appio ingannato dalla predizione ambigua –ambiguis frustratum sortibus - 223 non si spaventa, anzi raptus vana spe, rapito da vana speranza si preparava a conquistare il regno di Calcide.
Ma è demens poiché nessun dio excepta morte (230) può tenerci lontana dai mali del mondo, a partire dalla guerra. Verrà sepolto in Eubea, in una tomba memorabile conditus memorando busto 231


Pesaro, 26 agosto 2020, ore 11.

 giovanni ghiselli


p.s.
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[1] Marsiglia (gr. Μασσαλα, lat. Massilĭa) fu fondata intorno al 600 a.C. da coloni provenienti da Focea, città ionica d’Asia.
[2] Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi. Prometeo che  è una creatura della Magna mater,  la divinità femminile mediterranea, racconta, poiché "l racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore "(v. 197)  che la madre gli aveva predetto il futuro.
[3] La cui statua cioé si trova davanti al tempio
[4]Nisa, sede delle Muse, e Cirra sacro ad Apollo.
[5] Cuma era una colonia fondata da emigrati da Calcide nell’Eubea nell’VIII secolo a. C., cfr. Eneide VI, 2: et tandem euboicis Cumarum adlabitur oris

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