Oracolo di Delfi – Adyton |
Argomento
principale: il Parnaso e l’oracolo delfico. Lucano, Ovidio,
Euripide.
Dunque Fortuna
miscens adversa secundis servavit duces pares (1
- 3) . Cesare e Pompeo erano alla pari. Cesare ha vinto in Spagna, il
pompeiano Giuba in africa Si era già in inverno.
I
due consoli Cornelio Lentulo e Claudio Marcello e il Senato si
radunano in Epiro - Peregrina ac sordida sedes -
Romanos cepit procĕres (9 - 10) una sede straniera e
squallida accolse i primi cittadini di Roma. L’assemblea veneranda
mostrò alla gente romana che non era il partito di Pompeo ma Pompeo
era del partito.
Discorso
del console pompeiano Lentulo in Epiro
Lentulo
dunque parla sublimis e celsa sede alto da un seggio
elevato, rivolgendosi al maestum coetum (15 -
16). Il console rammenta ai senatori la loro stirpe e la dignità di
loro tutti: nos esse senatum (22). Che vadano tra i
ghiacci o nella zona torrida la rerum summa nos
sequetur, il sommo potere ci seguirà. Parole retoriche, vuote di
sostanza e illusorie come sono spesso quelle proclamate ufficialmente
dal potere.
Caesar
habet maerentia tecta, tetti che piangono, vacuasque
domos, case vuote, legesque silentis, leggi
mute, clausa fora, fori chiusi. La Curia vede solo i
senatori che in tempi normali erano stati scacciati. I cesariani
Vulteio e Curione sono caduti, il primo in mare, il secondo Libyae
squalentibus arvis (39). Dovete alzare le insegne,
comandanti, e dare una spinta al destino: “Tollite signa, duces,
fatorum impellite cursum” (41). Il console ricorda che il
potere consolare dura un anno solo: “nostrum exhausto ius
clauditur anno” (44). Ma il vostro potere non ha scadenza
dunque: Magnum iubete esse - ducem (46 - 47).
Il
senato accolse con acclamazioni gioiose questo nome et
Magno fatum patriaeque suumque - imposuit (48
- 49) e mise sulle spalle di Pompeo Magno il destino della patria e
il proprio. Vengono distribuiti i doni a diversi alleati tra cui a
Rodi pelagi
potens (50)
alla inculta
iuventus Taygeti, la
rude gioventù spartana, famā
veteres laudantur Athenae,
la Focide riceve la libertà grazie al valore di Marsiglia[1].
Ordinano
che la Libia obbedisca a Giuba titolare dello scettro per decisione
del senato - Libyamque
iubent auctore senatu - sceptrifero parere Iubae (56
- 57).
Il
senato ha il ruolo della mosca cocchiera.
A
Tolomeo XIII che farà uccidere Pompeo viene consentito di cingere
intorno ai capelli il diadema di Alessandro. Eppure
diverrà vergogna della Fortuna crimine degli dèi – Fortunae
pudor, crimenque deorum (59)
Lucano
anticipa il Magni iugulum lo sgozzamento di Pompeo.
L’oracolo
delfico
Appio
Pulcro, proconsole in Grecia, Delphica
fatidici resĕrat penetralia Phoebi (70) che
erano rimasti chiusi per molti anni multosque
obducta per annos.
Il
monte Parnaso, a metà strada fra Oriente e Occidente, petit
aethera gemino colle (72) ed è mons Phoebo
Bromioque sacer (73).
In
onore di questa potenza divina unificata - numine
mixto
- le Baccanti Tebane ripetono le triennali feste delfiche.
Nelle Baccanti di
Euripide, Tiresia profetizza a Penteo il fatto che Dioniso verrà
cooptato e accolto nell’ombelico del mondo, l’oracolo delfico su
cui svettano le due cime del Parnaso
“Un
giorno lo vedrai anche sulle rupi
Delfiche
saltare
con le fiaccole sull’altopiano a due cime
agitando
e scagliando il bacchico ramo,
grande
per l’Ellade. Via Penteo, da’ retta a me:
non
presumere che il potere abbia potenza sugli uomini”. (vv. 306
- 310).
Il
potere non è potenza dunque - mh;
to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein - come
il sapere non è sapienza - to;
sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395)
Storia
dell’oracolo delfico
Una
delle due cime del Parnaso rimase al di sopra delle acque nel tempo
del diluvio. Cirra era la cima di Apollo e Nisa quella di Dioniso
(cfr. Pharsalia I, 64 - 65.
Ovidio
in Met. I,
316 ss. racconta che Deucalione sbarcò sulla vetta con la moglie da
una piccola zattera - nam
cetera texerat aequor (318).
Apollo
con frecce ancora inesperte adhuc rudibus
sagittis (Pharsalia, 4, 80) stese Pitone Pythona
Explicuit (80) vendicando la madre che era stata
cacciata premeret cum viscera partus, quando
il parto travagliava le viscere (79)
Era
il tempo in cui Temide occupava quel regno e i tripodi.
Cfr.
il prologo delle Eumenidi (Eujmenivde~) di
Eschilo (458)
Le
Eumenidi sono le stesse Erinni che solo alla fine di questa ultima
tragedia tragedia della trilogia, e dopo aspra lotta, diverranno,
appunto, benevole.
La
prima parte del dramma si svolge a Delfi. Nel Prologo compare
la Pizia sacerdotessa di Apollo,"profeta di Zeus"(v.19). La
donna è una figura che impersona il sincretismo religioso cui
Eschilo tende, quindi ella adora anche Gea, la Terra "che fu la
prima profetessa"(v. 2) e Temide che nel Prometeo
incatenato è
la madre del Titano identificata con la terra[2],
mentre nelle Eumenidi Temide
è figlia della Terra cui succedette nell'oracolo (v. 3); poi fu la
volta di Febe, un'altra figliola della Terra, che consegnò l'oracolo
ad Apollo il quale prese così il nome di Febo quando arrivò "alle
sedi del Parnaso"(v. 11).
La
profetessa non trascura Bromio il quale “occupa il luogo da quando
il dio si mise a capo della guerra delle Baccanti "(vv. 24
- 25).
Il
culto della Pizia del resto non dimentica "Pallade Pronáia[3]"
(v. 21) , né le ninfe della "cava rupe Coricia, amica degli
uccelli"(v. 23). Insomma la toponomastica definisce e consacra
il luogo che verrà rappresentato da tanta parte della poesia
europea.
Ovidio
nelle Metamorfosi (I,
vv. 316 - 317) fa apparire la montagna sacra dalle due cime in questi
termini:"mons
ibi verticibus petit arduus astra duobus,/nomine Parnasus,
superantque cacumina nubes ".
Dante
all'inizio del Paradiso dovrà
invocare "amendue[4]"
(I, v. 17) i gioghi "di Parnaso" per entrare "nell'aringo
rimaso"(v.18).
Torniamo
a Lucano: Apollo divenne profeta - vates ibi factus Apollo -
come vide che le vaste spaccature della terra - vastos
telluris hiatus - (82) espiravano una fede divina e il suolo
esalava venti loquaci -
Quis
latet hic superum? 86.
Cfr.
Carducci. “religïoso è questo orror:
la
dea Roma qui dorme” (Dinanzi alle Terme di Caracalla, Odi
barbare, 1877)
Quel
dio, quella potenza divina quando viene assorbita dal petto della
vergine Pizia, pizzicando l’anima umana la fa
suonare numen –humanam feriens animam sonat (97
- 98) e scioglie la bocca della profetessa oraque vatis -
solvit 98 - 99
Così
Tifeo sepolto sotto l’eterna mole dell’isola Inarĭme (Pithecusa,
Ischia) fremendo fa vaporare gli scogli della Campania,
come la vetta sicula ondeggia –Siculus undat apex - quando
le fiamme premono l’Etna. Flammis urguentibus Aetnam -
99
Il
dio delfico non si nega a nessuno però è l’unico che si sottrae
alla peste dell’umano furore - numen ab humani solum se labe
furoris - vindicat 103 - 104
Questa
divinità vieta di scegliere optare vetat (il
destino è fissato) però è iustis benignus (106)
ha dato spesso le sedi a quelli che cambiavano intere città come ai
Tiri (Cartagine). Gli Ateniesi poterono addirittura emigrare sulle
navi, ut Salaminiacum meminit mare (109) e dissolse
l’aria infetta di Tebe - resolvit - aera tabificum (110
- 111)
Le
nostre generazioni mancano di questo dono, il più grande, dato che
la santa sede delfica si è fatta silenziosa quod Delphica
sedes - siluit, postquam reges timuere futura - et superos vetuere
loqui (113 - 115), da quando i re hanno temuto il futuro e
hanno vietato agli dèi di parlare.
Già
il coro di vecchi Tebani nell’Edipo re di Sofocle (vv.
907 - 910) denuncia e lamenta il tramonto degli
dèi:"Infatti già estirpano/gli
antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende
per gli onori/e tramontano gli dei".
Le
sacerdotesse di Cirra non si affliggono per il divieto di parlare
“nec voce negata - Cirrhaeae maerent vates” (Pharsalia,
V, 114 - 115), anzi godono di questa chiusura del tempio. Infatti
quando il dio entra nel petto la pena o la ricompensa di avere
accolto il dio è la morte immatura - numinis aut poena est
mors immatura recepti - aut pretium (117 - 118) siccome
l’umana compagine compages humana vacilla per
l’incitamento e l’ondata del furore e le spinte degli dèi
scuotono le anime frali.
Appio
Claudio Pulcro pompeiano e proconsole in Grecia, scrutatore del
destino di Esperia, rimette in moto l’oracolo. Il sacerdote riceve
l’ordine di afferrare la sacerdotessa Femonoe che vagabondava,
senza avere nulla da preparare - curisque vacantem - 126
intorno alle acque di Castalia e ai recessi dei boschi, e la
costrinse a forzare le porte del tempio.
Femonoe
cerca di prendere tempo adducendo vari motivi con inutile
imbroglio cassa fraude (130). Il Parnaso con
apertura muta ha taciuto - muto Parnasos hiatu - conticuit (131
- 132) o perché il dio è andato altrove, o perché quando Pitone
bruciò per le torce dei barbari (279 a. C.) i Celti razziarono la
regione e le ceneri ostruirono la strada di Febo, o perché bastano
le profezie della Sibilla affidate ai Romani “seu Pean solitus
templis arcere nocentes - ora quibus solvat , nostro non invenit
aevo” 139 - 140) solito tenere lontani dal santuario i
delinquenti, non trova nel nostro tempo quelli per i quali
possa sciogliere la lingua.
Cfr.
Virgilio Eneide (254
- 261):
Ma
ecco sulle soglie del primo sole che nasce
sotto
i piedi muggire il suolo e le cime delle selve cominciarono
a
muoversi, e parvero cagne ululare nell'ombra
al
sopraggiungere della dea. "Lontano, o state lontano
profani" Procul o procul este, profani,
O
dèi che avete l'impero delle anime, e ombre silenziose
grida
la sacerdotessa " e allontanatevi da tutto il bosco sacro;
e
tu attacca la strada e strappa la spada dal fodero:
ora
c’è bisogno di coraggio, Enea, ora di un cuore saldo".
Ma
si vedeva che parlava per paura virginei patuere doli ,
era chiaro l’inganno della fanciulla (Pharsalia, V, 141), e
la stessa paura dava credibilità agli dèi.
Il
sacerdote le cinge i capelli sparsi sulle spalle con una benda
bianca candida infula e un ramo di alloro focese -
Phocaica lauro (144). Quindi la spinge nella
caverna della profezia. Ma lei per paura, pavens, non
entra nel penetrale del luogo sacro. Sicché si
ferma prima in parte, si finge invasata e ficta
verba refert (149). Non c’erano i segni della presenza del
dio . Appio se ne accorge e si infuria: “Et nobis meritas dabis,
impia, poenas - et superis, quos fingis” 158 - 159) nisi
mergeris antris - deque orbis trepidi tanto consulta tumultu -
desinis ipsa loqui - (159 - 160) a meno che ti immergi nell’antro
e smetti di parlare tu sola dopo essere stata consultata su uno
sconvolgimento tanto grande del mondo impaurito (cfr. il virus e chi
lo nega)
La
ragazza si piegò e Peana la invase: bacchatur demens aliena
per antrum colla ferens (169 - 170), delira forsennata
portando per l’antro il collo di cui non ha il controllo. Tu Febo
non fai uso della sola frusta e di pungoli - Nec verbere solo
–uteris et stimulis - flammasque in viscera mergis e
immergi fiamme nelle sue viscere: accipit et frenos,
riceve anche dei freni la giovane e non può rivelare tutto quello
che sa. Venit aetas omnis in unam –congeriem - le viene
addosso tutto il passato in un solo ammasso, miserumque
premunt tot saecula pectus (177 - 178) tanti secoli
schiacciano il povero petto, atque omne futurum nititur
in lucem (179 - 180) e tutto il futuro si sforza di venire
alla luce.
Come
la Sibilla cumana nell’antro euboico[5] Talis
in euboico vates Cumana recessu (Pharsalia,
V, 183) che estrasse i libri sibillini per i Romani, sic
plena laborat - Phemonoe Phoebo (186
- 187) così fatica Femonoe piena di Febo. Deve trovare il destino di
Appio inter
fata tam magna latentem (189)
nascosto fra tanto grandi destini.
Spumea
tum primum rabies vaesana per ora - effluit et gemitus et anhelo
clara meatu - murmura (190 - 191) una rabbia schiumante
comincia a uscire colando attraverso la bocca fuori di sé, e gemiti
e mormorìi sonori dalla gola ansimante. Quindi la profetessa
pronuncia parole che preannunciano al romano quietem,
cioè, enigmaticamente, la morte.
Cetera
suppressit faucesque obstruxit Apollo (197),
il resto Apollo nascose e chiuse la gola.
Apollo
è potens veri Paean, (199) signore della verità, ma non
la svela forse perché la Fortuna possa portarla a compimento “ut
perăgat Fortuna, taces?” 208. quindi Febo fa morire la sua
profetessa.
Mentre
Femonoe torna alla luce del sole - mediae venere tenebrae - 220
- le tenebre le vennero incontro. Immisit Stygiam Paean in
viscera Lethen (221) quae raperet secreta
deum (222). Allora la verità cadde dal suo petto e il
futuro tornò nel tripode di Febo e appena rifatta donna, lei cadde
morta - vixque refecta cadit - 224
Appio
ingannato dalla predizione ambigua –ambiguis frustratum sortibus
- 223 non si spaventa, anzi raptus vana spe, rapito da
vana speranza si preparava a conquistare il regno di Calcide.
Ma
è demens poiché nessun dio excepta
morte (230) può tenerci lontana dai mali del mondo, a
partire dalla guerra. Verrà sepolto in Eubea, in una tomba
memorabile conditus memorando busto 231
Pesaro,
26 agosto 2020, ore 11.
giovanni
ghiselli
p.s.
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[1] Marsiglia
(gr. Μασσαλία,
lat. Massilĭa) fu fondata intorno al 600 a.C. da coloni provenienti
da Focea, città ionica d’Asia.
[2] Qevmi"
- kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"(
vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti
nomi. Prometeo che è una creatura della Magna
mater, la
divinità femminile mediterranea, racconta, poiché "l racconto
è dolore, ma anche il silenzio è dolore "(v. 197) che
la madre gli aveva predetto il futuro.
[5] Cuma
era una colonia fondata da emigrati da Calcide nell’Eubea
nell’VIII secolo a. C., cfr. Eneide VI,
2: et
tandem euboicis Cumarum adlabitur oris
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