arte aruspicina etrusca: Fegato di Piacenza in bronzo |
Argomenti
Dal verso 484
alla fine del I libro
Paura e fuga da Roma. Prodigi inquietanti. Viene fatto venire da Lucca l’aruspice
etrusco Arrunte. Il sacrificio non gradito agli dèi. Arrunte dissimula.
Nigidio Figulo invece svela l’arcano.
A Roma la
Fama diffonde anche notizie false e comunque tutte spaventose.
Dicono che
le truppe ausiliare galliche hanno ricevuto l’ordine di distruggere Roma. Sic
quisque pavendo - dat vires famae (Pharsalia, 484 - 485).
Non solo il
popolo ma anche la Curia ha paura. Il Senato in fuga affida al console Marcello
gli odiosi decreti (coscrizione dei cittadini, sequestro del tesoro di Stato e
degli ex voto, Cassio Dione, 41, 63; 7, 1).
La folla
impazzita corre attraverso la città. Fuggono come quando pilota e marinai si
gettano da una nave che il turbidus Auster colpisce e il legno
scricchiola. Desilit in fluctus deserta puppe magister - navitǎque (501
- 502). Sic urbe relicta - in bellum fugitur, è per andare incontro alla
guerra che si fugge.
Ruit
irrevocabile vulgus (Pharsalia,
I, 509), la folla si precipita non richiamabile. E’ una inopinata iunctura, inaspettata.
Ci si
aspetta che l’aggettivo venga riferito al tempo come in Lucrezio De
rerum natura, I, 468: “irrevocabilis abstulerit iam praeterita aetas” l’oggetto
sono le generazioni umane (saecla hominum, 467) già portate via
dall’irrevocabile tempo passato.
Dunque ignavae
manus, forze militari vigliacche abbandonano Roma.
In terre
lontane i soldati romani si difendono exiguo vallo con
una sottile palizzata e un subitus agger un terrapieno
improvvisato con zolle di terra fa loro dormire sonni tranquilli dentro le
tende, mentre “tu tantum audito bellorum nomine, Roma.” desereris (518
- 519), soltanto al nome di guerra vieni abbandonata.
Pompeio
fugiente, timent (521).
Si videro
anche prodigi sinistramente ominosi come “fulgura fallaci micuerunt
crebra sereno” (530), oppure la luna terrarum subitā percussa
expalluit umbrā (539) colpita dall’ombra improvvisa della terra.
Il
sole caliginoso avvolse di tenebre il mondo.
La fiamma
che mostra la conclusione delle Ferie latine scinditur in partis
geminoque cacumine surgit - thebanos imitata rogos (551 - 552).
Inoltre le Alpi
si scrollarono di dosso dalle vette oscillanti la neve antica: “veteremque
iugis nutantibus Alpes - discussere nivem (553 - 554). Il mare invase
Gibilterra, dirasque volucres - foedasse diem accipimus (559),
uccelli di malaugurio sporcarono la luce del giorno “crinemque rotantes - sanguineum
populis ulularunt tristia Galli” (566 - 567) I Galli di Cibele ruotando il
crine sanguigno gridarono al popolo parole di auspicio sinistro
Cfr.
l’episodio della Magna Mater in Lucrezio (De rerum natura, II, 600 ss.)
Ingens
urbem cingebat Erinys (572) - excutiens pronam flagranti vertice
pinum - (57), faceva il giro della città un’Erinni gigantesca
scuotendo una fiaccola di pino rovesciata con la cima che bruciava, stridentisque
comas e pure le chiome che sibilavano.
Come quella
che spinse Agave contro Penteo, o Licurgo contro Dioniso o come Megera che fece
impazzire Ercole (in Seneca Hercules Furens 982; nell’Eracle di
Euripide è Lyssa)
Apparvero
anche gli spettri di Mario e di Silla.
Haec
propter, placuit Tuscos, de more vetusto - acciri vates” (584 - 585), A causa di questi
presagi si decise, secondo l’uso antico, di far venire gli indovini etruschi.
Il più
vecchio maximus aevo “Arruns incoluit desertae moenia Lucae”
586 abitava le mura di Lucca abbandonata
Sapeva
interpretare bene i movimenti dei fulmini, le vene calde delle viscere degli
animali et monitus errantis in aere pinnae (588) e i segni
dell’ala che erra nel cielo.
Cfr. Ammiano
Marcellino Gli auspici si traggono dagli uccelli non perché loro
conoscano il futuro sed volatus avium dirĭgit deus (21,
1, 9)
Nell’Inferno di Dante (XX, 46 - 51) Arrunte è vicino a Tiresia (“Arrunte è quei
ch’al ventre li s’atterga”. Cerchio VIII, bolgia IV con gli indovini.
Egli “nei
monti di Luni (…) ebbe tra’ bianchi marmi la spelonca - per sua dimora, onde a
guardar le stelle - e ‘l mar non li era la veduta tronca”.
Per prima
cosa Arrunte ordina che siano tolti di mezzo i mostri nati senza seme da una
natura in discordia con se stessa, monstra iubet primum quae nullo semine
discors - protulerat natura (590).
Poi c’è una
processione di sacerdoti con l’augure esperto nell’osservare gli uccelli di
sinistra “et doctus volucres augur servare sinistras”, 601 (di buon
augurio per i Romani, di cattivo augurio per i Greci),
poi i Salii
che portano gli scudi sul collo lieto - “et Salius laeto portans ancilia
collo” (603) e i Flamini con il berretto a punta.
Arrunte
seppellisce maesto cum murmure le cose colpite dal fulmine.
Poi sacrificò un toro la maxima
victima, ma questa non riuscì gradita agli dèi e dalla ferita
slabbrata uscì, invece di sangue rosso, del pus nero - “nec cruor emicuit
solitus, sed vulnere laxo - diffusum rutilo nigrum pro sanguine virus”. Palluit
attonitus Arruns e nelle viscere strappate cercò quale fosse l’ira
degli dèi: “atque iram superum raptis quaesivit in extis” (617).
Cor latet, il
cuore non si vede, le viscere mandano fuori sangue corrotto, il fegato presenta
due lobi.
Simili
risultati del sacrificio nell’Oedipus di Seneca: "cor marcet
aegrum penitus, ac mersum latet,/liventque
venae; magna pars fibris abest;/et felle nigro tabidum spumat iecur"
(vv. 356 - 358), il cuore malato è marcio profondamente, e rimane nascosto
colato a fondo, le vene sono livide; alle fibre manca grande parte; e il fegato
schiuma putrefatto in un fiele nero.
Sono tutti simboli: il cuore marcio che si nasconde
allude ai sentimenti malati e obbrobriosi della famiglia dei Labdacidi, il
fegato[1] putrefatto alle passioni pervertite
e letali, le fibre carenti alla vita caduta a terra e incapace di risollevarsi,
le vene livide all'invidia delle corti.
Arrunte capì
che il destino assegnava grandi mali.
L’Etrusco
però prega che non ci sia verità in quei segni e che Tagete il fondatore
dell’arte si sia inventato tutto et fibris sit nulla fides e Tages
conditor artis finxerit ista (637).
Il Tuscus dunque
profetava aggirando i presagi e coprendoli con l’ambiguità tegens
ambage (638).
Ma Nigidio
Figulo[2] disse:
se è il Destino a muovere le stelle, a Roma e al genere umano si sta preparando
la rovina.
“Imminet
armorum rabies, ferrique potestas
Confundet
ius omne manu, scelerique nefando
Nomen erit
virtus multosque exībit in annos
Hic
furor. Et superos quid prodest poscere finem?
Cum domino
pax ista venit (666 - 670),
a che serve chiederne la fine agli dei? questa pace giunge insieme a un padrone
Roma rimarrà
libera solo per il tempo della guerra civile civili tantum iam libera
bello. Poi ci sarà la dittatura.
Cfr. Tacito
: omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit (Hist
.I, 1), fu utile alla pace.
Chi vuole la
libertà deve affrontarne le battaglie, chi preferisce la pace deve accettarne
la servitù.
Tacito
rifiuta le res novae e i molitores rerum novarum,
i macchinatori del disordine, egli è il cittadino romano “che vuole in Roma la
pace per portare la guerra nel mondo” (Tacito di Concetto Marchesi,
p. 119)
Tacito del
resto denuncia l’asservimento della società urbana: “At Romae ruere in
servitium consules, patres, eques, Quanto quis inlustrior, tanto magis falsi et
festinantes” (Ann. I, 7)
Una
donna corre invasata per l’Urbe rivelando urguentem pectora Phoebum,
Febo che preme il suo petto (678). La donna antivede non vanamente la storia
fino a Filippi. Le appare Pompeo che giace deformis truncus fluminea
harena, tronco deforme sulla rena del fiume, La guerra civile continuerà in
senato con l’assassinio di Cesare. Poi riprenderà fino a Filippi.
Fine primo
libro
giovanni
ghiselli. Pesaro 6 agosto 2020 ore 17, 40
p. s.
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[1] Gli aruspices,
giunti in un primo tempo dall’Etruria, erano specializzati a
leggere il futuro nel fegato delle vittime.
[2] Nato in una famiglia plebea,
si suppone che il cognomen Figulus ("vasaio") derivi
dalla sua dimostrazione della rotazione della Terra su se stessa
(similmente alla ruota dei vasai); in uno scolio alla Farsaglia di Lucano è riferito che Nigidio ebbe il
soprannome di "Figulo" ("vasaio") perché «regressus a
Graecia dixit se didicisse orbem ad celeritatem rotae figuli torqueri»
("ritornato dalla Grecia disse che aveva imparato che la Terra gira con la
rapidità del tornio del vasaio"). Fu forse tribuno della plebe nel 59 a.C. e pretore nel 58 a.C. Fu
amico di Marco Tullio Cicerone, che ci informa di
una legazione di
Nigidio in Asia Minore nel 52 a.C. Durante
la guerra civile tra Cesare e Pompeo,
si schierò in favore di quest'ultimo. Costretto all'esilio da Gaio Giulio Cesare nel 46 a.C.,
si appellò contro il provvedimento col patrocinio di Cicerone. Nigidio morì
pochi mesi dopo, nel 45 a.C. (come ci ricorda Svetonio).
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