Argomento
Cesare
prepara l’esercito all’attacco
Quindi
il ductor impiger mette in marcia l’esercito già nella
notte minax invadit Arimīnum .
Mentre si fa
giorno però maestam tenuerunt nubila lucem (I, 235), le nuvole
rattristarono la luce del sole.
La negazione della luce.
Leggiamo i primi cinque versi dell’Oedipus di Seneca:"Iam
nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar,
/lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas
domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (vv. 1 - 5),
già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta
rattristato da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma
luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte
ha compiuto la farà vedere il giorno.
Il sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce
afflitta (lumen triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica)
significa il capovolgimento della natura. La luce che vivifica e rallegra è
capovolta a fiaccola mortuaria che mette in mostra una strage.
Quindi stridor
lituum lo stridore delle trombe ricurve clangorque tubarum e
il clangore di quelle diritte e il raucum cornu emisero
insieme squilli non pii non pia classica. I Riminesi si
preparano a combattere ma prendono scudi disfatti, giavellotti dalla punta
piegata, “et scabros nigrae morsu robiginis enses” 243) spade ruvide per
il morso della ruggine nera.
Lamentano la
loro posizione di confine e il dovere Latii claustra tueri (253)
custodire la serratuta del Lazio. Hāc est iter bellis, di qui passa
la strada per la guerra. Ma non osavano palesare la paura, nello stesso modo
rimangono silenziosi i campi volǔcres cum bruma coercet (259)
quando la bruma chiude la gola agli uccelli.
Cfr.
Eschilo, Agamennone: “ceimw'na dj eij levgoi ti"
oijwnoktovnon (563),
e se qualcuno dicesse dell’inverno che uccide gli uccelli.
La fortuna
fa apparire giusti i movimenti di Cesare: il Senato con il senatus consultum
ultimum del 7 dicembre del 50, agitando il fantasma dei Gracchi, aveva
cacciato da Roma divisa in due i tribuni Marco Antonio e Cassio Longino.
Curione lingua
venali, dall’oratoria che si vende[1],
li porta da Cesare. Quindi consiglia al duce “tolle moras semper nocuit
differre paratis” (281), rimandare ha sempre arrecato danno a chi è pronto.
Dante
lo mette tra i seminatori di discordia (cerchio VIII, bolgia IX) “Questi,
scacciato, il dubitar sommerse in Cesare /affermando che ’l fornito sempre con
danno l’attender sofferse” (Inferno 28, 97 - 99). Più
sintetico (e bravo) Lucano
A Roma non
ti aspetta il trionfo dice Curione: livor edax tibi cuncta negat (288),
il livore ingordo ti nega tutto. Partiri non potes orbem - , solus
habere potes (290 - 291)
Cesare ne
ricevette incitamento come il destriero che a Olimpia sente la folla che
acclama.
Discorso di Cesare
Il duce
radunò l’esercito, quindi tumultum “composuit vultu dextraque silentia
iussit” 298 e disse “bellorum socii, qui mille pericula Martis - mecum,
ait, experti, decimo iam vincitis anno” (299 - 00), sono già dieci anni che
vinciamo insieme.
Cfr.
Dante Inferno XXVI, 112 - 113: o frati, dissi, che per cento
milia - perigli siete giunti all’occidente”.
A Roma ci
danno la caccia. Terra marique - iussus Caesar agi (306 - 307)
si è ordinato di dare la caccia a Cesare.
Veniat longa
dux pace solutus - Pompeo sfatto
da una lunga pace. milite cum subito, con soldati
raccogliticci, Marcellusque loquax et nomina vana Catones (313),
il chiacchierone Marcello e i nomi inconsistenti dei Catoni.
I fautori di
Pompeo sono extremi empti clientes dei clienti di
infimo grado sociale, comprati. Pompeo intimidiva i giudici con i soldati.
Quando
Milone (nel 52) era accusato dell’assassinio di Clodio, le insegna di Pompeo lo
circondarono per difenderlo pompeiana reum clauserunt signa Milonem (I,
323).
Ancora bella
nefanda parat suetus civilibus armis - et docilis Sullam scelerum vicisse
magistrum (325) Pompeo ha imparato facilmente a superare Silla il
maestro di delitti. Nullus sanguis semel ore receptus patitur pollutas
fauces mansuescere (331 - 332), non c’è sangue che una volta ricevuto
in bocca consente alle fauci contaminate di farsi mansuete.
Invece non
hai imparato da Silla a lasciare il potere (Il dittatore lo fece nel 79).
Hai
sconfitto i vagabondi della Cilicia (i pirati nel 67), hai combattuto contro
Mitridate già sconfitto da Lucullo (nel 69) poi ucciso dal veleno. (morì
suicida nel 63.)
I
veterani di Cesare non vengono ricompensati mentre si avvicina la exanguis
senectus (343). Tollite iam pridem victricia, tollite signa - viribus
utendum est quas fecimus (347 - 348), alzate le insegne da tempo
vincitrici, dobbiamo servirci delle forze che abbiamo messo insieme.
Detrahimus
dominos urbi servire paratae (351), tiriamo giù i padroni dalla città pronta
ad asservirsi.
I soldati
rimangono incerti dubium vulgus tra l’amore per la patria e
quello crudele per il ferro. Poi c’è la paura del duce che li condiziona.
Quindi parla
il centurione Lelio con la corona di foglie di quercia.
Anche lui
spinge Cesare alla guerra. Lo seguirà ovunque - “iussa sequi tam posse mihi
quam velle necesse est” (372), potendo e volendo farlo.
Sono
disposto, se me lo comandi, a immergere la spada plenae in
viscera partu/ coniugis (377 - 378) sono pronto anche a distruggere
Roma. Tutte le coorti approvarono alzando le mani.
Si levò al
cielo un clamore grande quanto quello del Tracio Borea che piega i pini
dell’Ossa. Cesare vedendo bellum acceptum tam prono milite, fataque
ferre videt vede la guerra accolta dall’esercito così sottomesso e che
il destino lo porta avanti,decide di muoversi, ne quo languore moretur
fortunam, per non ritardare la fortuna con qualche fiacchezza (392 - 394) .
Tutte le truppe ausiliarie vennero convocate: dai Batāvi truces
ai Liguri.
I Bardi e i
Druidi che hanno celebrato i loro eroi morti richiamano in vigore i loro riti
barbarici e la consuetudine di sacrifici sinistri. I popoli settentrionali non
hanno paura della morte quos ille timorum maximus haud
urguet, leti metus (460) poiché mors media est longae vitae, la
morte è un intervallo di una vita lunga et ignavum rediturae parcere
vitae (462) è da vili risparmiare una vita che tornerà.
La vana
fama, la fama inconsistente arriva a Roma,
Cfr. fama
bella constant di Curzio Rufo.
Alessandro
Magno ricorda ai suoi oppositori macedoni che ricevere il nome di figlio di
Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā enim bella constant, et saepe etiam,
quod falso creditum est, veri vicem obtinuit”[2] le
guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e
spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.
Cfr. pure 3,
8, 7 dove pure Dario III dice “fama bella stare”.
giovanni
ghiselli, Pesaro, 4 agosto 2020, ore 11, 35
p. s.
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[2] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 8, 15. Cfr.
pure 3, 8, 7 dove Dario III dice “fama bella stare”.
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