venerdì 1 gennaio 2021

Eschilo. "Le Supplici" e altro


“Le Supplici”, regia di Moni Ovadia, al Teatro Greco di Siracusa
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Argomenti

La lotta tra i sessi. Democrazia e tirannide nelle Supplici e nei Persiani

 

Difficile è la datazione[1] delle Supplici che attualizza il mito delle Danaidi adattandolo alla democrazia ateniese.

 Incerta, oltre la cronologia, è l'attribuzione del Prometeo incatenato.

Nel 458 il poeta ottenne l'ultima vittoria con la tetralogia costituita dalle tre tragedie: Agamennone, Coefore, Eumenidi [2] e dal dramma satiresco, perduto, Proteo. Oltre i sette drammi ancora rappresentabili, ci sono arrivati centinaia di frammenti, alcuni anche abbastanza estesi. Dopo la rappresentazione dell'Orestea [3] Eschilo tornò in Sicilia, dove morì e fu sepolto, a Gela come si è detto, nel 456.

Eschilo volle considerarsi il soldato di Maratona, uno dei tanti che combatterono, e contribuirono alla costituzione del nuovo stato attico riformato dall'Alcmeonide Clistene (arconte nel 508 - 507) e animato dalla volontà del popolo.

Per dare un'idea della poesia di Eschilo in questa introduzione riferisco alcuni versi delle Supplici che sviluppano il tema della guerra tra i sessi e manifestano l'adesione dell’autore alla democrazia. Quindi commenterò le Eumenidi

Le Supplici costituiva il primo dramma di una tetralogia che comprendeva gli Egizi, le Danaidi e il dramma satiresco Amimòne.

Il Manifesto del Partito Comunista [4] di Marx - Engels inizia con l’affermazione che “La storia di ogni società esistita fino questo momento, è storia di lotte di classi”. Ebbene, in Eschilo la storia è piuttosto lotta di sessi, di religioni[5], di culture, di regimi.

Le   JIketivde~, eponime e protagoniste del dramma, formano il Coro secondo il modulo arcaico. Questa è l’unica tragedia con un protagonista collettivo.

Le Supplici sono le cinquanta figlie di Danao le quali, aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8), per connaturata avversione all'uomo, fuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono. Le fanciulle, giunte ad Argo, invocano la protezione del re del luogo Pelasgo, siccome sono di origine argiva: discendono infatti da quella Io, figlia del re di Argo Inaco, che era stata resa demente e trasfigurata in una mucca[6] assillata da un tafano in conseguenza dell'amore di Zeus e della gelosia di Era.

Una storia raccontata nel Prometeo incatenato.

Tali fanciulle hanno nel sangue la mostruosità caratteristica dei primordi. "Nella mitologia greca la figura ibrida è, in generale, un contrassegno di appartenenza a un mondo primitivo"[7].

Queste odiatrici delle nozze vedono nei cugini pretendenti uno sciame violento, pieno di maschi (ajrsenoplhqh' d j - eJsmo;n uJbristhvn, vv. 30 - 31) lanciato al loro inseguimento.

 Le cinquanta femmine costituiscono una folla impaurita, giunta ad Argo con rami avvolti in bende di lana[8] (ejriostevptoisi klavdoisin, v. 23).

Esse chiedono l'aiuto dell’antenato, Epafo, il divino torello oltremarino (Supplici, vv.41 - 42) nato in Egitto dal tocco[9] di Zeus alla giovenca che si pasceva di fiori. Un semidio teriomorfo, identificabile, forse, con il dio - toro egiziano Api.

Il matrimonio per le Danaidi è sinonimo di orrori [10]: le fanciulle in preda al terrore assimilano la loro voce a quella di Procne, la sposa di Tereo (v. 61) trasformata in usignolo dopo che ebbe ucciso il figlio Iti per punire il marito il quale le aveva violentato la sorella Filomela. Tereo fu a sua volta mutato in upupa, e la cognata, così barbaramente stuprata, in rondine. Questo mito raccapricciante, raccontato o richiamato da diversi autori in varie altre versioni[11] è emblematico per significare l'orrore di un matrimonio andato a male.

Sono ricorrenti i paragoni con gli uccelli: nel primo episodio Danao assimila i maschi inseguitori a falchi, "stirpi di nemici consanguinei e profanatori" (vv. 225), mentre le ragazze fuggiasche sembrano colombe atterrite. Viene ripetuto il motivo dell'inimicizia mortale tra gli uomini e le donne che pure appartengono alla stessa specie.

Un odio empio, nota subito Eschilo:"come può restare puro l'uccello che divora fatto a pezzi ?" (o[rniqo" o[rni" pw`" a}n aJgneuvoi fagwvn; v. 226). Traduco “fatto a pezzi” siccome o[rniqo" è un gentivo partitivo in poliptoto.

 

In un’altra tragedia di Eschilo l'aborrimento delle Danaidi per gli sposi è profetizzato da Prometeo incatenato che prevede alla loro antenata, la ragazza - giovenca demente, l'assassinio di quarantanove dei mariti da parte di quarantanove sorelle e la lodevole eccezione di Ipermestra la quale risparmierà Linceo: "una delle fanciulle il desiderio sedurrà a non ammazzare lo sposo, e le si smusserà il proposito[12], tra i due mali preferirà avere fama di debole che di assassina"( Prometeo Incatenato [13] vv. 865 - 868).

 

Le Supplici di Eschilo[14] hanno pure una parte politica che attualizza il mito facendovi entrare la democrazia

Nel primo episodio entra in scena Pelasgo che si presenta come "capo di quella terra" (th`sde gh`" ajrchgevth", v. 251) e avverte che la città non ama i discorsi lunghi ( makravn ge me;n dh; rh'sin ouj stevrgei povli", v. 273). E' l'affermazione della giusta misura che non può essere ipertrofica. Le Danaidi quindi raccontano in breve la loro storia e chiedono al sovrano protezione dai tracotanti cugini che vorrebbero ghermirle. A questo punto Eschilo adatta il mito alla Costituzione ateniese, pur se il dramma è ambientato ad Argo, e Pelasgo, sebbene re, rende omaggio alla democrazia affermando solennemente: "io non posso fare promesse prima - di avere reso questo problema comune a tutti i cittadini" (vv. 368 - 369).

 E quando le barbare Danaidi ribattono:"tu sei la città, tu incarni il potere del popolo, - signore che non subisce giudizi" (vv. 370 - 371), il monarca ribadisce:"te l'ho detto anche prima: senza il popolo (a[nei dhvmou) non posso agire neppure con il potere che ho"(vv. 398 - 399).

I mito dunque viene attualizzato e lo sarà, come vedremo, anche nelle Eumenidi.

Poi Pelasgo aggiunge che occorre di sicuro un pensiero profondo, in grado di dare salvezza (dei' toi baqeiva" frontivdo" swthrivou), e capace di scendere nell'abisso, simile un tuffatore, con occhio vigile e non ebbro (vv. 407 - 409).

L'ebbrezza peggiore, da sempre, è quella dei luoghi comuni che offuscano e restringono la visione mentale.

Le metafore, di cui Eschilo fa ampio uso, allargano la mente incitata a cogliere somiglianze e relazioni tra cose lontane.

 

 Carattere distintivo del potere tirannico è, viceversa, il fatto di tagliare le teste o per lo meno di chiudere la mente dei sudditi non tollerando alcuna critica e non accettando di subire controlli da nessuno. Anticipiamone qualche aspetto. Nei Persiani di Eschilo la regina madre Atossa racconta una sua visione notturna: le appariva in sogno il figlio Serse, il grande re, che, ponendo le cinghie sotto il collo a due donne (vv. 190 - 191), le aggiogava al carro: di queste una era vestita con pepli dorici, l'altra abbigliata alla persiana. Simboleggino la Grecia e la Persia. La seconda si sottomette, mentre la prima recalcitra, spezza il giogo e travolge il carro. Serse, anche se sconfitto, comunque non è "uJpeuvquno" povlei" (Persiani, v. 213), tenuto a rendere conto alla città, come uno stratego eletto dal popolo. Eschilo contrappone al potere assoluto, cui sottostanno i Persiani, il sistema democratico di Atene, quando la regina Atossa, dopo avere raccontato il sogno, domanda ai vecchi dignitari chi sia il pastore e il padrone dell'armata di Salamina. Allora il corifeo risponde: "ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi" (Persiani, v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi né sudditi.

“L’opposizione tra Europa e Asia è rappresentata da Eschilo nei Persiani (472a. C.) con l’immagine delle due sorelle nemiche, la Dorica e la Persiana. Questa visione sarà proiettata sulla guerra di Troia, facendo apparire retrospettivamente i Troiani come “Barbari”[15]. Per molto tempo la nozione di Europa concise con l’autodefinizione che i Greci davano di se stessi. Nella Grecia delle città una equivalenza è profondamente radicata: Grecia = Europa = libertà/democrazia; Persia = Asia = schiavitù. Ma i Greci erano veramente d’accordo su questo punto? In un passo delle sue Storie, Erodoto sostiene molto chiaramente che prima di Clistene la democrazia politica era stata “inventata” in Persia da uno dei dignitari persiani implicati nella congiura che aveva abbattuto l’usurpatore, il falso Smerdis. Erodoto si lamenta del fatto che i Greci, durante le sue letture pubbliche, non avevano accettato questa affermazione molto netta e dettagliata (III, 80)”[16]

Il dignitario persiano in questione è Otane, l’inventore, o per lo meno l’elogiatore dell’isonomia. L’intero episodio ha un’alta valenza politica. Se volete, lo racconto o ve lo invio.

 

Ad Argo, e in Grecia, dunque, spiega il re democratico Pelasgo : “la gente tende ad accusare (filaivtio~ lewv~) il potere[17]" ( Supplici, v.485), e la moltitudine probabilmente commisererà le Danaidi supplici: "e infatti qualcuno vedendo questi rami, e provando compassione, potrebbe sentire avversione per la prepotenza del maschio stuolo, e il popolo sarebbe più benevolo verso di voi: infatti ognuno ha simpatia per i più deboli" (toi`" h{ssoisin ga;r pa`" ti" eujnoiva" fevrei, v. 489).

Questa di proteggere i supplici è una virtù che gli Ateniesi attribuivano a se stessi, ed Eschilo la riconosce pure agli Argivi dei quali in quegli anni il governo di Atene cercava l'alleanza in prospettiva antispartana.

 

Con il genocidio di Melo cui allude Euripide nelle Troiane gli Ateniesi invece assumeranno il ruolo di portatori e assertori del diritto del più forte: “riteniamo infatti che la divinità secondo supposizione, e l'umanità in modo evidente, in ogni occasione, per necessità di natura, dove è più forte, comanda. (Tucidide, La guerra del Peloponneso, V, 105, 2).

 

Per quanto riguarda la difesa dei più deboli all’interno della povli~ tuttavia, il Pericle di Tucidide menziona le leggi che ad Atene, la scuola dell’Ellade[18], non vengono mai trasgredite : "o{soi te ejp j wjfeliva tw'n ajdikoumevnwn kei'ntai kai; o{soi a[grafoi[19] o[nte" aijscuvnhn oJmologoumevnhn fevrousin" (Storie, II, 37, 3) quante sono poste a tutela di chi subisce ingiustizia, e quante, sebbene non scritte, sanciscono un disonore riconosciuto da tutti.

 

giovanni ghiselli

 

 

 



[1] Si può pensare a una collocazione tra il 463 e il 461.

[2] L'unica trilogia del teatro greco giunta fino a noi.

[3] Così viene chiamata per convenzione la trilogia a noi pervenuta.

[4] Pubblicato nel febbraio del 1848.

[5]

[6] Cfr. Io… iam satis obsita, iam bos (Eneide, VII; 789 - 790), Io già coperta di peli, già vacca. 

[7]K. Kerényi, Miti e misteri , p. 45.

[8] Questo è il segno dei supplici anche nell’incipit dell’Edipo re che inizia con queste parole del figlio di Laio: “ O figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo/quali seggi mai sono questi dove state seduti/con i supplici rami incoronati?" (vv. 1 - 3).

[9] Cfr. ejfavptw, "metto la mano sopra".

[10] Cfr. la scheda Espressioni contrarie alle nozze successiva al v. 554 della Medea.

[11] Ne fa un lungo racconto in esametri Ovidio nelle Metamorfosi (VI, 426 - 674) cui allude Eliot per significare la decadenza del mito nella ricezione degli uomini moderni:"The change of Philomel, by the barbarous king/So rudely forced; yet there the nightingale/Filled all the desert with inviolable voice/And still she cried, and still the world pursues,/'Jug Jug' to dirty ears " (The Waste Land , vv. 99 - 103), la metamorfosi di Filomela, dal barbaro re così brutalmente forzata; eppure là l'usignolo riempiva tutto il deserto con voce inviolabile, e ancora ella piangeva e ancora il mondo continua 'Giag Giag' a orecchie sporche. Il canto della voce inviolabile di Filomela è degradato e dissacrato, poiché suona oramai solo naturalisticamente come un "giag giag" per le orecchie inquinate del mondo contemporaneo. 

[12] Diversamente da Medea!

[13] Di data incerta. Non è sicura nemmeno la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.

[14] Le Supplici di Euripide contengono una parte politica più ampia, come vederemo nella scheda sul tiranno successiva al v. 120 della Medea

[15] In particolare nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide (n.d. r).

[16] L. Canfora. La democrazia. Storia di un’ideologia, p. 17.

[17] Grazie alla parrhsiva.

[18] Cfr. Tucidide, Storie, II, 41.

[19] Corrispondono agli "a[grapta kajsfalh' qew'n - novmima", i diritti non scritti e non cancellabili degli dèi anteposti da Antigone agli editti di Creonte (Antigone, vv. 454 - 455).

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