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venerdì 1 gennaio 2021

Eschilo. "Le Supplici", II parte

Le supplici di Eschilo in prova - Plautus Festival
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le Supplici
II parte

 

Argomenti

L’assemblea degli Argivi vota per alzata di mano di accogliere e aiutare le Danaidi supplici. Il codice tripartito: accogliere gli stranieri ospiti, onorare i genitori, venerare gli dèi.

 

In effetti, al momento della votazione, "tutto il popolo votò alzando la mano favorevole"(Eschilo, Supplici, v. 607) alla proposta, presentata dallo stesso re Pelasgo, di aiutare le ragazze vessate, non solo per pietà verso di loro, ma anche per schivare l'ira di "Zeus che protegge i supplici"(v. 616) ed evitare "la doppia contaminazione ( diplou'n mivasma, v.619) che sarebbe derivata dal respingere giovani donne bisognose di protezione , straniere, quindi ospiti, e, al tempo stesso, concittadine per la loro origine.

 

 L'aiuto alle fanciulle raccomandato da Pelasgo con un breve discorso, venne dunque approvato dal popolo cersivn (v. 621), con alzata di mani, senza bisogno dell’araldo (a[neu klhth'ro~, v. 622) che chiamasse per nome.

 

Cfr. Il comune rustico (1885) di Carducci: “A man levata il popol dicea Sì” (v. 33)

 

“Nelle Supplici di Eschilo è rappresentata un’assemblea dei cittadini di Argo, presieduta dal re Pelasgo, che decide all’unanimità, e con alzata di mano (della “dominante mano del popolo”, la démou kratoûsa cheίr), di concedere asilo alle Danaidi in fuga. Il poeta evita certo l’anacronismo di usare il termine formale di democratίa per epoca mitica, ma indugia con commozione nella rappresentazione della cheirotonia democratica, una procedura così caratteristica per la sua evidente quantificabilità e la valorizzazione del volere dell’uomo comune (una mano vale l’altra). E mentre fa spazio a una procedura tipica della sua città, Eschilo allude anche accortamente, e senza anacronismi troppo marcati, al regime al suo tempo vigente in Argo (forma democratica, con un vertice monarchico privo di particolari poteri)”[1].

 

 Del resto fu Zeus stesso a portare a termine l’operazione (v.624).

Qui vediamo la fede nella democrazia, in Zeus, e la volontà di osservare le regole avite che prescrivevano di onorare e riverire i numi, i genitori, e gli stranieri non ostili.

Tale codice tripartito viene ricordato dal coro delle Danaidi nel terzo stasimo: gli stranieri ospiti, gli dèi, il padre e la madre devono essere venerati o almeno rispettati:

"infatti il rispetto dei genitori (tokevwn sevba~) è la terza tra le leggi scritte della Giustizia venerandissima"(vv. 707 - 709).

Così il coro conclude lo stasimo nella quarta antistrofe.

 

Tale monito religioso e di costume torna nelle Eumenidi conclusive, le Erinni che incalzano il matricida, lo minacciano di trascinarlo tra i grandi peccatori: quanti si sono resi colpevoli verso un dio, o un ospite o hanno mancato di rispetto ai genitori[2] (vv. 269 - 271).

 

“Nell’ordine dei valori morali proposti dalla società greca arcaica e classica l’onore reso ai genitori viene subito dopo quello prestato agli dèi: ved. p. es. Pindaro, Pyth. 6 - 26 - 7 (e scolio ad. loc.); Euripide, Tr. GF V, fr. 853 Kannicht; Senofonte, Mem. IV 4, 19. Le colpe contro i genitori nella mentalità religiosa del tempo erano considerate inespiabili anche dopo la morte: Eschilo, Eum. 721; Platone, Phd. 114 a, Resp. 615 c. Invece, nel comico “mondo alla rovescia” degli uccelli, battere il padre è considerato un atto onorevole (p. es. Aristofane, Au. 755 - 9)”[3].

 

Il coro delle Danaidi minaccia il suicidio per impiccagione prima che un uomo esecrato si avvicini al suo corpo (vv. 788 - 790). Pelasgo " è mosso anzitutto dal timore religioso di Zeus che protegge le Supplici"[4].

Infatti il re di Argo avverte l'araldo degli Egizi che potrà portare via le donne solo se un discorso pio riuscirà a persuaderle (ei[per eujsebh;" pivqoi lovgo" , v. 941). L'intelligenza e la moralità devono succedere alla violenza nel rapporto tra i sessi.

 Nelle Supplici si tratta di evitare una sorta di endogamia, uno dei tabù della razza umana, ma la lotta tra maschi e femmine è un tema caro ad Eschilo: lo svilupperà compiutamente nell'Orestea dove vi prenderanno parte anche gli dèi facendo trionfare il patriarcato.

Bruno Snell sostiene che nella tragedia di Eschilo “l’uomo riconosce per la prima volta se stesso come autore delle sue decisioni”[5]. Infatti mentre “gli uomini omerici agiscono senza titubanza, con sicurezza, poiché nessuno scrupolo, nessun dubbio li tormenta, nessuna responsabilità di fronte alla giustizia e all’ingiustizia”, nelle tragedie di Eschilo invece “l’uomo, mentre acquista coscienza della propria libertà, assume il peso della responsabilità personale di fronte all’azione. Meglio di tutte lo dimostra l’ultima trilogia di Eschilo, l’Orestiade (…) Oreste ha il dovere di vendicare il padre, ma per vendicarlo dovrà uccidere la madre. Egli compirà quest’azione, ma soltanto dopo aver sentito tutta la gravità della sua decisione. Il contrasto fra libertà individuale e destino, fra colpa e fatto, si presenta così per la prima volta nel mondo, ed è questo contrasto che divide il mondo degli dèi da quello degli uomini. Oreste si trova preso tra i voleri contrastanti degli dèi, anzi l’ultima parte della trilogia finisce con la lotta fra le potenze nemiche, fra le Eumenidi cioè che vogliono vendicare il matricidio di Oreste, e Apollo che alla fine lo assolve”. Si tratta di una lotta tra matriarcato e patriarcato che prevale minimizzando il ruolo delle madri nella società e perfino nella generazione dei figli. Ma questo aspetto lo vedremo meglio più avanti.

Procediamo con il libro di Snell: “ Queste due divinità pongono all’uomo diverse esigenze, questi si trova, in un certo senso, abbandonato a se stesso. I valori univoci vengono messi in forse, l’uomo si arresta nello svolgimento naturale della sua azione e deve decidere da sé che cosa sia giustizia e che cosa ingiustizia. Un’umanità nuova e una nuova naturalezza si rivelano in lui: la consapevolezza della libertà e dell’azione autonoma. Così egli si scioglie necessariamente dai suoi antichi legami religiosi e sociali, e si giunge a quello stato di cose, per cui Aristofane rimprovera così aspramente Euripide”[6]. Stato di cose e rimproveri che vedremo meglio studiando Euripide.

 

Il conflitto tra le divinità si trova anche nel tragediografo più giovane: “L’Ippolito di Euripide ha in comune con l’Orestiade di Eschilo il fatto che il conflitto del dramma trova riscontro nel conflitto fra due divinità. Una differenza essenziale è data però dal fatto che il conflitto fra gli dèi non sorge in Euripide per un determinato caso, ma è piuttosto una lotta di principî; e non si tratta qui di un’azione giudicata in modo diverso da due diverse divinità, che vengono a conflitto. Ancora: nella tragedia di Eschilo Apollo trionfa sulle Erinni, e una religione più serena prevale sulle antiche forme tenebrose del culto; la conclusione della tenebrosa vicenda acquista così un profondo significato. In Euripide invece tutti e due i protagonisti vengono annientati e il conflitto delle due divinità rimane inconciliabile”[7].

 

Alla fine delle Supplici, le Danaidi pregano la casta Artemide di guardarle con compassione salvandole dalle nozze, ma le loro ancelle affermano e consigliano di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea venerata per le sue opere. Del suo corteggio fanno parte Desiderio, Persuasione seducente, e Armonia. Il pensiero di Zeus è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie di Danao come di molte donne prima di loro (vv. 1049 - 1052).

 

Il dramma si conclude con le minacce dell'arrogante araldo egiziano contro gli Argivi difensori delle Danaidi le quali oppongono resistenza a ogni tentativo di moderarle. Esse pregano Zeus "di liberarle da nozze rovinose con sposi malvagi"(v. 1064) e che "conceda la vittoria alle donne"( kai; kravto" nevmoi gunaixivn, v. 1069). Femminismo antico.

 

 Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un vincitore assoluto. Alla fine della trilogia, Afrodite stessa compariva sulla scena celebrando la necessità cosmica di Eros. Non possiedo queste parole, tramandate dalla tradizione indiretta, e mi affido al già citato testo di Pohlenz: "Mia opera è quando il cielo e la terra si congiungono in un ardente amplesso, quando l'umore del cielo feconda la terra, sì ch'essa in pascoli, in campi, in selve, genera ciò di cui l'uomo abbisogna per vivere".

 L'eros, il desiderio di amore non è solo un istinto individuale dell'uomo; è una potenza cosmica primigenia che suscita ogni vita. Questo pensiero, che Platone svilupperà nel Convito , vien qui già intuitivamente adombrato. Risparmiando il marito, anche Ipermestra ha reso omaggio alla dea dell'amore"[8].

 

Bologna primo gennaio 2020 ore 17, 42 giovanni ghiselli

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[1] D. Musti, Storia greca, p. 333.

[2] Un’anticipazione di questo codice si trova in Esiodo. La prima fase dell’età del ferro è quella in cui visse l’autore il quale depreca il tempo della propria nascita. Il gevno~ sidhvreon (Opere e giorni, v. 176) è contrassegnato da fatica e miseria e duri affanni. Eppure tra i mali si troveranno misti dei beni. Più avanti però Zeus distruggerà anche questa razza e, nella bassa età del ferro, i beni spariranno del tutto. Allora gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181), i figli non saranno simili al padre, né il padre ai figli, i quali oltraggeranno i genitori che invecchiano, l’ospite non sarà caro all’ospite, né il compagno al compagno, nemmeno il fratello, come prima. 

[3] Avezzù - Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 356 e p. 357.

[4]M. Pohlenz, La tragedia greca , p. 21.

[5] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 176.

[6] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 177.

[7] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 181

[8]M. Pohlenz, La tragedia greca , p. 61.

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