Le supplici di Eschilo in prova - Plautus Festival |
le Supplici
II parte
Argomenti
L’assemblea degli Argivi vota per alzata di mano di accogliere e aiutare
le Danaidi supplici. Il codice tripartito: accogliere gli stranieri ospiti,
onorare i genitori, venerare gli dèi.
In effetti,
al momento della votazione, "tutto il popolo votò alzando la mano
favorevole"(Eschilo, Supplici, v. 607) alla proposta,
presentata dallo stesso re Pelasgo, di aiutare le ragazze vessate, non solo per
pietà verso di loro, ma anche per schivare l'ira di "Zeus che protegge i
supplici"(v. 616) ed evitare "la doppia contaminazione ( diplou'n
mivasma, v.619)
che sarebbe derivata dal respingere giovani donne bisognose di protezione ,
straniere, quindi ospiti, e, al tempo stesso, concittadine per la loro origine.
L'aiuto
alle fanciulle raccomandato da Pelasgo con un breve discorso, venne dunque
approvato dal popolo cersivn (v. 621), con alzata di mani, senza bisogno
dell’araldo (a[neu klhth'ro~, v. 622) che chiamasse per nome.
Cfr. Il
comune rustico (1885) di Carducci: “A man levata il popol dicea Sì” (v. 33)
“Nelle Supplici di
Eschilo è rappresentata un’assemblea dei cittadini di Argo, presieduta dal re
Pelasgo, che decide all’unanimità, e con alzata di mano (della “dominante mano
del popolo”, la démou kratoûsa cheίr), di concedere asilo alle Danaidi in fuga. Il poeta evita certo
l’anacronismo di usare il termine formale di democratίa per
epoca mitica, ma indugia con commozione nella rappresentazione della cheirotonia democratica,
una procedura così caratteristica per la sua evidente quantificabilità e
la valorizzazione del volere dell’uomo comune (una mano vale l’altra). E mentre
fa spazio a una procedura tipica della sua città, Eschilo allude anche
accortamente, e senza anacronismi troppo marcati, al regime al suo tempo
vigente in Argo (forma democratica, con un vertice monarchico privo di
particolari poteri)”[1].
Del resto fu Zeus stesso a portare a termine
l’operazione (v.624).
Qui vediamo
la fede nella democrazia, in Zeus, e la volontà di osservare le regole avite
che prescrivevano di onorare e riverire i numi, i genitori, e gli stranieri non
ostili.
Tale codice
tripartito viene ricordato dal coro delle Danaidi nel terzo stasimo: gli
stranieri ospiti, gli dèi, il padre e la madre devono essere venerati o almeno
rispettati:
"infatti
il rispetto dei genitori (tokevwn sevba~) è la terza tra le leggi scritte della Giustizia
venerandissima"(vv. 707 - 709).
Così il coro
conclude lo stasimo nella quarta antistrofe.
Tale monito
religioso e di costume torna nelle Eumenidi conclusive, le Erinni che incalzano il matricida, lo
minacciano di trascinarlo tra i grandi peccatori: quanti si sono resi colpevoli
verso un dio, o un ospite o hanno mancato di rispetto ai genitori[2] (vv. 269 - 271).
“Nell’ordine
dei valori morali proposti dalla società greca arcaica e classica l’onore reso
ai genitori viene subito dopo quello prestato agli dèi: ved. p. es.
Pindaro, Pyth. 6 - 26 - 7 (e scolio ad. loc.);
Euripide, Tr. GF V, fr. 853 Kannicht; Senofonte, Mem.
IV 4, 19. Le colpe contro i genitori nella mentalità religiosa del tempo erano
considerate inespiabili anche dopo la morte: Eschilo, Eum. 721; Platone, Phd. 114
a, Resp. 615 c. Invece, nel comico “mondo alla rovescia” degli
uccelli, battere il padre è considerato un atto onorevole (p. es.
Aristofane, Au. 755 - 9)”[3].
Il coro delle Danaidi minaccia il suicidio per impiccagione prima che un
uomo esecrato si avvicini al suo corpo (vv. 788 - 790). Pelasgo " è mosso
anzitutto dal timore religioso di Zeus che protegge le Supplici"[4].
Infatti il re di Argo avverte l'araldo degli Egizi che potrà portare via le
donne solo se un discorso pio riuscirà a persuaderle (ei[per
eujsebh;" pivqoi lovgo" , v.
941). L'intelligenza e la moralità devono succedere alla violenza nel rapporto
tra i sessi.
Nelle Supplici si
tratta di evitare una sorta di endogamia, uno dei tabù della razza umana, ma la
lotta tra maschi e femmine è un tema caro ad Eschilo: lo svilupperà
compiutamente nell'Orestea dove vi prenderanno parte anche gli dèi
facendo trionfare il patriarcato.
Bruno Snell
sostiene che nella tragedia di Eschilo “l’uomo riconosce per la prima volta se
stesso come autore delle sue decisioni”[5]. Infatti mentre “gli
uomini omerici agiscono senza titubanza, con sicurezza, poiché nessuno
scrupolo, nessun dubbio li tormenta, nessuna responsabilità di fronte alla
giustizia e all’ingiustizia”, nelle tragedie di Eschilo invece “l’uomo, mentre
acquista coscienza della propria libertà, assume il peso della responsabilità
personale di fronte all’azione. Meglio di tutte lo dimostra l’ultima trilogia
di Eschilo, l’Orestiade (…) Oreste ha il dovere di vendicare il
padre, ma per vendicarlo dovrà uccidere la madre. Egli compirà quest’azione, ma
soltanto dopo aver sentito tutta la gravità della sua decisione. Il contrasto
fra libertà individuale e destino, fra colpa e fatto, si presenta così per la
prima volta nel mondo, ed è questo contrasto che divide il mondo degli dèi da
quello degli uomini. Oreste si trova preso tra i voleri contrastanti degli dèi,
anzi l’ultima parte della trilogia finisce con la lotta fra le potenze nemiche,
fra le Eumenidi cioè che vogliono vendicare il matricidio di Oreste, e Apollo
che alla fine lo assolve”. Si tratta di una lotta tra matriarcato e patriarcato
che prevale minimizzando il ruolo delle madri nella società e perfino nella
generazione dei figli. Ma questo aspetto lo vedremo meglio più avanti.
Procediamo
con il libro di Snell: “
Queste due divinità pongono all’uomo diverse esigenze, questi si trova, in un
certo senso, abbandonato a se stesso. I valori univoci vengono messi in forse,
l’uomo si arresta nello svolgimento naturale della sua azione e deve decidere
da sé che cosa sia giustizia e che cosa ingiustizia. Un’umanità nuova e una
nuova naturalezza si rivelano in lui: la consapevolezza della libertà e
dell’azione autonoma. Così egli si scioglie necessariamente dai suoi antichi
legami religiosi e sociali, e si giunge a quello stato di cose, per cui
Aristofane rimprovera così aspramente Euripide”[6]. Stato di cose e
rimproveri che vedremo meglio studiando Euripide.
Il conflitto
tra le divinità si trova anche nel tragediografo più giovane: “L’Ippolito di
Euripide ha in comune con l’Orestiade di Eschilo il fatto che il
conflitto del dramma trova riscontro nel conflitto fra due divinità. Una
differenza essenziale è data però dal fatto che il conflitto fra gli dèi non
sorge in Euripide per un determinato caso, ma è piuttosto una lotta di principî; e non si tratta qui di un’azione giudicata in modo diverso da due
diverse divinità, che vengono a conflitto. Ancora: nella tragedia di Eschilo
Apollo trionfa sulle Erinni, e una religione più serena prevale sulle antiche
forme tenebrose del culto; la conclusione della tenebrosa vicenda acquista così
un profondo significato. In Euripide invece tutti e due i protagonisti vengono annientati
e il conflitto delle due divinità rimane inconciliabile”[7].
Alla fine delle Supplici, le Danaidi pregano la casta Artemide
di guardarle con compassione salvandole dalle nozze, ma le loro ancelle
affermano e consigliano di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea
venerata per le sue opere. Del suo corteggio fanno parte Desiderio, Persuasione
seducente, e Armonia. Il
pensiero di Zeus è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la
realizzazione delle figlie di Danao come di molte donne prima di loro (vv. 1049
- 1052).
Il dramma si
conclude con le minacce dell'arrogante araldo egiziano contro gli Argivi
difensori delle Danaidi le quali oppongono
resistenza a ogni tentativo di moderarle. Esse pregano Zeus "di liberarle da
nozze rovinose con sposi malvagi"(v. 1064) e che "conceda la vittoria
alle donne"( kai; kravto" nevmoi gunaixivn, v. 1069). Femminismo antico.
Eschilo tende ai compromessi e nelle sue tragedie non c'è mai un
vincitore assoluto. Alla fine della trilogia, Afrodite stessa compariva sulla
scena celebrando la necessità cosmica di Eros. Non possiedo queste parole,
tramandate dalla tradizione indiretta, e mi affido al già citato testo di
Pohlenz: "Mia opera è quando il cielo e la terra si congiungono in un
ardente amplesso, quando l'umore del cielo feconda la terra, sì ch'essa in
pascoli, in campi, in selve, genera ciò di cui l'uomo abbisogna per
vivere".
L'eros, il desiderio di amore non è solo un istinto
individuale dell'uomo; è una potenza cosmica primigenia che suscita ogni vita.
Questo pensiero, che Platone svilupperà nel Convito , vien qui
già intuitivamente adombrato. Risparmiando il marito, anche Ipermestra ha reso
omaggio alla dea dell'amore"[8].
Bologna primo gennaio 2020 ore 17, 42 giovanni ghiselli
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[1] D. Musti, Storia
greca, p. 333.
[2] Un’anticipazione
di questo codice si trova in Esiodo. La prima fase dell’età del ferro è quella
in cui visse l’autore il quale depreca il tempo della propria nascita. Il gevno~
sidhvreon (Opere
e giorni, v. 176) è contrassegnato da fatica e miseria e duri affanni.
Eppure tra i mali si troveranno misti dei beni. Più avanti però Zeus
distruggerà anche questa razza e, nella bassa età del ferro, i beni spariranno
del tutto. Allora gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181), i figli non saranno
simili al padre, né il padre ai figli, i quali oltraggeranno i genitori che
invecchiano, l’ospite non sarà caro all’ospite, né il compagno al compagno,
nemmeno il fratello, come prima.
[3] Avezzù - Guidorizzi,
Edipo a Colono, p. 356 e p. 357.
[4]M. Pohlenz, La
tragedia greca , p. 21.
[5] B. Snell, La
cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 176.
[6] B. Snell, La
cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 177.
[7] B. Snell, La
cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 181
[8]M. Pohlenz, La
tragedia greca , p. 61.
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