NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 4 gennaio 2021

Appendice allo studio delle "Eumenidi"

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Un poco di critica fatta bene. Snell, Leopardi, Nietzsche, Aristofane, Racine, Zambrano, Pasolini, T. Mann.

 

“Nella tragedia si costituisce la classicità. Dove è pericolo, là appare anche ciò che porta salvezza. Classicità non è non è chiarezza sin dall'inizio, bensì contesa giunta ad unità, discordia conciliata, angoscia risanata". [1]

 

Leopardi elogia la naturalezza e l’originalità di Eschilo, come quella di Omero e di altri poeti antichi. Una originalità che ai moderni manca: “quando gli esempi erano scarsi o nulli, Eschilo per esempio inventando ora una ora un’altra tragedia senza forme senza usi stabiliti, e seguendo la sua natura, variava naturalmente a ogni composizione. Così Omero scrivendo i suoi poemi, vagava liberamente per li campi immaginabili, e sceglieva quello che gli pareva giacché tutto gli era presente effettivamente, non avendoci esempi anteriori che glieli circoscrivessero e gliene chiudessero la vista.. In questo modo i poeti antichi difficilmente s’imbattevano a non essere originali, o piuttosto erano sempre originali, e s’erano simili era caso. Ma ora con tanti usi con tanti esempi, con tante nozioni, definizioni, regole forme, con tante letture ec. Per quanto un poeta si voglia allontanare dalla strada segnata a ogni poco ci ritorna, mentre la natura non opera più da se, sempre naturalmente e necessariamente influiscono sulla mente del poeta le idee acquistate che circoscrivono l’efficacia della natura e scemano la facoltà inventiva…” (Zibaldone, 40).

Il poeta di Recanati distingue la mitologia “antica” che tende alla chiarezza da quella post - classica che cerca di oscurarla. “Differenza tra le antiche e le più recenti, le prime e le ultime, mitologie. Gl’inventori delle prime mitologie (individui o popoli) non cercavano l’oscuro per tutto, eziandio nel chiaro; anzi cercavano il chiaro nell’oscuro, volevano spiegare e non mistificare, e scoprire; tendevano a dichiarar colle cose sensibili quelle che non cadono sotto i sensi (…) Gl’inventori delle ultime mitologie, i platonici, e massime gli uomini dei primi secoli della nostra era, decisamente cercavano l’oscuro nel chiaro, volevano spiegare le cose sensibili e intelligibili colle non intelligibili e non sensibili; si compiacevano delle tenebre; rendeano ragione delle cose chiare e manifeste, con dei misteri e dei secreti. Le prime mitologie non avevano misteri, anzi erano trovate per ispiegare, e far chiari a tutti, i misteri della natura; le ultime sono state trovate per farci credere mistero e superiore alla intelligenza nostra anche quello che noi tocchiamo con mano, quello dove, altrimenti, non avremmo sospettato nessun arcano. Quindi il diverso carattere delle due sorti di mitologie, corrispondenti al diverso carattere sì dei tempi in cui nacquero, sì dello spirito e del fine o tendenza con cui furono create. Le une gaie, le altre tetre ec. (Recanati, 29 Dicembre 1826)”[2].

  

Nel prosieguo della cultura e del costume europeo ha vinto, purtroppo, l'odio tra i sessi raccontato dalla poesia antica: tutte le cinquanta Danaidi, meno una, hanno assassinato gli sposi, Clitennestra ha ucciso Agamennone, Oreste la madre, Procne e Medea i propri figli per punire i mariti , poi arriverà il cristianesimo il quale" diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio"[3].

  

 Aristofane nelle Rane mette in rilievo il contenuto didascalico - educativo dei drammi eschilei. Il personaggio che rappresenta il tragediografo di Eleusi afferma, riferendosi ai Sette contro Tebe , di avere composto "un dramma pieno di Ares", una tragedia così ricca di ardore bellico che "chiunque l'avesse vista bramava diventare un terribile combattente"(Rane, v.1022). Quindi prosegue facendo una storia della poesia che è anche storia della paideia: “"Considera come fin dall'inizio sono stati utili i poeti di rango. Orfeo infatti ci ha fatto apprendere le cerimonie sacre e ad astenerci dai delitti, Museo le cure delle malattie e gli oracoli, Esiodo poi i lavori della terra, le stagioni dei frutti e l'aratura; il divino Omero da che conseguì onore e gloria se non dall'averci insegnato cose utili come gli schieramenti, il valore e gli armamenti degli uomini?" (vv. 1031 - 1036).

Poi Eschilo, in polemica con Euripide, si pregia di non avere mai messo in scena Fedre e Stenebee povrna~ (v. 1043), puttane, e nemmeno una donna in amore[4]: “ejrw'san pwvpot j ejpoivhsa gunai'ka" (Rane, v. 1044).

 

La Fedra “sgualdrina” viene moralizzata, direi quasi cristianizzata da Racine, che la rappresenta convinta della morte di Teseo prima della dichiarazione d’amore al figliastro. L’autore francese cerca anche di razionalizzare il mito della discesa di Teseo agli Inferi: “Ho tenuto pure conto della storia di Teseo, così come è narrata in Plutarco; e in questo storico ho trovato che la convinzione diffusa, che Teseo fosse disceso agli inferi per rapire Proserpina, si basava sulla notizia di un viaggio compiuto da quel principe in Epiro, alle sorgenti dell’Acheronte, presso un re cui Piritoo voleva rapire la sposa, e che aveva tenuto Teseo prigioniero dopo aver ucciso Piritoo (...) E la voce della morte di Teseo, fondata su quel mitico viaggio, dà modo a Fedra di fare una dichiarazione d’amore, che sarà una delle cause principali della sua rovina e che essa non avrebbe mai osato fare, fin che avesse ritenuto in vita il suo sposo…Ciò che posso dire con sicurezza è che in nessun’altra tragedia da me scritta la virtù è messa maggiormente in luce…Questo è precisamente lo scopo che deve proporsi ogni uomo che lavori per il pubblico. Ed è questo che i primi poeti tragici avevano in mente sopra ogni cosa. Il loro teatro era una scuola in cui si insegnava la virtù altrettanto bene che nelle scuole dei filosofi. Così Aristotele ha voluto fissare le regole del poema drammatico, e Socrate, il più saggio dei filosofi, non disdegnava di mettere mano alle tragedie di Euripide” (Prefazione Di Racine alla Fedra [5]). 

 

Il personaggio Euripide delle Rane ribatte maliziosamente al personaggio Eschilo affermando che nei drammi del rivale in effetti non c'è nulla di Afrodite (Aristofane, Rane, v.1045), ossia non c'è grazia. Quindi aggiunge che la storia di Fedra è un fatto reale. Ma Eschilo replica che il poeta il male deve nasconderlo in quanto egli è l’educatore dei giovani come il maestro di scuola lo è dei bambini (vv. 1053 - 1055).

L’agone tra i due drammaturghi è vinto da Eschilo che così viene riportato dagli inferi ad Atene. Alla fine della commedia c'è un makarismov" dell'intelligenza benefica grazie alla quale Eschilo potrà tornare sulla terra:"makavriov" g j ajnh;r e[cwn - xuvnesin hjkribwmevnhn: - pavra de; polloi'sin maqei'n. - o{de ga;r eu\ fronei'n dokhvsa" - pavlin a[peisin oi[kad j au\qi", - ejp j ajgaqw'/ me;n toi'" polivtai" , - ejp j ajgaqw'/ de; toi'" eJautou' - xuggenevsi te kai; fivloisi, - dia; to; sunetov" ei\nai" (vv.1482 - 1490), beato l'uomo che ha intelligenza acuta: è possibile riconoscerlo da molti segni. Questo qui che si è rivelato saggio torna di nuovo a casa per il bene dei cittadini, per il bene dei suoi parenti e amici, perché è intelligente.

Subito dopo Plutone dà a Eschilo, in procinto di tornare alla luce, l'incarico di educare gli stolti che sono tanti: "paivdeuson - tou;" ajnohvtou" : polloi; d j eijsivn" (vv. 1502 - 1503).

Una conclusione molto attuale.

Voglio commentarla con due citazioni sul valore morale dell’intelligenza.

"La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[6].

“Non c’è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e disumano”[7].

“Intelligenza e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini, reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[8].





[1]B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica , p. 141.

[2] Zibaldone, pp. 4238 - 4239.

[3] Nietzsche, Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 168

[4] Lo stesso merito, dubbio assai, se lo attribuisce Manzoni nel Fermo e Lucia :" Non si deve scrivere di amore in modo da far consentire l'animo di chi legge a questa passione. Di amore ce n'è seicento volte di più di quanto sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera impudente l'andarlo fomentando con gli scritti". 

[5] La tragedia fu rappresentata la prima volta nel 1677.

[6] M. Zambrano, L'uomo e il divino (1955), p. 194.

[7] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 103.

[8] T. Mann, Giuseppe in Egitto, p. 257.

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