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Un poco di critica fatta bene. Snell, Leopardi,
Nietzsche, Aristofane, Racine, Zambrano, Pasolini, T. Mann.
“Nella tragedia si costituisce la classicità. Dove è
pericolo, là appare anche ciò che porta salvezza. Classicità non è non è
chiarezza sin dall'inizio, bensì contesa giunta ad unità, discordia conciliata,
angoscia risanata". [1]
Leopardi elogia la naturalezza e l’originalità di Eschilo, come quella
di Omero e di altri poeti antichi. Una originalità che ai moderni manca: “quando
gli esempi erano scarsi o nulli, Eschilo per esempio inventando ora una ora
un’altra tragedia senza forme senza usi stabiliti, e seguendo la sua natura,
variava naturalmente a ogni composizione. Così Omero scrivendo i suoi poemi,
vagava liberamente per li campi immaginabili, e sceglieva quello che gli pareva
giacché tutto gli era presente effettivamente, non avendoci esempi anteriori
che glieli circoscrivessero e gliene chiudessero la vista.. In questo modo i
poeti antichi difficilmente s’imbattevano a non essere originali, o
piuttosto erano sempre originali, e s’erano simili era caso. Ma ora con tanti
usi con tanti esempi, con tante nozioni, definizioni, regole forme, con tante
letture ec. Per quanto un poeta si voglia allontanare dalla strada segnata a
ogni poco ci ritorna, mentre la natura non opera più da se, sempre naturalmente
e necessariamente influiscono sulla mente del poeta le idee acquistate che
circoscrivono l’efficacia della natura e scemano la facoltà inventiva…” (Zibaldone,
40).
Il poeta di Recanati distingue la mitologia “antica”
che tende alla chiarezza da quella post - classica che cerca di oscurarla.
“Differenza tra le antiche e le più recenti, le prime e le ultime, mitologie.
Gl’inventori delle prime mitologie (individui o popoli) non cercavano l’oscuro
per tutto, eziandio nel chiaro; anzi cercavano il chiaro nell’oscuro, volevano
spiegare e non mistificare, e scoprire; tendevano a dichiarar colle cose
sensibili quelle che non cadono sotto i sensi (…) Gl’inventori delle ultime
mitologie, i platonici, e massime gli uomini dei primi secoli della nostra era,
decisamente cercavano l’oscuro nel chiaro, volevano spiegare le cose sensibili
e intelligibili colle non intelligibili e non sensibili; si compiacevano delle
tenebre; rendeano ragione delle cose chiare e manifeste, con dei misteri e dei
secreti. Le prime mitologie non avevano misteri, anzi erano trovate per
ispiegare, e far chiari a tutti, i misteri della natura; le ultime sono state
trovate per farci credere mistero e superiore alla intelligenza nostra anche
quello che noi tocchiamo con mano, quello dove, altrimenti, non avremmo
sospettato nessun arcano. Quindi il diverso carattere delle due sorti di
mitologie, corrispondenti al diverso carattere sì dei tempi in cui nacquero, sì
dello spirito e del fine o tendenza con cui furono create. Le une gaie, le
altre tetre ec. (Recanati, 29 Dicembre 1826)”[2].
Nel prosieguo della cultura e del costume europeo ha
vinto, purtroppo, l'odio tra i sessi raccontato dalla poesia antica: tutte le
cinquanta Danaidi, meno una, hanno assassinato gli sposi, Clitennestra ha
ucciso Agamennone, Oreste la madre, Procne e Medea i propri figli per punire i
mariti , poi arriverà il cristianesimo il quale" diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma
degenerò in vizio"[3].
Aristofane nelle Rane mette
in rilievo il contenuto didascalico - educativo dei drammi eschilei. Il
personaggio che rappresenta il tragediografo di Eleusi afferma, riferendosi
ai Sette contro Tebe , di avere composto "un dramma pieno
di Ares", una tragedia così ricca di ardore bellico che "chiunque
l'avesse vista bramava diventare un terribile combattente"(Rane,
v.1022). Quindi prosegue facendo una storia della poesia che è anche storia
della paideia: “"Considera come fin dall'inizio sono stati
utili i poeti di rango. Orfeo infatti ci ha fatto apprendere le cerimonie sacre
e ad astenerci dai delitti, Museo le cure delle malattie e gli oracoli, Esiodo
poi i lavori della terra, le stagioni dei frutti e l'aratura; il divino Omero
da che conseguì onore e gloria se non dall'averci insegnato cose utili come gli
schieramenti, il valore e gli armamenti degli uomini?" (vv. 1031 - 1036).
Poi Eschilo, in polemica con Euripide, si pregia di non avere mai messo in
scena Fedre e Stenebee povrna~ (v. 1043), puttane, e nemmeno una
donna in amore[4]: “ejrw'san pwvpot j
ejpoivhsa gunai'ka" (Rane, v. 1044).
La Fedra “sgualdrina” viene moralizzata, direi
quasi cristianizzata da Racine, che la rappresenta convinta della morte di
Teseo prima della dichiarazione d’amore al figliastro. L’autore francese cerca
anche di razionalizzare il mito della discesa di Teseo agli Inferi: “Ho tenuto
pure conto della storia di Teseo, così come è narrata in Plutarco; e in questo
storico ho trovato che la convinzione diffusa, che Teseo fosse disceso agli
inferi per rapire Proserpina, si basava sulla notizia di un viaggio compiuto da
quel principe in Epiro, alle sorgenti dell’Acheronte, presso un re cui Piritoo
voleva rapire la sposa, e che aveva tenuto Teseo prigioniero dopo aver ucciso
Piritoo (...) E la voce della morte di Teseo, fondata su quel mitico viaggio,
dà modo a Fedra di fare una dichiarazione d’amore, che sarà una delle cause
principali della sua rovina e che essa non avrebbe mai osato fare, fin che
avesse ritenuto in vita il suo sposo…Ciò che posso dire con sicurezza è che in
nessun’altra tragedia da me scritta la virtù è messa maggiormente in
luce…Questo è precisamente lo scopo che deve proporsi ogni uomo che lavori per
il pubblico. Ed è questo che i primi poeti tragici avevano in mente sopra ogni
cosa. Il loro teatro era una scuola in cui si insegnava la virtù altrettanto
bene che nelle scuole dei filosofi. Così Aristotele ha voluto fissare le regole
del poema drammatico, e Socrate, il più saggio dei filosofi, non disdegnava di
mettere mano alle tragedie di Euripide” (Prefazione Di Racine alla Fedra [5]).
Il personaggio Euripide delle Rane ribatte
maliziosamente al personaggio Eschilo affermando che nei drammi del rivale in
effetti non c'è nulla di Afrodite (Aristofane, Rane, v.1045), ossia
non c'è grazia. Quindi aggiunge che la storia di Fedra è un fatto reale. Ma
Eschilo replica che il poeta il male deve nasconderlo in quanto egli è
l’educatore dei giovani come il maestro di scuola lo è dei bambini (vv. 1053 - 1055).
L’agone tra i due drammaturghi è vinto da Eschilo che così viene riportato
dagli inferi ad Atene. Alla fine della commedia
c'è un makarismov" dell'intelligenza benefica grazie alla quale Eschilo
potrà tornare sulla terra:"makavriov" g j
ajnh;r e[cwn - xuvnesin hjkribwmevnhn: - pavra de; polloi'sin maqei'n. - o{de
ga;r eu\ fronei'n dokhvsa" - pavlin a[peisin oi[kad j au\qi", - ejp j
ajgaqw'/ me;n toi'" polivtai" , - ejp j ajgaqw'/ de; toi'"
eJautou' - xuggenevsi te kai; fivloisi, - dia; to; sunetov" ei\nai" (vv.1482 - 1490), beato l'uomo che ha
intelligenza acuta: è possibile riconoscerlo da molti segni. Questo qui che si
è rivelato saggio torna di nuovo a casa per il bene dei cittadini, per il bene
dei suoi parenti e amici, perché è intelligente.
Subito dopo Plutone dà a Eschilo, in procinto di
tornare alla luce, l'incarico di educare gli stolti che sono tanti: "paivdeuson
- tou;" ajnohvtou" : polloi; d j eijsivn" (vv. 1502 - 1503).
Una conclusione molto attuale.
Voglio commentarla con due citazioni sul valore morale
dell’intelligenza.
"La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[6].
“Non c’è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di
capire: perché nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito
evangelico che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un
“capisci il prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto
mistico e disumano”[7].
“Intelligenza e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente
affini, reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune:
bontà”[8].
[1]B. Snell, Eschilo e l'azione
drammatica , p. 141.
[2] Zibaldone, pp. 4238 - 4239.
[3] Nietzsche, Di là dal bene e dal
male , Aforismi e interludi, 168
[4] Lo
stesso merito, dubbio assai, se lo attribuisce Manzoni nel Fermo e
Lucia :" Non si deve scrivere di amore in modo da far consentire
l'animo di chi legge a questa passione. Di amore ce n'è seicento volte di più
di quanto sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io
stimo dunque opera impudente l'andarlo fomentando con gli scritti".
[5] La tragedia fu rappresentata la prima
volta nel 1677.
[6] M.
Zambrano, L'uomo e il divino (1955), p. 194.
[7] P. P. Pasolini, Le belle
bandiere, p. 103.
[8] T. Mann, Giuseppe in Egitto, p.
257.
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