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Le Eumenidi (prima parte)
Argomenti
Delfi, l’ombelico del mondo,
la Pizia e i suoi dèi. Apollo conforta Oreste. L’ombra di Clitennestra va ad
aizzare contro il matricida le Erinni che dormono ma nel sonno possono essere
chiaroveggenti. Nella follia dei sogni infatti c’è un metodo. La teoria di
Sigmund Freud
Ora vediamo come si arriva alla conciliazione
delle Eumenidi (Eujmenivde~) raccontando
l’ultima tragedia dell’Orestea per sommi capi. Le Eumenidi sono le
stesse Erinni che solo alla fine dell’ultima tragedia tragedia della trilogia,
e dopo aspra lotta, diverranno, appunto, benevole.
La prima parte del dramma si svolge a Delfi. Nel Prologo
compare la Pizia sacerdotessa di Apollo, "profeta di Zeus"(v.19).
La donna è una figura che impersona il sincretismo
religioso cui Eschilo tende, quindi ella adora anche Gea, la Terra "che fu
la prima profetessa"(v. 2) e Temide
che nel Prometeo incatenato è la madre del Titano identificata
con la terra[1],
mentre qui Temide è figlia della Terra cui succedette nell'oracolo (v. 3); poi
fu la volta di Febe, un'altra figliola della Terra. Febe consegnò l'oracolo ad
Apollo il quale prese così il nome di Febo quando arrivò "alle sedi del
Parnaso" (v. 11).
il culto della Pizia del resto non dimentica
"Pallade Pronáia[2]"
(v. 21) , né le ninfe della "cava rupe Coricia, amica degli
uccelli"(v. 23). Insomma la toponomastica definisce e consacra il luogo
che verrà rappresentato da tanta parte della poesia europea: Ovidio nelle Metamorfosi (I,
vv. 316 - 317) fa apparire la montagna sacra dalle due cime in questi
termini:"mons ibi verticibus petit arduus astra duobus,/nomine
Parnasus, superantque cacumina nubes ", là l'erto monte chiamato
Parnaso mira alle stelle con le due vette, e i gioghi vanno oltre le nubi.
Dante all'inizio del Paradiso dovrà
invocare "amendue[3]"
(I, v. 17) i gioghi "di Parnaso" per entrare "nell'aringo
rimaso"(v.18).
La profetessa non trascura Bromio il quale “occupa il
luogo da quando il dio si mise a capo della guerra delle Baccanti" (vv. 24
- 25).
Questo è Dioniso, il dio popolare, il cui culto durò
fatica ad affermarsi accanto a quello aristocratico di Apollo.
Omero nell'Iliade (VI, vv. 130 - 140)
racconta un episodio di repressione del culto dionisiaco. Euripide nelle Baccanti
invece narra l'affermarsi della religione bacchica tra le donne di Tebe e pure
lui annuncia il compromesso tra le due religioni e le due culture: l'apollinea
e la dionisiaca
"inoltre tu lo vedrai anche sulle rupi delfiche
saltare con fiaccole di pino sul pianoro dalle due cime, agitando e scuotendo
il ramo bacchico, grande per l'Ellade"( Baccanti, vv.306 - 309).
Parla Tiresia suggerendo a Penteo di non ostacolare il culto dionisiaco.
Sentiamo “il grande junghiano”[4] James
Hillman:
“Il richiamo di Dioniso tende a scompaginare il corso
normale della civiltà, e infatti Atena, la sua saggia custode, vietava
l’ingresso del capro di Dioniso nel proprio territorio. Dioniso, “Signore delle
donne”, chiamava a partecipare ai suoi riti entrambi i generi e tutte le età
della vita. Per seguirlo nelle sue danze selvagge sulle colline, le donne
invasate abbandonavano i doveri domestici. Nelle Baccanti di
Euripide, due vegliardi dai capelli grigi accorrono per danzare con lui “tutta
la notte e tutto il giorno. E’ difficile, negli anni vacillanti, impotenti ma
pieni di fantasie della vecchiaia, accettare il fatto di essere seguaci di
Dioniso più di quanto lo si sia mai stati in gioventù, quando ci vedevamo come
grandi scopatori dall’appetito insaziabile”[5].
Questa affermazione del culto di Bacco costa la vita all'oppositore Penteo,
ucciso dal dio che "tessé una trama di morte contro Penteo, come fosse una
lepre lagw; divkhn", ricorda la Pizia ( Eumenidi,
v. 26) [6]. Le ultime invocazioni della
profetessa vanno, oltre che alla potenza di Poseidone, alle fonti del fiume
Plisto, e a Zeus.
Quindi la Pizia entra nel tempio, ma ne
esce subito sgomenta: ha visto: "sull'ombelico, un uomo esecrato dagli
dèi, in posizione di supplice, con le mani che gocciano sangue" (Eumenidi,
vv.40 - 42).
Queste reggono la spada del matricidio e un ramo
d'olivo avvolto in bende di lana. Vicino a lui "una strano battaglione di
donne dorme stando sopra i sedili, nemmeno donne, ma Gorgoni
dico"(vv.46 - 48), anzi peggiori delle Gorgoni, simili ad Arpie, ma ancora
più brutte:" senza ali a vedersi costoro, e nere e abominevoli, e russano
con aliti inavvicinabili e dagli occhi stillano sgradevoli umori"(vv. 51 -
54).
Tali creature, ricorda Rohde in Psiche,
"appartengono a quella "mitologia inferiore", che raramente penetra
in Omero, la quale vorrebbe conoscere molte cose che stanno fra cielo e terra,
di cui l'epos aristocratico non ha notizia alcuna. In Omero esse non operano di
propria autorità; ma soltanto come ancelle degli dèi o di un dio, rapiscono i
mortali trasportandoli là, dove non penetra nessuna notizia e potenza
umana" (p.76).
Quindi interviene Apollo a maledire: "le
abominevoli ragazze vecchie fanciulle antiche cui non si congiunge mai uno
degli dèi né un uomo né una fiera. Per il male esse nacquero, dato che abitano
la tenebra[7] malvagia
e il Tartaro sotterraneo, odio degli uomini e degli dèi olimpi"(vv. 68 - 73).
“Il Tartaro è la prigione sotterranea riservata ai
peccatori senza speranza e agli dèi prigionieri, il luogo più buio
dell’universo: ved. Esiodo, Theog. 720 - 819”[8].
Il dio consiglia a Oreste di rifugiarsi nella città di Pallade (v. 79), ad
Atene, dove egli, il profeta di Zeus, lo farà assolvere dai giudici. Febo
dunque si prende la responsabilità dell'accaduto: "Fui io infatti a
persuaderti a uccidere il corpo materno"(v. 84). Vedremo che nelle
tragedie di Euripide gli dèi non sono altrettanto responsabili. Soprattutto
Apollo viene spesso criticato dai personaggi.
Oreste dunque viene confortato da un Febo
coerente e giusto (v.85) che affida il suo protetto al fratello Ermes, poi se
ne va.
Quindi appare l'ombra di Clitennestra che rimprovera
le Erinni per la loro passività. Esse infatti dormono.
La madre assassinata però riconosce a chi dorme una
chiaroveggenza superiore: "l'anima che dorme risplende di occhi, mentre di
giorno la parte assegnata ai mortali non vede con chiarezza" (vv.104 - 105).
Gli occhi della mente dunque sono più acuti di
quelli facciali o della facciata, e la visione notturna può essere
chiaroveggente più della vista diurna, spesso fallace, come attestano il cieco
Tiresia, Edipo accecatosi, e come del resto ripropone il metodo di Freud.
La follia metodica dei sogni
Freud sostiene che "ogni sogno si rivela
come una formazione psichica densa di significato"[9] e che nella
follia onirica, come in quella di Amleto, c'è un metodo. L'autore di L'interpretazione
dei sogni riconosce il suo debito alla letteratura classica:"Non
diversa era l'opinione degli antichi sulla dipendenza del contenuto onirico
dalla vita" (p. 29).
Quindi Freud cita un episodio di Erodoto, grosso modo, e, in latino dei
versi di Lucrezio:"Et
quo quisque fere studio devinctus adhaeret,/aut quibus in rebus multum sumus
ante morati/atque in ea ratione fuit contenta magis mens,/in somnis eadem
plerumque videmur obire:/causidici causas agere et componere
leges,/induperatores pugnare ac proelia obire,/nautae contractum cum ventis
degere bellum,/nos agere hoc autem et naturam quaerere rerum/semper et inventam
patriis exponere chartis [10]", De
rerum natura , IV, 962 - 970, e quasi sempre l'attività cui ciascuno è
strettamente legato, o ciò su cui ci siamo molto intrattenuti prima, e in quel
meditare si è più contenuta la mente, questi medesimi pensieri comunemente ci
sembra di incontrare nei sogni: gli avvocati trattano cause e confrontano
leggi, i generali combattono e affrontano battaglie, i marinai continuano la
guerra ingaggiata coi venti, noi facciamo quest'opera, e indaghiamo la natura
sempre, e, scopertala, la esponiamo in carte latine.
L'inventore della psicoanalisi utilizza molto i classici ed è interessante
se non altro quale saggista letterario.
Il sogno dunque è spesso l'appagamento mascherato di un desiderio rimosso;
in altre parole le idee latenti nel presentarsi si camuffano, quindi, per
conoscerle, bisogna cavar loro la maschera. Allora bisogna tenere conto
della condensazione per
cui "ogni situazione porta la traccia di due o più reminiscenze della vita
reale (...) non è neanche raro che il processo del sogno si diverta a formare
un'immagine composta con due idee contrastanti; per esempio una giovane donna
sogna di portare un ramo fiorito, quello dell'angelo nei quadri
dell'Annunciazione (simbolo d'innocenza; questa giovane si chiama Maria).
Soltanto, in questo caso, il ramoscello porta dei fiori bianchi e carnosi simili
alle camelie. (Il contrario dell'innocenza: la signora dalle camelie)"[11].
La condensazione onirica tra l'altro può spiegare gli ibridi mostruosi
della mitologia e della letteratura.
Poi, sempre per risalire alla parte latente, e vera, si deve
considerare lo spostamento
psichico o spostamento nel sogno:"tutto ciò che vi era di
essenziale nelle idee latenti è rappresentato nel sogno da particolari secondari"[12]. Per giunta le idee latenti si
manifestano travestite, attraverso immagini:"Tali idee non ci si
presentano sotto la forma verbale più riassuntiva possibile, con la quale noi
abbiamo l'abitudine di concretare i nostri pensieri, ma il più delle volte
trovano un mezzo simbolico per esprimersi, il mezzo di cui si serve il poeta che nella sua opera fa uso
di raffronti e di metafore"(p. 67). Il sogno infatti si rappresenta "con una serie di immagini visive"
(p. 68) le quali sono alimentate dai ricordi che hanno lasciato maggiore
impressione e "la cui origine risale addirittura alla prima
infanzia". Le idee latenti, dicevamo, si mascherano perché la coscienza
non le ammette, e i sogni,
che si formano con lo stesso procedimento dei sintomi nevrotici e dei lapsus,
"sono realizzazioni velate di
desideri inibiti"(p. 102).
Freud suddivide i sogni "dal
punto di vista di realizzazione di desideri (...) in tre categorie: in primo luogo sta il sogno che senza camuffamenti rappresenta
un desiderio non inibito. E' questo il sogno di tipo infantile che
diviene sempre meno frequente man mano che il fanciullo cresce (...) In secondo luogo abbiamo il sogno camuffato
che rappresenta un desiderio inibito. La maggior parte dei nostri sogni
è di questo tipo ed ecco perché non possono venir compresi senza l'analisi
(...) Infine viene il sogno che esprime un desiderio inibito senza
travestimento o con un travestimento molto ridotto. Quest'ultimo sogno è sempre
accompagnato da una sensazione di angoscia che lo costringe
all'interruzione" (p. 103).
Un caso di visione notturna che rappresenta un desiderio non camuffato,
sebbene fino a quel momento inibito, è quello di Medea nelle Argonautiche di Apollonio Rodio: la
ragazza sogna che Giasone sia andato nella Colchide non per il vello d’oro, ma
per lei: per portarla nella sua casa come legittima sposa (3, 619 sgg.). “Si
tratta di un sogno “fotografico”, in cui il desiderio compare nella sua
trasparenza, praticamente senza l’intervento della condensazione e dello
spostamento… Nella poesia antica il sogno aveva sempre un carattere premonitore
e allegorico: qui invece per la prima volta si configura come chiara
realizzazione di desiderio”[13].
Bologna
primo gennaio 2021 ore 19, 50.
giovanni ghiselli
[1] Qevmi"
- kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( vv. 209 - 210), Temide e
Terra, una sola forma di molti nomi. Prometeo che è una creatura
della Magna mater, la divinità femminile mediterranea, racconta,
siccome "l racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore "(v.
197), che la madre gli aveva predetto il futuro.
[2] La cui statua cioé si trova davanti al tempio
[3]Nisa,
sede delle Muse, e Cirra sacro ad Apollo.
[4] F. Frabboni, Sognando una
scuola normale, p. 105.
[5] La forza del carattere,
pp. 167 - 168.
[6] Questo Dioniso vendicativo e crudele della tragedia si
trova in contraddizione con quello già menzionato di Omero che nel VI dell'Iliade
lo raffigura mentre "spaventato si immerse nel flutto marino" dove
"Tetide lo accolse nel suo seno terrorizzato e tremante "(vv. 133 - 135)
perché aveva subito le minacce e l'inseguimento di "Licurgo
omicida"(v. 132). Spaventato appare anche il Dioniso delle Rane
che Aristofane rappresenta mentre fugge,
terrorizzato da Empusa, tra le braccia del suo sacerdote (v. 297). Quindi il
servo Xantia ha l'impudenza di apostrofarlo con:" oh tu, davvero il più
vigliacco degli dèi e degli uonmini!"(v. 486). Del resto il dio se l'era
voluta cacandosi addosso dalla paura (v.479) solo al sentire parlare di mostri.
Questi, si potrebbe obiettare, sono soltanto lazzi scatologici, ossia
stercorari, di "quel pagliaccio di Aristofane", ma non dobbiamo
dimenticare che il travestimento derisorio di Socrate nelle Nuvole contribuì
alla sua condanna a morte e, dunque bisogna inferirne che tali parodie della
commedia antica erano radicate in un sostrato di opinioni correnti e popolari. Del
resto anche il Dioniso di Sofocle non è il nume sanguinario di Euripide: nell'Antigone anzi,
se è vero che il dio punisce la violenza di Licurgo, del resto senza
spargimento di sangue: ("E fu aggiogato il collerico figlio di Driante re
degli Edoni, per le ire oltraggiose rinchiuso da Dioniso in una prigione di
pietra", Antigone, vv. 955 - 958), è pur vero che il dio
rappresenta la gioia giovanile della danza e del libero gioco in termini tanto
terreni quanto cosmici:"Oh tu che guidi le danze degli astri che spirano
fuoco, custode dei canti notturni, ragazzo progenie di Zeus, appari, signore,
insieme con le tue seguaci Tiadi che impazzite, per tutta la notte festeggiano, ballando, Iacco
dispensatore"(Antigone, vv. 1146 - 1152). Una dimensione ludica che
viene confermata dall'Edipo re :"sia che il dio bacchico il quale abita sulle cime dei
monti ti abbia accolto come trovatello da una delle Ninfe dell'Elicona, con le
quali gioca moltissimo" (vv. 1104 - 1108). Arriano forse ci dà una
spiegazione di queste contraddizioni ricordando che come ci sono tre Eracli
diversi, allo stesso modo gli Ateniesi venerano un altro Dioniso, figlio di
Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo Dioniso,
non a quello tebano (Arriano, Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3).
[7] Sono dunque divinità fatte per quanti preferiscono le
tenebre alla luce, poiché, come dice il Vangelo di Giovanni:" erant
enim eorum mala opera ", le loro opere erano malvagie(3, 19).
[8] Avezzù - Guidorizzi, Edipo
a Colono, p. 359.
[9]L'interpretazione
dei sogni , (del 1900) p. 23.
[10] Gli ultimi tre versi non
compaiono nella citazione freudiana.
[11]Freud, Il
sogno e la sua interpretazione , (del 1900) pp. 45 e 53
[12]Freud, Il
sogno e la sua interpretazione ., p. 59
[13] Massimo
Fusillo, Apollonio Rodio in Lo spazio letterario della Grecia antica,
Volume I, Tomo II, L’Ellenismo, p. 123
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