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domenica 3 gennaio 2021

Eschilo. "Le Eumenidi", VII parte

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Argomenti

Eschilo profeta di Giustizia

 

Il processo al matricida Oreste. Apollo lo difende affermando che nella generazione di un figlio la madre conta poco. E’ il maschio che fa quasi tutto.

 

Le Erinni dunque si avvicinano alla soluzione del conflitto con Atena e Apollo, prescrivendo regole accettabili da qualsiasi religione rispettosa della vita: “La dismisura demenziale (u{bri~)[1] è figlia di empietà secondo il vero” (Eumenidi, v. 534).

Quindi, proseguono le Erinni, sulla via di diventare Eumenidi:

Eschilo profeta di Giustizia stralcio dal corso sulla tragedia.

Queste parole potrebbero essere attribuite anche a Papa Francesco, o a Sant’Ambrogio, o a Giovanni Battista, o a Cristo

"Rispetta l'altare di Giustizia, e non disprezzarlo prendendolo a calci con piede ateo mirando al profitto - kevrdo" ijdwvn - poiché seguirà punizione"( Eschilo, Eumenidi, secondo stasimo vv.539 - 541).

 

Gli stessi accenti posati sulla forza vincente e ineludibile della Giustizia si trovano nell’Agamennone.

Eschilo è in effetti uno dei profeti della Giustizia.

"infatti non c'è difesa per l'uomo che teso a sazietà di ricchezza ha preso a calci il grande altare di Giustizia, con il proposito di annientarla" (Agamennone, primo stasimo 381 - 384).

 

E, poco più avanti:

"Ogni rimedio è vano. Il danno non rimane nascosto,

ma risalta, quale luce di sinistro bagliore; e, come bronzo cattivo, per sfregamento e colpi, risulta fatto di grumi neri il colpevole sottoposto a giustizia, poiché, insegue come fanciullo un uccello che vola, dopo che ha imposto alla città sciagura insostenibile" (Agamennone, 387 - 394).

 

 

Torniamo alle Erinni le quali ripetono i precetti che facevano già parte dell'educazione morale e pure formale dell'uomo omerico: ciascuno deve provare"venerazione per i genitori"

(Eumenidi, v. 545) e rispetto per gli ospiti.

La religione delle Erinni si assimila sempre più a quella degli dèi olimpici. Ancora: La Giustizia salva dall'infelicità colui che la segue eJkwvn d j ajnavgka~ a[ter (v. 550), di sua volontà, non costretto, mentre "ride il demone sull'uomo violento, vedendo in sventure irrimediabili colui che non se le sarebbe mai aspettate, e non ce la fa nella sua debolezza a superare la vetta, quello che avendo scagliato il benessere di un tempo contro lo scoglio della Giustizia[2] va in malora per sempre, illacrimato, annientato" (vv. 560 - 565).

Sono le ultime parole del secondo stasimo.

 

 All’inizio del Terzo Episodio (vv. 566 - 777) si apre il processo davanti ai giudici dell’Areopago.

Imputato è il matricida, Apollo il difensore, le Erinni accusatrici. Atena presiede il tribunale da lei stessa istituito. Un presidente non imparziale, però

Febo, dopo avere affermato che ha già purificato Oreste (v.578), si prende la responsabilità del matricidio (v.580).

 

La divinità delfica è interpretata in maniera molto diversa da Euripide che la rappresenta capace di abbandonare non solo i suoi protetti, ma anche il figlio Ione avuto da Creusa, come vedremo.

 

Atena dà la parola all'accusa per prima. Le Erinni procedono facendo domande all'imputato il quale non nega di avere ammazzato la madre (v.588); anzi afferma di averle tagliato la gola (v.592). Così rivendica dignità al suo delitto, come ha fatto Prometeo, e anzi cerca di santificarlo indicando Apollo quale mandante e testimone (v. 594).

 

“Abbastanza spesso il delinquente non è all’altezza della sua azione: egli la minimizza e la calunnia”[3].

 

Proust pensando a Edipo e Oreste considerò l’uccisione dei genitori un delitto di dignità mitologica, e in qualche modo accettò questa difesa del matricida: “Furono i tragici Greci e Dostoevkij[4] a fargli intendere la grande infelicità del peccatore, la sua immensa solitudine. In un passo che non si trova nelle sue opere, perché soppresso, in quanto i contemporanei temettero di leggervi l’apologia del matricidio, Proust ricordava che nessun altare fu considerato dagli antichi più sacro, circondato da più profonda venerazione e superstizione quanto le tombe d’Edipo a Colono e di Oreste a Sparta”[5].

 

L'Oreste di Eschilo dunque afferma che Clitennestra meritava la morte: "infatti portava le macchie di due delitti pestiferi"(Eumenidi, v. 600). Ammazzò il marito e il padre dei suoi figli.

 

Ma le Erinni non cedono ancora. La corifèa sostiene di nuovo che Clitennestra, uccidendo il marito, non era poi tanto colpevole: "non era consanguinea (o{maimo~) dell'uomo che uccise"(v.605).

 

Oreste, in difficoltà, chiede l'aiuto di Febo il quale, dopo essersi proclamato profeta di Zeus, nega, senza esitare, l’equivalenza dell'uccisione di Clitennestra e di quella del “nobile eroe onorato di scettro concesso da Zeus" (vv. 625 - 626), tanto più per il fatto che il re venne ammazzato a tradimento, quando, appena tornato dalla guerra (v.631), la moglie prima lo accolse con volto lieto (v. 632) poi gli preparò il bagno nella vasca (v. 633), quindi gli gettò addosso un mantello grande come una tenda (v.634), e infine,

"dopo averlo inceppato con un bel peplo inestricabile, lo colpisce (kovptei[6]), vv. 634 - 635.

 

La Corifèa a questo punto fa un'obiezione che sembra un gioco sofistico[7]: se Zeus si prende tanta cura della sorte dei padri, come mai "egli stesso mise in ceppi il vecchio padre Crono?"(v. 641). Una obiezione che viene ripresa nelle Nuvole di Aristofane dal discorso ingiusto (vv.904 - 905)

Il riferimento è alla lotta tra la terza generazione divina e la seconda, uno scontro che si risolse con il trionfo degli dèi olimpi e del cosmo sul caos.

 Apollo quindi replica con una difesa della vita, seppure non di quella di Clitennestra: un incatenato può essere sciolto ma: "una volta che la polvere (kovni~[8]abbia succhiato il sangue di un uomo ucciso, non c'è nessuna resurrezione - ou[ti" e[st ajnavstasi"(vv. 647 - 648)

 

Una nobile difesa della vita umana come si vede, oltretutto in accordo con quanto afferma il Coro formato dagli anziani di Argo nell'Agamennone[9], un'apologia anche efficace, ma unilaterale, in quanto non tiene conto della vita di Clitennestra.

 

A lei pensano le Erinni che rinfacciano il matricidio a Oreste e al suo difensore: "dopo avere versato nel suolo il sangue della madre che scorre anche in lui, abiterà poi in Argo nella casa del padre?" (vv. 653 - 654).

A questa domanda Apollo risponde con una affermazione di patriarcato e di antifemminismo estremo. Vale la pena riferirla per quanto è fuori e fuori luogo adesso: "La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~ , ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera (tivktei) il maschio che la monta; colei, come un ospite con un ospite, salva il germe (e[rno~), per quelli ai quali un dio non l’abbia distrutto" (vv. 658 - 661).

 

 Nell’ Oreste di Euripide, il protagonista, per scagionarsi, utilizza il medesimo argomento della generazione patrilinea.

Infatti Oreste dice al nonno Tindaro che lo ha accusato di spietatezza, poiché non si è fermato nemmeno davanti al seno della madre: “path;r me;n ejfuvteusen me, sh; d j e[tikte pai'~, - to; spevrm j a[roura paralabou's j a[llou pavra: - aneu de; patro;~ tevknon oujk ei[h pot j a[n” (vv. 552 - 554), il padre mi ha generato, tua figlia mi partoriva,/un campo ha preso il seme da un altro: - senza il padre non ci sarebbe mai un figlio.

In questa fase la tendenza portata avanti da certe femministe è quella di minimizzare la partecipazione del maschio alla nascita di un figlio: la donna può decidere da sola se fare nascere il bambino di cui è gravida, significa che l’uomo, il padre, conta poco o niente.

 

Ma il coro di donne argive nell’epodo del secondo stasimo ribatte che non c’è sulla terra malattia, lacrime, pena più grande che versare con la propria mano a terra il sangue della madre ammazzata (Oreste, vv. 832 - 833)

 

Sono esempi di logica doppia, aperta al contrasto.

 L’autore di Il pensiero storico classico riconosce alla cultura dei Greci una maggiore disponibilità a considerare e accettare punti di vista diversi tra loro: "La nostra logica è rettilinea, astratta: quella dei Greci è sempre aperta al contrasto. Nell'Oresteia di Eschilo Divka Divkai (xymbaleî ) "Dika si scontrerà con Dika"[10]: ci possono essere due Dikai, due Giustizie nel caso dell'Oresteia , quella "matriarcale" di Clitennestra ( e delle Erinni, a cui il ghénos di Eschilo non può sacrificare) contro quella "patrilinea" di Oreste (e di Apollo, il dio degli Alcmeonidi legati al ghénos Eupatrida di Eschilo). Così in Erodoto: c'è la "tirannide" dei Greci nemica di Dike; ma c'è anche la "tirannide" di Deioce per cui i Medi hanno kòsmos ed eunomìa , e la "tirannide" di Ciro, dalla quale i Persiani ricevono "libertà", eleutherìa "[11].

 

Questa logica aperta al contrasto diviene metodica già con i Dissoì lògoi [12] i “Discorsi in contrasto”, presenti pure nelle Antilogie perdute di Protagora[13] il quale "fu il primo a sostenere che intorno ad ogni argomento ci sono due asserzioni contrapposte tra loro" come ricorda Diogene Laerzio (9, 51).

 

Le lezioni dei sofisti “erano particolarmente adatte a esercitare la riflessione, la capacità di osservazione e l’attitudine all’analisi, ossia a sviluppare quella libera vivacità di spirito che è ancora oggi il fine dell’istruzione. I sofisti insegnavano a parlare pro e contro ogni causa, mostrando che solo la chiara intelligenza delle ragioni favorevoli e contrarie assicurava la massima libertà di decisione contro le pretese di un sentimento immediato e inconsapevole. E’ quel che distingue anche oggi la persona colta da quella incolta, la capacità di non rimanere in balìa delle impressioni e di momentanei impulsi arbitrari, bensì di acquistare padronanza di sé e dei propri affari grazie a un’intelligenza lucida e a un esame spregiudicato delle cose”[14].

 

giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] Sofocle, delfico ortodosso, scriverà che l’u{bri~ è madre e nutrice del tiranno: "u{bri" futeuvei tuvrannon, (Edipo re , v. 873), la prepotenza fa crescere il tiranno.

[2] L'immagine della collisione con Diche è ricorrente nella tragedia: Sofocle nell'Antigone fa dire al Coro queste parole:"Avanzando verso l'estremità dell'audacia, hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia, creatura, con grave caduta."(vv.853 - 855). 

[3] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Aforismi e interludi, 109.

[4] “Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo distinguere, tra quelli che si erano ammassati nella sua cella, Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare la cosa più orribile e a sopportare il più disumano dolore” (P. P. Pasolini, Scritti corsari, p. 64) ndr. 

[5] Giovanni Macchia, L’angelo della notte, p. 166.

[6] Con questo tempo presente la corifèa sembra suggerire che la donna assassina colpisce ancora e colpirà sempre fino a quando quel delitto non verrà esemplarmente castigato. 

[7] Il gioco sofistico porta perfino a un capovolgimento del valore della parola che indica il peccato universale dei Greci: nelle Nuvole il Discorso ingiusto (Lovgo" a[diko" ) sostiene che Tetide lasciò Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv" , v. 1067) e non era piacevole passare la notte con lui, mentre la donna gode a essere sbattuta. L' u{bri" , la violenza, applicata alla libidine della donna, diviene un valore. 

[8] La polvere è il simbolo negativo della sterilità e della morte: prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere. "Alexander died, Alexander was buried, Alexander returned into dust" (Amleto, 5, 1), Alessandro morì, Alessandro fu sepolto, Alessandro ridivenne polvere. Nell'Agamennone di Eschilo, l'araldo che viene ad annunciare l'arrivo del vincitore è accompagnato dal segno negativo della diyiva kovni" (v. 495), l'assetata polvere, sorella vicina del fango. Nell' Antigone il segno positivo della luce viene contrapposto a quelli negativi della polvere, del sangue e della pazzia: "Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce (favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva... kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599 - 603). Nel carme 66 di Catullo, i distici di biasimo dell'adulterio (vv.79 - 88) aggiunti alla Chioma di Berenice di Callimaco associano la polvere all'impurità delle spose infedeli le cui offerte votive infauste vengono rifiutate dalla chioma incielata della casta sposa di Tolomeo III Evergete (246 - 222): "sed quae se impuro dedit adulterio,/ illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis/namque ego ab indignis praemia nulla peto", ma se qualcuna si concede all'impuro adulterio, ah la polvere leggera beva inutilmente i doni maledetti di quella, io infatti non voglio le offerte delle donne indegne (vv.84 - 86). Nella Ricerca di Proust la polvere simboleggia l'insignificanza:"l'esistenza offre interesse solo nelle giornate in cui alla polvere della realtà viene a mischiarsi sabbia magica, in cui qualche volgare incidente della vita diventa una molla fantastica"[8]. Insomma: "I will shaw you fear in a handful of dust" (T. S. Eliot, The Waste Land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura. 

[9] “Una volta caduto a terra nero sangue mortale di quello che prima era un uomo, chi potrebbe farlo tornare indietro incantando? (vv. 1019 - 1021).

[10]Coefore 461: " [Arh" [Arei xumbalei', Divka/ Divka".

[11]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , I, p. 175.

[12] " Un testo che può definirsi la formulazione "relativistica" del pensiero dei sofisti… Gli "agoni di discorsi" tucididei echeggiano questa problematica, pur a mezzo secolo di distanza dai Dissoì lògoi… uno scritto sofistico redatto verso il 450 o al più tardi 440" (S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 1 pp. 258 ss.).

[13] Nato nella ionica Abdera intorno al 485 a. C., all'incirca coetaneo di Euripide dunque.

[14] J. G. Droysen, Aristofane, p. 194.

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