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Argomenti
Accostamento di Prometeo al grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov. Apollineo e dionisiaco. Claudio Magris e l’apollineo incarnato da Odisseo. Prometeo è una maschera dionisiaca secondo Nietzsche
Prometeo, che toglie agli uomini la
visione del destino e dona loro le tevcnai, si
comporta come il grande Inquisitore della leggenda di Ivan
Karamazov il quale racconta ad Alioscia questo suo poema composto solo
mentalmente. Il redentore
era affamato dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno. Il diavolo gli
disse. "Si Filius Dei es, dic, ut lapides isti panes fiant"[1], se
sei figlio di Dio, di' che queste pietre divengano pani". E Cristo
rispose."Non in pane solo vivet homo, sed in omni verbo, quod procedit
de ore Dei " (4, 4), non di solo pane vivrà l'uomo ma di ogni
parola che viene dalla bocca di Dio. Ebbene l'Inquisitore rinfaccia al
Redentore questa scelta: "Ma Tu non hai voluto togliere all'uomo la
libertà e hai respinto la proposta (…) La Tua risposta fu che l'uomo non vive
di solo pane; sai Tu, però, che in nome di questo pane quotidiano si solleverà
contro di te lo spirito della terra ed entrerà in lotta con Te e Ti vincerà, e
tutti lo seguiranno (…) Si persuaderanno pure che non potranno mai essere
liberi, perché sono deboli, viziosi, miserabili e ribelli. Tu hai promesso loro
il pane celeste, ma - lo ripeto ancora - come potrebbe esso tornar gradito
quanto il pane terrestre, agli occhi della debole, eternamente viziosa e
ignobile razza umana?".
Solo pochi essere forti e
grandi sono capaci di intendere e seguire il Cristo. La gran parte dell'umanità
non può capirlo. Né Lui può comprendere questa moltitudine.
"A noi - continua il Grande
Vecchio - invece, sono cari i deboli. Essi sono depravati e ribelli, ma,
infine, i più obbedienti saranno proprio loro. Essi ci ammireranno e ci
considereranno come altrettanti dei, per aver consentito, dopo esserci messi
alla loro testa, a prendere sulle nostre spalle il carico della libertà, della
quale essi hanno avuto paura, e per aver consentito a dominarli; tanto tremendo
finirà col sembrar loro l'essere liberi! (…) Per l'uomo rimasto libero non
esiste una preoccupazione più assillante e tormentosa che quella di trovare al
più presto qualcuno davanti al quale prosternarsi". [2]
Secondo Snell anche Prometeo si
sobbarca il peso colossale della libertà "Nella contrapposizione di tevcnh e ajnavgkh viene data una concisa formulazione
al conflitto tra conoscenza e fato, tra agire e soffrire, tra libertà e
costrizione, che si trova pure nelle precedenti tragedie. Il peso della libertà
è qui più grave che in tutte le opere anteriori (…) Poiché l’ambito, al quale
il personaggio si sente legato e per il quale s’impegna, si è così
smisuratamente allargato, ora la responsabilità pesa unicamente su di lui"[3].
E. Severino dà un’altra
interpretazione “La somma potenza produttiva e distruttiva non è la tevcnh ma la Necessità: la tevcnh è il
mezzo, lo strumento attraverso il quale la Necessità stabilisce la sorte
dell’uomo. Anche per Eschilo ajnavgkh è Divkh: divkh è lo stesso apparire (divkh, deivknumi) di ajnavgkh. E la
coscienza di questa necessità è la somma sapienza della filosofia”[4].
Secondo Severino in questa tragedia
sarebbe preannunciato il passaggio dallo Zeus del mito allo Zeus filosofo:”
Eschilo apre la strada all’intera tradizione filosofica dell’Occidente (…)
Eschilo sta dunque portando alla luce la differenza tra lo Zeus del mito e lo
Zeus che è la forma più alta dell’essere ed è il contenuto del culmine della
sapienza, cioè del dei`xai
safw`~ della
filosofia: lo Zeus che, come Prometeo, non è più dominato dalla u{bri~ ma dal culmine della sapienza, è dunque lo Zeus filosofo” (p. 125 - 126).
Prometeo nell’esodo afferma di
avere Zeus in pugno poiché, sebbene sia un tiranno aujqavdh~ (v. 907), tracotante, sta per celebrare delle nozze[5] che lo
sbalzeranno dal trono secondo la maledizione di Crono.
Nessuno degli dei tranne me,
aggiunge il Titano, potrebbe indicargli una via di scampo da tali travagli con
chiarezza: “toiw`nde
movcqwn ejjktroph;n oujdei;~ qew`n - duvnait j a]n aujtw`/ plh;n ejmou` dei`xai
safw`~” (vv. 913 -
914).
Severino interpreta questo dei`xai safw`~ come il “culmine della sapienza”. Egli assimila a
questa espressione del Prometeo incatenato il “frenw`n to; pa`n[6] dell’Agamennone di
Eschilo (v. 175), in entrambi i casi “il culmine della sapienza” che poi sarà
chiamata filosofia”[7].
Invero si tratta di safev~ , ma anche se si trattasse di sofovn , "to; sofo;n d jjj ouj sofiva" il sapere non è sapienza,
come afferma nelle Baccanti (v. 395) di Euripide il coro, e
comunque è il sapere di Prometeo non è la sapienza di Zeus.
Il primo peccato di Prometeo è stato
quello antiapollineo di avere tentato di annientare il principium individuationis che
deve differenziare gli uomini dagli dèi.
"Il Prometeo di Eschilo è sotto
questo aspetto una maschera dionisiaca"[8].
A proposito di Dioniso e
del principium individuationis, si pensi alle Baccanti:
“ come il principio d’individuazione a cui l’uomo si aggrappa è una fragile ma
rassicurante barriera che gli consente di essere e di pensarsi, così la
tentazione di confondersi nuovamente con le primordiali forze della natura
agisce pericolosamente sulla sua anima[9]. Stringere
i legami tra sé e gli altri, scavalcare la barriera degli anni, che divide i
giovani e i vecchi (come nella tragedia accade a Tiresia e Cadmo), superare le
differenze sociali: ecco il richiamo che il culto di Dioniso propone a chi vi
si abbandona”[10].
Io trovo che nelle Baccanti ci
sia piuttosto un’individuazione settaria, di setta, con un’esclusione criminale
degli altri e l’acquisizione di un’identità gregaria per quanti compongono il
tiaso.
Odisseo sfugge sempre alla
tentazione di perdere la propria identità.
Claudio Magris:"Come diranno
più tardi Adorno e Horkheimer, l'io occidentale è simboleggiato da Odisseo, che
costruisce faticosamente la propria identità ed il proprio dominio - su Itaca,
sul suo equipaggio e su se stesso - rinunciando alle sirene, a Calipso e al
fiore del loto ossia resistendo alla tentazione di abbandonarsi alla beata
indifferenza in grembo alla natura"[11].
E’ ineccepibile la collocazione
dell'uomo Odisseo nella categoria dell'apollineo: egli è l'uomo che si
individua nella conoscenza e nel dolore, quindi difende e mantiene il principium
individuationis davanti a tutte le lusinghe e contro tutti gli assalti.
L'Odissea è dunque
"hjqikhv", fatta di caratteri, prima di
tutto quello del suo protagonista, come la definiva già Aristotele[12], oltre che
complessa per via dei numerosi riconoscimenti, a partire dall' ajnagnwvrisi" che di se stesso compie Odisseo. E attraverso la sua
lettura tutti noi possiamo riconoscere qualche cosa di quello che siamo,
arrivando alla scienza suprema, quella prescritta dall'oracolo delfico.
"Conosci te stesso" è tutta
la scienza. Solo alla
fine della conoscenza di tutte le cose, l'uomo avrà conosciuto se stesso. Le
cose infatti sono soltanto i limiti dell'uomo"[13].
giovanni ghiselli
[1] Matteo,
4, 3.
[2] F:
Dostoevskij. I fratelli Karamazov, pp. 320 e sgg.
[3] B.
Snell, Eschilo e l'azione drammatica, pp. 122 - 123.
[4] E. Severino, Dall’Islam
a Prometeo, p. 128..
[5] Con
Teti.
[6] E’ la
pienezza del senno che otterrà chi innalza volentieri epinici a Zeus (Agamennone,
vv. 174 - 175), n.d.r.
[7] Dall’Islam
a Prometeo, p. 126.
[8] Nietzsche, La
nascita della tragedia, capitolo 9.
[9] Com’è
noto, era questo l’aspetto dello spirito dionisiaco che Nietzsche sviluppò in
modo particolare nella Nascita della tragedia, anche per influsso
delle sue letture di Schopenhauer.
[10] Guidorizzi, Euripide
Baccanti, p. 18.
[11] Claudio
Magris. L’anello di Clarisse, p. 6
[12]Poetica , 1459b.
[13]Nietzsche, Aurora ,
libro promo, 48.
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