NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 31 agosto 2020

Lucano XXXII. Introduzione a Lucano. "Pharsalia". Libro VI (versi 1-103)

Berlinde De Bruyckere, Honte

Introduzione a Lucano. "Pharsalia". Libro VI (versi 1-103)

Libro VI
Sommario:
Battaglia di Durazzo. Successi parziali di Pompeo
I due eserciti marciano verso la Tessaglia, terra di streghe maghe
La più potente è Eritto cui Sesto Pompeo chiede il futuro
Eritto evoca un morto che fa previsioni catastrofiche per Roma

Vediamo ora i primi cento versi

Argomenti
Cesare e Pompeo quale coppia di gladiatori.
Descrizione di una peste, dei contagi, delle morti

Cesare e Pompeo si dispongono alla battaglia finale come una coppia - par - (v. 3) di gladiatori.

Gli spettacoli circensi - mera homicidia - secondo la testimonianza di Seneca sono diventati esemplari per la guerra civile.

Seneca, tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia omicidi veri e propri, commenta:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è: "recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).

Cesare vuole rischiare: placet alea fati (8) gli piace il dado del fato il gioco d’azzardo, alterutrum mersura caput che avrebbe sommerso una o l’altra testa. Non riesce a provocare il genero, allora si precipita a Durazzo.
Però Pompeo lo previene andando a difendere la colonia corinzia del resto già ben difesa dalle sue torri e dalla posizione naturale: dal mare, scopulisque vomentibus aequor e da scogliere che vomitano acqua (24).
Rocce terrificanti per le navi sorreggono le mura - Terribiles ratibus sustent moenia cautes (26) e lo Ionio furente quando è sollevato dall’Austro rabbioso sparge schiuma fin nelle loro cime spumatque in culmina pontus (28).
Il mare spesso arrabbiato funge da correlativo oggettivo degli stati d’animo dei personaggi.
Una spes improba afferrò la mente di Cesare avida di guerra (29)
Egli circonda dalla terra l’esercito di Pompeo con un terrapieno. Tuttavia agli assediati rimane un ampio spazio di manovra e il mare per rifornirsi. Le mura di Ilio costruite dagli dèi e quelle di Babilonia che i Parti avvezzi a fuggire refŭgi Parthi possono pure ammirare, non furono un opus grande come questo di Cesare. Però tanti periere labores 54 - andarono perduti. Eppure “tot potuere manus aut iungere Seston Abydo” schiacciando sotto i massi lo stretto di Frisso, ossia l’Ellesponto, o aprire un canale a Corinto, e condonare alle navi la curva imposta ai naviganti dalla lunga Malea. Il dito più più orientale e meridionale del Peloponneso

Nell’ Odissea III, 287 il capo Malea è indicato come luogo difficile, scosceso (aijpuv")
La Medea di Seneca dice:
“Ridurrò il palazzo a un alto mucchio di cenere;
vedrà il fosco vortice portato dalle fiamme
il capo Malea che impone alle navi fuorviate lunghi ritardi (Medea, vv. 147 - 149). Mi dispiace di non essere più preciso ma non ho questi due testi a Pesaro con me. Rimedierò a Bologna
 Plinio il Giovane in una lettera a Traiano ricorda la difficoltà incontrata nel doppiare questo pomontorio: "nuntio tibi me Ephesum cum omnibus meis uJpe;r Malevan navigasse, quamvis contrariis ventis retentum" (X, 15), ti comunico che ho navigato fino a Efeso con tutti i miei dopo avere doppiato capo Malea, sebbene ostacolato dai venti contrari.

Comincia qui la guerra civile. Pompeo non capisce il significato dell’opera veluti mediae qui tutus in arvis - Sicaniae rabidum nescit latrare Pelorum (65 - 66), come chi si trova sicuro nei campi della Sicilia di mezzo, non sa che Peloro latra rabbioso. Capo Peloro è la punta nord orientale della Sicilia.
 Così quando il mare soggetto alle marèe - vaga cum Tethys e le coste di Rutupie Rutupĭnaque litora (attuale Kent) ribollono, l’unda turbata rimane sconosciuta ai Britanni di Caledonia - unda Caledonios fallit turbata Britannos (68). Lo spazio recintato dal vallo è dunque molto ampio e i due eserciti indugiano a combattere. A Pompeo manca l’erba per i cavalli dopo che è stata calpestata dal loro galoppo. Molti di questi muoiono e le carcasse putrefatte ammorbano l’aria. In modo simile l’isola di Nisida (vicina a Pozzuoli) emette un’aria da Stige dalle scogliere nebbiose - emittit Stygium nebulosis aera saxis (90) e le caverne esalano la rabbia di Tifone latore di morte.
Inde labant populi, quindi vacillano le genti. L’acqua è più predisposta dell’aria a subire ogni contagio - caeloque paratior unda - omne pati virus - perciò duravit viscera caeno ha indurito le viscere con il fango (93 - 94).
La pelle si raggrinzisce, fa scoppiare gli occhi, una peste di fuoco si diffonde sulla faccia, la testa stanca rifiuta di sostenersi - caput se ferre recūsat (97)
Il destino scosceso porta tutto con sé sempre più in basso “Iam magis atque magis praeceps agit omnia fatum” - (98). Muoiono molti tra i pompeiani e i cadaveri contagiano i vivi.
Non c’è una via di mezzo che separi la vita dalla morte - nec medii dirimunt morbi vitamque necemque, - ma la malattia arriva con la morte –sed languor cum morte venitturbaque cadentum - aucta lues - e la peste è accresciuta dalla caterva di quelli che cadono, dum mixta iacent incondita vivis - corpora mentre i cadaveri insepolti si trovano mescolati con i vivi; nam miseros ultra tentoria cives - spargere funus erat (vv. 99 - 103) infatti il funerale si limitava a sparpagliare i poveri cittadini morti al di là delle tende.
Mi sono soffermato su questo argomento del contagio per il fatto che è del tutto attuale. L’improvvida apertura delle discoteche ha messo a repentaglio quella delle scuole.

Pesaro 31 agosto 2020, ore 20 e tre minuti.

giovanni ghiselli

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Le discoteche e i giochi circensi: mera homicidia


“la repubblica” di oggi, 31 agosto 2020, pagina 3 Bologna in primo piano
“Tutti in pista senza mascherina
Chiusa un’altra discoteca”. Questo il titolo.
Sottotitolo
“I carabinieri al “Musica” di Riccione ieri all’alba: folla e zero protezioni. E’ il quarto locale punito. Multa di 400 euro e stop alle danze per cinque giorni. Gli imprenditori della notte protestano”.
Le discoteche sono intraprese di morte: intraprendono mera homicidia.  Contestualizzo e traduco subito queste due parole: Seneca, tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia  omicidi veri e propri, commenta:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è:"recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
Questi “giochi” circensi criminali sono modelli di guerra civile: Lucano all’inizio del VI libro della Pharsalia considera Cesare e Pompeo un par (v. 3), ossia una coppia di gladiatori.  

  Pesaro 31 agosto 2020 ore 16, 30

giovanni ghiselli


Le donne nell’epica greca e in quella latina

Ricordo il corso che terrò, anche on-line per chi volesse seguirlo da casa, nell’Università Primo Levi dal 13 ottobre al 22 dicembre 2020.
Saranno 10 incontri di un paio di ore ciascuno: il martedì dalle 18 alle 20.

Questo è il titolo del corso:
Le donne nell’epica greca e in quella latina

Questi gli argomenti

Le donne presenti nella letteratura antica possono essere figure secondarie oppure protagoniste o comprimarie. Nei poemi greci che prenderemo in esame vedremo che dove prevale la guerra, cioè nell’Iliade,  tre figure femminili hanno la funzione di sostenere, consolare, moderare la furia bellicosa degli uomini quali mogli (Andromaca) o madri (Tetide, Ecuba). Elena tende invece a biasimare l’amante Paride che schiva la guerra.

Nei poemi di avventura (Odissea e Argonautiche) al contrario le donne sono predominanti con la loro autorevolezza come Arete con Alcinoo o Penelope con i proci, oppure diventano risolutive con le arti magiche come Circe e Medea.
    
Per quanto riguarda i poemi latini, analizzeremo a fondo la storia di Didone fatta innamorare da Venere e morire dalla spietata pietas di  Enea, poi prenderemo in considerazione altri tipi di donne: le mogli, le amanti e le streghe del poema di Lucano;  quindi Antigone, Giocasta, Evadne, e pure la Sfinge della Tebaide di Stazio
Le  confronteremo con le medesime figure o prefigurazioni presenti in molte tragedie.
 Nell’altro poema di Stazio, l’ Achilleide, vedremo la madre di Achille che cerca invano di risparmiare al figlio la guerra di Troia con tanto di morte precoce, poi ricorderemo Deidamia che entra nel novero delle donne abbandonate ricordate in quasi tutte queste opere (Arianna, Ipsipile, Medea, Didone).

Pesaro 31 agosto 2020, ore 12, 35
giovanni ghiselli  

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A chi volesse materiale in anticipo, posso inviarlo, ovviamente gratis, dietro richiesta. Nel caso scrivete a  g.ghiselli@tin.it

Massimo Cacciari VIII, "Il lavoro dello spirito"

Søren Kierkegaard

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Argomento
Politica e “motivi di ordine propriamente religioso”.

“E in questi nessi non potranno non fare ritorno anche motivi di ordine propriamente religioso. La ragione di ciò apparve già chiara a Kierkegaard negli anni decisivi 1847 - 1848 , in pagine giustamente poste da Lövith a conclusione della sua antologia epochemachend , La sinistra hegeliana (1960), tratte da L’unica cosa che è necessaria[1] (…) Il sistema è comunque tirannia in quanto esclude la autentica eccezione, che il Singolo solo può esprimere”.

Tirannia del singolo individuo come Creonte nell’Antigone di Sofocle, o tirannia del popolo come quello Ateniese dopo la battaglia delle Arginuse in Senofonte già citato sopra, in Cacciari V.
Cito di nuovo per comodità di chi mi legge: "to; de; plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon pravttein o{ a]n bouvlhtai", Senofonte, Elleniche I, 7, 12), il popolo gridava che era grave se qualcuno non permetteva al popolo di fare quanto voleva.

“Si rianima in Kierkegaard al grado più alto la guerra senza quartiere del cristianesimo delle origini contro ogni religio civilis.
Tuttavia egli coglie la necessità contenuta nel motto feuerbachiano: il Politico non potrà risolversi nell’Economico, ma proprio per ‘salvarsi’ sarà costretto ad assumersi un timbro religioso."

Allora vediamo il timbro religioso in tre profeti della Giustizia presenti nella letteratura greca.

Esiodo per primo dà voce a questa esigenza. Egli nel poema più recente (Opere e giornivv. 202 e sgg.) ne fa l'apologia raccontando la favola dello sparviero e dell'usignolo. La legge del più forte che annienta il più debole vale per gli animali, non per gli uomini. Viene raccomandata la giustizia che trionfa sulla prepotenza. Dove manca dike imperversano peste, fame e sterilità.
C'è un invito a evitare i giudizi contorti poiché procura il male a se stesso chi lo prepara per un altro, e il progetto malvagio è pessimo per chi l'ha progettato (Opere, vv.265 - 266).
La giustizia esiodea è una forza solo in parte umana, per molti aspetti sovrannaturale, ma essa già contiene una premessa di isonomìa (uguaglianza davanti alla legge) e moralità.

Con Solone l'idea di giustizia progredisce e si politicizza, ossia entra nella costituzione della polis. Così, pur rimanendo alcunché di trascendente nella Giustizia del legislatore ateniese, essa si storicizza e perde qualche cosa del suo carattere mitico.
Partiamo dai primi versi dall'Elegia così detta alle Muse (fr. 1D, vv. 1 - 16)
Ne do la mia traduzione
"Splendide figlie della Memoria e di Zeus Olimpio,
Muse Pieridi, ascoltate la mia preghiera:
concedetemi il benessere (o[lbon) da parte degli dei beati, e di avere una buona/
 reputazione (dovxan e[cein ajgaqhvn) da parte di tutti gli uomini sempre;
in modo che così possa essere dolce per gli amici e amaro per i nemici, 5
rispettato da gli uni, temibile a vedersi per gli altri.
Ricchezze desidero averne, ma possederle ingiustamente non voglio:
in ogni caso più tardi è solita arrivare Giustizia (pavntw~ u{steron h\lqe divkh).
La ricchezza che danno gli dèi, è solida
per l'uomo dall'ultimo fondo alla cima;10
 quella cui vanno dietro gli uomini spinti dalla prepotenza (uJy j u{brio~), non arriva/
 con ordine (kata; kovsmon), ma siccome obbedisce alle azioni ingiuste,
segue di malavoglia, e presto vi si mescola l'acciecamento (ajnamivsgetai a[th).
L'inizio nasce da piccola cosa, come il principio di un incendio,
e dapprima è insignificante, ma l'esito è penoso15;
infatti non durano a lungo le opere della prepotenza - u{brio~ e[rga - per i mortali.

L’elegia di Solone forse più nota, e di contenuto in gran parte politico, è quella così detta del Buon Governo (fr. 3 D). In questi versi che traduco cresce la responsabilità dell'uomo relativamente al proprio destino.
"La nostra città non andrà mai in rovina per destino
di Zeus e volontà dei beati dèi immortali:
 infatti tale custode magnanima, figlia di padre potente
Pallade Atena le tiene sopra le mani.
 Ma i cittadini stessi con la loro follia vogliono distruggere la grande città sedotti dalle ricchezze,
 e ingiusta è la mente dei capi del popolo, cui è destinato
soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza:
infatti non sanno trattenere l'avidità né godere
con ordine le gioie presenti nella serenità del convito.10
Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste
 e non risparmiando le proprietà sacre nè in alcun modo le ricchezze
pubbliche: rubano arraffando chi da una parte chi dall'altra
né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia,
che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente15,
e con il tempo in ogni caso giunge a fare pagare.

Passo a Eschilo
Nell'Agamennone troviamo l'idea che dalla ricchezza rifugge la Giustizia la quale "brilla nelle case dal povero fumo e onora la vita onesta" (Divka de, lavmpei me;n ejn - duskavpnoiς dwvmasin, - tovn t j ejnavsimon tivei – bivon, secondo stasimo, vv.773 - 775).
Il terzo stasimo poi suggerisce di gettare dallo scafo, con misurato lancio (sfendovna~ ajp j eujmevtrou , v. 1010), addirittura parte della proprietà acquistata, per salvare la nave, e la casa, dall’affondamento. La dismisura dunque, e non solo quella dei mali, provoca l’inabissamento.
 Pochi versi più avanti il coro indica uno degli effetti della dismisura: una volta caduto a terra, nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019 - 1021).
 Nelle Eumenidi , la terza tragedia della trilogia del 458 (la seconda è le Coefore ), le stesse Erinni, nemiche dell'ordine statale e patriarcale, divinizzano la Giustizia ammonendo:"Rispetta l'altare di Dike e non prenderlo a calci con piede ateo, poiché dopo incombe la pena"(vv. 539 - 541).

Torniamo a Il lavoro dello spirito di Cacciari: “Di che cosa infatti il Politico dovrà saper convincere quella nuova, emergente moltitudine, che Hegel chiamava Pöbel (rimuovendo però in toto il senso romano di plebe!)? Del fatto che il sistema dominante persegue l’idea di uguaglianza, che questa costituisce un fine immanente alla logica del sistema. Ciò che è logicamente impossibile, afferma Kierkegaard, poiché con mezzi umani si possono creare soltanto differenze e disuguaglianze. L’idea di uguaglianza assume un proprio senso soltanto in un ordine meta - politico, religioso. E così secondo Kierkegaard (che qui appare vicinissimo a Tocqueville) accade anche per l’idea di libertà” (p. 27)

Pesaro 31 agosto 2020, ore 11, 5.
 giovanni ghiselli







[1] La sinistra hegeliana. Testi scelti da Karl Löwith, trad. it. , Bari, 1960, pp. 469 - 478

domenica 30 agosto 2020

Massimo Cacciari VII, "Il lavoro dello spirito"

elvisxx71, Il ciclope

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L’impolitico è inutile, anzi dannoso perfino a se stesso. Il Ciclope è l’archetipo dell’impolitico.

“Lavoro spirituale che ora può assumere la figura della scienza e dell’agire politico, ma che, nella sua essenza, significa liberazione da ogni lavoro comandato. E’ necessario un Politico che sappia rappresentare tale idea all’interno del sistema capitalistico, una Autorità politica che ‘convinca’ della sua perseguibilità - possibilità reale in quanto immanente al dominio stesso della forma comandata del lavoro.”
Il sistema capitalistico “può ‘salvarsi’, e cioè credere e far credere di poter indefinitamente avanzare, soltanto facendosi politico. I termini, alla fine, andranno rovesciati? Non la sussunzione del Politico nell’Economico segnerà il destino, ma piuttosto, viceversa, la piena ‘politicizzazione’ del processo di accumulazione e produzione di ricchezza? Soltanto una Auctoritas effettivamente sovrana è in grado ora di garantirlo? (…) Il capitalismo contemporaneo, nella competizione tra le diverse aree in cui manifesta il proprio dominio, ha bisogno di Impero. Imperare: comando effettuale, presente, e insieme indicazione - promessa. Il Politico non è il passato del capitalismo, può esserne, anzi, il futuro, - ma soltanto nella forma dell’Impero e del polemos tra spazi imperiali”.

Sono del parere che la dimensione politica, la categoria del Politico sia indispensabile a ogni sistema elaborato dalle civiltà umane.
L’archetipo dell’impolitico è il Ciclope.
Omero scrive che i Ciclopi non hanno assemblee deliberanti, non leggi: vivono sule cime dei monti in grotte profonde, ciascuno fa legge alla moglie e ai figli e non si curano l’uno dell’altro (qemisteuvei de; e[kastoς - paivdwn hjd j ajlovcwn, oujd j ajllhvlwn ajlevgousi, Odissea, IX, 114 - 155)
Un’esistenza precivile è quella del Ciclope.

 Il Ciclope del dramma satiresco di Euripide afferma che il suo dio è la pancia e biasima i legislatori che con le leggi hanno complicato la vita umana (oiJ de; tou;ς novmouς - e[qento poikivllonteς ajnqrwvpwn bivon, Ciclope, 338 - 339).

Il Pericle diTucidide nel logos epitafios dice: “Solo noi consideriamo (nomivzomen) non tranquillo (oujk ajpravgmona) ma inutile (ajll j ajcreĩon) chi non prende parte alla vita politica (tov te mhde;n tw̃nde metevconta) II, 40, 2.

Concludo lasciando la parola a Cacciari: “Per ‘indebitare’ l’individuo nei confronti dell’indefinito progresso del sistema, l’Auctoritas politica deve farsi funzione strutturante e indispensabile di quest’ultimo. Nessuna semplificazione, nessun riduzionismo sono qui concepibili” (p. 26)

Pesaro 30 agosto 2020, ore 18, 28. giovanni ghiselli

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"Oreste" di Euripide. XXVII parte (1554-1620). Traduzione mia

Scene dal mito di Oreste (Musei Vaticani)

Oreste di Euripide. "Oreste" di Euripide. XXVII parte (1554 - 1620). Traduzione mia

Menelao
Sono venuto qui perché conosco le azioni tremende 1554
dei due leoni: non li chiamo uomini infatti.
Ho sentito dire di mia moglie che di fatto
non è morta, ma è andata via sparendo,
e devo avere sentito una diceria vana, che mi ha riferito
uno tratto in inganno dalla paura. Ma questa è
una macchinazione del matricida e un motivo di derisione. 1560
Qualcuno apra la casa: ai servi dico
Di dare spinte a queste porte, perché si possa almeno
salvare mia figlia dalle mani assassine degli uomini
e recuperare la sventurata povera sposa mia,
con lei devono morire per mano mia 1565
quelli che hanno ammazzato la mia consorte.

Oreste
Ehi tu! Non toccare con la mano questi serrami.
Dico a te, Menelao, che torreggi con impudenza,
altrimenti con questo fregio ti romperò la testa,
spezzando gli antichi cornicioni, fatica di maestri scultori. 1570
I serrami sono fissati con dei pali e ti escluderanno
dalla tua fretta di correre in aiuto e dall’entrare nel palazzo.

Menelao
Ah! Che cosa c’è? Vedo luce di fiaccole,
e questi assediati sul tetto del palazzo,
e una spada incombente sul collo di mia figlia 1575

Oreste
Vuoi fare domande oppure ascoltarmi?

Menelao
Né l’una cosa né l’altra; ma è necessario, a quanto pare, ascoltarti.

 Oreste
Ho intenzione di ammazzare tua figlia, se vuoi saperlo

Menelao
Dopo avere ammazzato Elena commetti un assassinio su un assassinio?

Oreste
Magari l’avessi compiuto senza esserne stato derubato dagli dèi! 1580

Menelao
Neghi di averla uccisa e dici queste parole per oltraggio?

Oreste
Dolorosa negazione per me, magari avessi…

Menelao
Fatto che cosa? Mi chiami difatti alla paura

Oreste
Gettato nell’Ade quella che ha contaminato l’Ellade

Menelao
Rendimi il cadavere della moglie, perché io possa innalzare un sepolcro 1585

Oreste
Richiedilo agli dei: ammazzerò tua figlia.

Menelao
Il matricida commette delitto su delitto?

Oreste
Il vendicatore del padre che tu hai tradito tanto da lasciarlo morire

Menelao
Non ti è bastato il sangue, che ancora è qui, della madre?

Oreste
Non mi stancherei mai di ammazzare le malvagie 1590

Menelao
Anche tu Pilade prendi parte a questo delitto?

Oreste
Risponde tacendo. Basterò io a parlare

Menelao
Ma in nessun modo traendone gioia, a meno che tu fugga con le ali.

Oreste
Non fuggiremo: appiccheremo il fuoco al palazzo

Menelao
Davvero devasterai questa dimora del padre? 1595
,
Oreste
Certo, perché non sia tu ad averla, e dopo avere sgozzato questa sul fuoco.

Menelao
Uccidila, tanto dopo che l’avrai uccisa me ne pagherai il fio.

Oreste
Sarà così.
 - Menelao - ah! aha! Non fare questo, assolutamente!

Oreste
Taci ora e sopporta di stare male, giustamente.

Menelao
E’ forse giusto allora che tu viva?
 Oreste Certo e che regni sul paese. 1600

Menelao
Quale?
Oreste Su questa Argo Pelasgica

Menelao
Sarebbe davvero bene che tu a toccassi le acque lustrali…

Oreste
Perché proprio non dovrei?

Menelao
E che prima della battaglia abbattessi le vittime

Oreste
tu invece lo faresti bene?

Menelao
Infatti sono pure nelle mani.

Oreste
Ma non nell’animo.

Menelao
Chi ti rivolgerebbe la parola?

Oreste
Chiunque ami il padre 1605

Menelao
chiunque invece onora la madre?

Oreste
E’ nato felice

Menelao
Tu no di sicuro.

Oreste
Infatti non mi piacciono le malvagie.

Menelao
allontana la spada da mia figlia.

Oreste
Sei uno che mente

Menelao
Ma ucciderai mia figlia davvero?

Oreste
Non sei più un mentitore.

Menelao
Ahimé che cosa devo fare?

Oreste
Vai dagli Argivi e persuadili… 1610

Menelao
Quale persuasione?

Oreste
chiedi alla città di non farci morire.

Menelao
Oppure ucciderete mia figlia?

Oreste
così stanno le cose qui.

Menelao
Oh povera Elena…

Oreste
e la mia situazione non è miserevole?

Menelao
Ti ho portata via dai Frigi come vittima…

Oreste
Magari fosse stato così.

Menelao
Dopo aver faticato fatiche infinite.

Oreste
Tranne che per me 1615

Menelao
Ho subito vicende terribili.

Oreste
Sì, perché prima non mi sei stato utile.

Menelao
Mi hai in pugno.

Oreste
Ti sei preso da solo, divenuto vigliacco.
Ma avanti, Elettra, dai fuoco a questo palazzo;
e tu oh tra gli amici miei il più sicuro,
Pilade, incendia questo cornicione delle mura 1620 

Pesaro 30 agosto 2020, ore 17,40
giovanni ghiselli