NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 5 agosto 2020

Debrecen. 9. Il ricevimento del rettore. La superstizione

Il ricevimento del rettore. La superstizione

Martedì 24 luglio c’era il ricevimento del rettore dell’università di Debrecen, la festa pomeridiana dove nel ’71, nel ’72 e nel ’74 avevo conosciuto le tre donne più importanti della mia vita prima di Ifigenia.
Con loro avevo vissuto tre amori mensili quali beni per sempre.
Ma nel 1979 avevo in mani un altro beneficio che credevo perenne, oltretutto già da diversi mesi, e non volevo sciuparlo ante diem con una nuova relazione pellegrina. Nella mia testa girava una specie di superstizione secondo la quale dalla mia fedeltà doveva dipendere quella della mia amante.
Ma la forza degli istinti scavalca le ipotetiche difese dei senni umani.
Dico dell’istinto di lei e del mio povero senno fallace nella fattispecie.
Comunque volevo mettere la prova la mia decisione e forza nel non rompere la fede, sicché osservavo le ragazze. Tra le altre ne notai una dai capelli biondi e lunghi. Pensai che fosse tedesca dall’aspetto e dal gruppo nel quale si trovava. A forza di guardarla, forse pure maniacalmente, venni contraccambiato; anzi a un tratto l’aurichiomata, invero leggermente opima, protese nella mia direzione la mano destra con il bicchiere mezzo pieno di “Sangue di toro” illuminato dal sole e brillante come un rubino. Il gesto poteva essere  rivolto a uno situato dietro di me, ma non mi voltai, siccome l’ambiente mi aveva donato diversi successi accrescitivi della fiducia in me stesso. Cercherà Ifigenia di togliermene parte.

Pensai che il simpatico gesto della ragazza bionda fosse l’eterno richiamo dei sessi che rende lieta la vita. Lo ricambiai con un sorriso che conteneva un embrione di bacio, ma non mi avvicinai.
Un poco più tardi cominciò a calare la sera. Uscii e andai a sedermi su una panchina addossata a una rientranza della facciata dell’edificio universitario: una specie di nicchia dove avevo già meditato, riflettuto, ricordato più volte. Cercavo analogie con il passato e segni per il futuro.
La fontana antistante, mentre precipitava la notte, si accese di luci multicolori che resero i vigorosi zampilli simili ai fuochi d’artificio lanciati sopra il Danubio la sera del 20 agosto a illuminare Buda e Pest la sera di quel giorno di festa solenne. Il dì seguente le mie finlandesi sarebbero partite.
Questo mi venne in mente. Poi mi sovvenni di una fantasticheria del dicembre del ’68. Avevo 24 anni compiuti da poco. Scrivevo dalla mattina a tarda notte per terminare la tesi e consegnarla entro il 5 febbraio al segretario iracondo della mia facoltà. Ci lavoravo dal primo settembre senza concedermi una mezza giornata di pausa. Il 24 luglio del 1979 percorsi all’indietro il fiume del tempo della mia vita mortale e rividi quella sera remota. Ero a Bologna in una stanza di una casa del centro storico, non tanto calda. Ero andato a letto da poco. Guardavo il soffitto segnato da una luce gialla che entrava dagli scuri solo accostati.

Avevo scritto diverse pagine dalla mattina presto a mezzanotte, quasi senza intervallo, e, prima di ricominciare, avrei dovuto dormire ma non oltre le sette. Però la stanchezza e la paura di non compiere in tempo il lungo lavoro non mi lasciavano prendere sonno. Allora decisi di non cercare più di dormire e di confortarmi, con lieti ricordi, della vita dura e deserta che facevo da mesi. Pensavo a Helena durante la Pasqua di Praga, a Eva e Katalin le ragazze dell’estate di Debrecen. Quindi cercavo di antivedere gioie future: dopo la laurea e le prime supplenze nella scuola sarei tornato a Debrecen, sarei andato alla festa della conoscenza e lì avrei incontrato una ragazza italiana bella, fine, intelligente come una che avevo visto e sentito parlare in primavera durante le assemblee del movimento studentesco: si chiamava Dadi, aveva un dente un po’ fuori posto che tuttavia le donava: era bella, espressiva, luminosa. La sua era una femminilità di razza. Aveva lunghi capelli biondi, pelle chiara, liscissima, gli occhi di oro brunito, dolci e vivaci. Sapeva parlare politicamente con maggiore competenza di me.
 Ebbene, se l’avessi incontrata di nuovo, l’avrei avvicinata, le avrei chiesto di stare con me, di fare una bambina con me siccome di avventure, sebbene fossi poco più che agli inizi, ne avevo abbastanza. Questi progetti facevo nel colmo, anzi nel fondo del gelido e buio inverno di Bologna. Invece, quando, dieci anni più tardi, rividi la bionda Dadi giunta a fare una supplenza nella scuola dove insegnavo, mi limitai a salutarla poiché era molto sciupata e, del resto, io avevo già incontrato Ifigenia.
Ordunque il 24 luglio del 1979 mentre ero nella mia nicchia a ricordare, vidi passare l’aurichiomata della festa che a un certo punto si voltò, mi vide e mi rivolse un sorriso. Per un momento sentii l’impulso, quasi il riflesso condizionato di avvicinarmi e proporle un giro a Hortobágy come avevo fatto con le tre finlandesi negli anni passati. Però mi trattenni pensando che quell’estate non dovevo cercare l’amore ma solo evitare di perderlo. Sicché mi limitai a rivolgere un sorriso alla bionda  un poco opima, senza muovermi né invitarla ad avvicinarsi. La giovane donna allora si volse di nuovo verso la fontana e si allontanò diretta ai binari del tram con gli altri tedeschi. Forse l’avrei fermata se avesse accentuato i miei ricordi amorosi guidando al pascolo, in finnico costume, un piccolo branco di renne.

giovanni ghiselli      



giovanni ghiselli Pesaro 5 agosto ore 10, 40
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